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Mitigare gli impatti della crescita demografica: salute riproduttiva ed emancipazione femminile

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Per ridurre gli impatti della crescita demografica bisogna agire laddove le proiezioni indicano che sarà più concentrata, cioè specialmente nei paesi ancora poveri. Le soluzioni da utilizzare non sono antidemocratici controlli delle nascite ma strutturati investimenti in istruzione e ricerca, anzitutto per fornire maggiore consapevolezza sessuale e metodi contraccettivi moderni a tutti, in particolare alle donne.

Immagine: Pixabay.

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Nell’articolo Un pianeta affollato a Sud e invecchiato a Nord abbiamo visto quanto la crescita demografica si sia concentrata in Asia nel recente passato e si concentrerà ora prevalentemente in Africa; nell’articolo Crescita demografica: siamo troppi per clima e risorse? abbiamo considerato l’impatto della crescita demografica sulla disponibilità di risorse, sulla perdita di biodiversità e sul cambiamento climatico. Contenere quindi l’aumento della popolazione terrestre, laddove sarà più significativo, non può limitarsi al controllo delle nascite. Piuttosto dovrebbe essere la conseguenza democratica di investimenti in istruzione e riduzione di fame e povertà. Da tenere in considerazione, dunque, anche la fortissima disuguaglianza a livello mondiale della distribuzione di ricchezza. Su tutti è emblematico un dato: secondo il rapporto Oxfam 2020, la ricchezza dei ventidue uomini più ricchi del mondo è maggiore della ricchezza di tutte le donne che vivono in Africa.

Tecnologia e benessere diffuso

Alcune risposte a questa sfida le fornisce un’interessante analisi pubblicata su Science nel 2017 da Eileen Crist, Camilo Mora e Robert Engelman, dal titolo “The interaction of human population, food production, and biodiversity protection”. In generale, come ricordano gli autori, ridurre l’impatto umano su biodiversità, risorse e sistema climatico riguarda molti aspetti della modalità con cui ciascuna società vive sul pianeta. La nostra impronta ecologica, infatti, dipende dalle tecnologie in uso, dal sistema produttivo, dalle diete alimentari, dagli sprechi lungo le catene del valore e molto altro. Tra gli approcci forse più sottovalutati, se ne possono identificare due piuttosto importanti: l’educazione sessuale e l’emancipazione femminile. Entrambe queste “soluzioni” – principalmente nei paesi poveri – mostrano infatti come benefici primari una riduzione della fertilità e un aumento del benessere diffuso e dei diritti umani. Come scrivono gli autori, ci sono alcuni paesi in cui si sono potuti già osservare questi risultati, grazie a «campagne complete, ben progettate e ben finanziate» di riduzione dei tassi di fertilità e contemporanea promozione del benessere femminile: la Thailandia, il Bangladesh, il Costa Rica, la Corea del Sud e l'Iran, per esempio.

Educazione sessuale e disponibilità di metodi contraccettivi moderni

Oggi, sulla Terra, siamo quasi otto miliardi di persone e nel 2100 potremmo arrivare a undici miliardi, secondo le proiezioni ONU. Numeri in ogni caso eccessivamente elevati secondo varie stime effettuate negli anni su quale sia il numero ottimale di persone che possono vivere sul pianeta; come ricordato nell’analisi pubblicata su Science, questo numero sarebbe tra 1,5 e 5 miliardi di persone.

Secondo quanto riportato da Eileen Crist e gli altri autori, inoltre, tra tutte le gravidanze mondiali risultano indesiderate ben il 40% (dati del 2012). Il numero è maggiore nei paesi ricchi e minore in quelli poveri. Questo dato potrebbe sembrare paradossale, ma è probabilmente spiegato dalla relazione che si osserva tra il grado di istruzione e il tasso di fertilità: più aumenta il primo meno cresce il secondo. Investire in educazione nei paesi meno sviluppati deve passare quindi attraverso serie campagne di sensibilizzazione alla salute riproduttiva e all’educazione sessuale. «Una priorità assoluta nell'agenda internazionale deve essere che le persone abbiano pronto accesso e libero arbitrio nell'uso dei servizi di pianificazione familiare e delle tecnologie contraccettive», scrivono gli autori dell’analisi.

