Il Sistema Nazionale di Protezione Ambientale ha elaborato 50 indicatori nazionali e regionali per misurare l'impatto dei cambiamenti climatici sul territorio nazionale, alcuni dei quali necessitano di dati non ancora disponibili. Inoltre, per agevolare l'utilizzo di indicatori di questo tipo, sono stati individuate dodici buone pratiche sul territorio nazionale e non solo.
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Il Sistema Nazionale di Protezione Ambientale (SNPA) ha da poco pubblicato e presentato il primo Rapporto sugli indicatori di impatto dei cambiamenti climatici in Italia. Nel rapporto vengono per la prima volta elaborati degli indicatori che cercano di quantificare gli impatti dei cambiamenti climatici sui sistemi naturali e umani, tra cui la salute, l’economia e le infrastrutture. SNPA, dal 2017 mette insieme le già esistenti Agenzie pubbliche Regionali e Provinciali di Protezione Ambientale (le ARPA e le APPA) con l’Istituto Superiore per la Ricerca la Protezione Ambientale (ISPRA).
In particolare, sono stati identificati tredici settori vulnerabili (già con la Strategia e il Piano nazionali di adattamento ai cambiamenti climatici): risorse idriche, suolo e territorio, ecosistemi terrestri, ecosistemi marini, ambiente alpino e appenninico, zone costiere, salute, foreste, agricoltura e produzione alimentare, pesca, energia, insediamenti urbani e patrimonio culturale. ISPRA ha poi individuato venti “indicatori nazionali” per misurare altrettanti tipi di impatto che si verificano nei diversi settori. Le varie ARPA (o altri enti regionali) hanno selezionato trenta “casi pilota regionali”, cioè indicatori che forniscono un quadro conoscitivo solo su base regionale. In più, ISPRA ha anche istituito a supporto la “Rete interna di esperti tematici sugli indicatori di impatto dei cambiamenti climatici”. I vari indicatori (sia quelli nazionali che i casi pilota), come scrive il rapporto, non sono paragonabili, in quanto non omogenei sia dal punto di vista temporale che spaziale, ma offrono una panoramica sullo stato degli impatti climatici in Italia, seppure ancora parziale a causa della mancanza di specifici indicatori in vari settori.
Nella seconda metà del rapporto, per ogni settore vulnerabile sono stati raggruppati in schede “impatto-indicatore” tutti i vari impatti osservati, per ognuno dei quali sono stati a loro volta raggruppati i relativi indicatori elaborati. Per esempio, nel settore “ecosistemi marini” un possibile impatto è l’“alterazione dei processi chimico-fisici”, per il quale un possibile indicatore è la “temperatura superficiale del mare”. Il monitoraggio della temperatura superficiale del mare è stato effettuato nell'ambito di tre casi pilota regionali (Friuli Venezia Giulia, Liguria e Calabria).
Risultati poco incoraggianti
Prima di vedere degli esempi concreti di buone pratiche di mitigazione e adattamento che fanno uso in parte di questi indicatori, riportiamo quali sono i principali risultati ottenuti con questo sistema. In generale è bene ricordare che per vari indicatori – e quindi per vari impatti – ci sono tendenze ancora non definibili o comunque non statisticamente significative, sia per motivi tecnici che per carenza di dati.
Dal 1995 al 2019 si è registrata una tendenza alla fusione per sei corpi glaciali, “da un minimo di oltre 19 metri di acqua equivalente per il ghiacciaio del Basòdino al massimo di quasi 41 metri per il ghiacciaio di Caresèr”. Analogamente, parte del permafrost delle Alpi occidentali “si sta degradando in media ad un tasso di circa 0,15°C ogni 10 anni” nei due casi pilota di Piemonte e Valle d’Aosta.
Soprattutto nel Mar Ligure, Mare Adriatico e Mar Ionio Settentrionale sono state osservate variazioni annue marcate della temperatura superficiale del mare; i valori più alti si trovano al sud, vicino alla costa pugliese e lucana, con più di 0,08°C. Continuo e irreversibile è l’aumento del livello del mare, con 2,2 millimetri all’anno e picchi di 3 millimetri nell’Adriatico. Preoccupanti sono i 5,34 millimetri annui di mare in più a Venezia nel periodo 1993-2019, che potrà causare danni irreversibili all’inestimabile patrimonio culturale della laguna.