Pianificazione familiare che si ottiene sia aumentando la disponibilità immediata di metodi contraccettivi moderni nei paesi poveri, con particolare attenzione per l’Africa, sia modificando le «narrazioni culturali» attorno al ruolo della donna nei contesti familiari specifici di ogni società. Ricordiamo che la stessa Agenda 2030 – che tutti i 193 paesi membri delle Nazioni Unite hanno firmato nel 2015 – indica all’obiettivo 5, relativo alla parità di genere, il target 5.6:

Garantire accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti in ambito riproduttivo, come concordato nel Programma d’Azione della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo e dalla Piattaforma d’Azione di Pechino e dai documenti prodotti nelle successive conferenze.

Educazione femminile: fertilità e diritti umani

Come già accennato, più cresce il tasso di istruzione femminile più le donne decidono autonomamente di fare meno figli, andando quindi a ridurre la pressione sulle risorse naturali. «Ovunque le donne abbiano potere educativo, culturale, economico, politico e legale, i tassi di fertilità diminuiscono», ricordano gli autori, che continuano scrivendo: «le popolazioni tendono a muoversi verso stati di crescita zero o negativa quando le donne raggiungono la parità con gli uomini, finché i servizi di pianificazione familiare e i contraccettivi sono facilmente disponibili».

Guardiamo ai dati, forniti dall’analisi, delle donne africane. Chi di loro è privata di un minimo livello di istruzione ha in media 5,4 figli, le donne che terminano la scuola primaria 4,3 e coloro che finiscono tutto il ciclo di scuola secondaria si fermano addirittura a 2,7. Il numero medio di figli per le donne africane che scelgono di frequentare anche il college è di 2,2; questo tasso è vicino ai 2,1 “nati vivi per donna” che consentirebbe a una popolazione di stabilizzarsi (come avevamo visto qui). Secondo gli autori, inoltre, servirebbe rendere obbligatoria l’educazione sessuale nei piani scolastici – a oggi assente per altro anche in Italia – ed «eliminare gli incentivi governativi per le famiglie numerose», pur contestualizzando adeguatamente questa seconda indicazione.

Non si può crescere per sempre

Chiaramente, non basta ridurre il tasso di fertilità per ridurre il degrado del sistema climatico e della biodiversità, ma è necessario anche modificare l’approccio di produzione e consumo, in ogni continente.

Vari esperti, tra cui Scott Barrett, Aisha Dasgupta, Partha Dasgupta e altri, in un editoriale pubblicato nel 2020 su PNAS dal titolo “Social dimensions of fertility behavior and consumption patterns in the Anthropocene”, fanno alcune riflessioni in questo senso. Se si considera il prodotto interno lordo come indicatore di benessere, senza alcuna esternalità ambientale, è indubbio quanto questo sia correlato a un aumento di ricchezza e abbondanza, almeno dagli anni Settanta. Tuttavia, «quando i dati economici sono abbinati agli indicatori ambientali, sembra che l'aumento dell'attività economica sia stato costruito su basi insostenibili. Il capitale prodotto e il capitale umano sono senza dubbio aumentati di molte volte, ma come stock di capitale naturale, la biosfera si è ridotta notevolmente», sottolineano gli autori. Che indicano che, a lungo termine, bisogna necessariamente riportare l’impronta ecologica umana al pari, o al di sotto, del tasso di rigenerazione della biosfera (ne avevamo parlato anche qui).

Prima abbiamo citato l’Agenda 2030 per individuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile: nonostante essa abbia target anche molto ambiziosi, il gruppo di Scott Barrett fa notare che non è chiaro abbastanza se gli obiettivi dell’Agenda «siano sostenibili in un mondo che contemporaneamente gode di una crescita del PIL globale». Ed effettivamente è lo stesso obiettivo 8 dell’Agenda, nel target 8.4, che riconosce la difficoltà di disaccoppiare la crescita economica dal degrado della biosfera:

Migliorare progressivamente, entro il 2030, l’efficienza globale nel consumo e nella produzione di risorse e tentare di scollegare la crescita economica dalla degradazione ambientale […].

Volendo dare una lettura riassuntiva del tema complesso della crescita demografica, si può affermare come indubbiamente questa concorra a peggiorare le condizioni climatiche ed ecosistemiche della Terra, seppure in maniera molto diversa a seconda dei paesi presi in considerazione. Cercare di stabilizzare o ridurre il numero di persone è quindi tra gli strumenti da utilizzare per combattere il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, e conseguentemente aumentare il benessere collettivo. Tuttavia, questo obiettivo andrebbe preferibilmente perseguito evitando misure antidemocratiche come il controllo delle nascite, ma investendo in istruzione e ricerca, per incidere positivamente sulla consapevolezza sessuale e sui diritti delle donne, specialmente nei paesi ancora poveri.

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