Per quanto riguarda poi il rischio di siccità in agricoltura nella regione Emilia-Romagna, nel mais si è registrato l’incremento maggiore di deficit traspirativo cumulato massimo. Deficit traspirativo in aumento anche in sei ambienti naturali analizzati in Friuli-Venezia Giulia.
Impatti e indicatori
Nella descrizione dell’impatto contenuta nelle schede “impatto-indicatore”, è specificato anche se lo scenario futuro è previsto in miglioramento, in peggioramento, stabile o non definibile. In ogni settore elencato la maggior parte degli impatti è in peggioramento. I soli scenari non definibili riguardano: la variazione della disponibilità di risorsa idrica sotterranea, l’alterazione delle comunità ecologiche e delle reti trofiche marine, le fioriture microalgali in acque marino-costiere, la variazione della densità di zanzare di interesse sanitario (Aedes albopictus e Culex pipiens), il degrado dei materiali lapidei. L’unico impatto la cui entità diminuisce pur restando negativa è nel settore dell’energia. I cinque indicatori (uno nazionale e quattro casi pilota regionali veneti e lombardi) registrano infatti una diminuzione del fabbisogno energetico finalizzato al riscaldamento abitativo durante i mesi invernali – considerato l’innalzamento delle temperature – in aumento invece per il raffrescamento nei mesi estivi.
Di seguito il “Quadro sinottico degli indicatori di impatto dei cambiamenti climatici presentati nel Rapporto”.
Le buone pratiche
Dopo una selezione di una serie di buoni esempi registrati sul territorio italiano e non solo, sono state individuate dodici buone pratiche, che hanno in particolare saputo tradurre gli indicatori in misure locali per affrontare gli impatti climatici. I criteri utilizzati, anche in linea con quelli della Piattaforma Europea Climate-ADAPT, sono stati: innovatività dell’azione, replicabilità dell’azione, misurabilità, coerenza con gli strumenti di programmazione, approcci multisettoriali, copertura territoriale.
Nel rapporto si legge che “le buone pratiche selezionate verranno pubblicate sulla Piattaforma nazionale sull'adattamento ai cambiamenti climatici in modo da essere a disposizione di tutto il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente e di un pubblico più vasto”.
Tra le dodici buone pratiche si ricorda per esempio Climefish, finanziato con Horizon 2020, nato per tenere sotto controllo gli impatti della temperatura crescente nella pesca, tanto nel Mar Mediterraneo quanto in laghi artici della Norvegia del Nord. Il progetto, durato quattro anni, è stato coordinato dall’Università di Tromsø in Norvegia e ha utilizzato modelli previsionali basati sugli scenari RCP 4.5 e 8.5 dell’IPCC per stimare la disponibilità di prodotti ittici futuri. Per ogni caso specifico, tra cui anche il Lago di Garda e il Nord Adriatico, sono state quindi elaborate delle linee guida “caso-specifiche”, così come linee guida generali trasferibili e replicabili altrove.
Tra i progetti ancora in essere troviamo LIFE Desert-Adapt, il cui scopo è testare la strategia di gestione del territorio denominata “Modello di adattamento alla Desertificazione”, in alcune aree mediterranee. In particolare il progetto è localizzato in alcune zone della Sicilia, ma anche nella regione spagnola di Extremadura e nella regione portoghere di Alentejo. Secondo il rapporto, “porterà benefici in particolare agli agricoltori locali, con opportunità di reddito provenienti da nuove combinazioni di prodotti e servizi ecosistemici ed attraverso la promozione cooperativa organizzata, le vendite ed il marketing”.
Da poco concluso è il progetto ProteCHt2save, che è servito per rafforzare la resilienza del patrimonio culturale agli eventi estremi anche durante emergenze. Il progetto è stato implementato in città europee italiane, polacche, slovene, croate, ceche, austriache e ungheresi. Le azioni pilota che hanno riguardato questo progetto serviranno a mettere alla prova i piani e le politiche di gestione del rischio di catastrofi verso il patrimonio culturale.
Altre buone pratiche riguardano infine la previsione di ondate di calore e l’assistenza per le autorità durante gli eventi estremi, come il progetto LIFE ASTI; per quanto riguarda le pratiche di adattamento per il settore agricolo si segnala il progetto LIFE ADAPT2CLIMA, in particolare localizzato a Creta, in Sicilia e a Cipro; oppure anche il toolkit UrbanProof, pensato per fornire ai comuni strumenti per aumentarne la resilienza ai cambiamenti climatici.