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La copertura mediatica dei chirotteri ai tempi di Covid-19

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Uno studio ha indagato quanto la pandemia abbia influenzato la trattazione sui media e le ricerche internet sui pipistrelli, evidenziando una forte covarianza tra questi e Covid-19. L’attenzione dedicata ai chirotteri durante la pandemia, però, può rappresentare un rischio alla conservazione di questi animali, che pure svolgono un ruolo ecologico fondamentale.

Crediti immagine: Kelly Sikkema/Unsplash

Tempo di lettura: 5 mins

La pandemia di Covid-19 ha portato con forza l’attenzione sul rapporto che abbiamo con gli animali: per esempio, ha riacceso il dibattito sull’importanza della gestione del territorio e le conseguenze per gli animali selvatici, ha fatto riflettere sul commercio di questi ultimi e i rischi che comporta, anche per quanto riguarda le specie domestiche, evidenziando i rischi connessi agli allevamenti. C’è un gruppo di animali che, in particolare, ha attirato l’interesse pubblico: si tratta dei chirotteri.

Se da una parte è intuitivo e dovremmo tutti aver percepito questa maggior attenzione nei confronti dei pipistrelli, dall’altra mancavano, a oggi, dati al riguardo. Quanto sono aumentate le notizie su questo gruppo, e che caratteristiche hanno avuto? È a queste domande che prova a rispondere uno studio condotto da un gruppo di ricercatori italiani e recentemente pubblicato su Mammal Review.

Una percezione negativa

«Di fatto, sappiamo ancora molto poco del percorso evolutivo compiuto da SARS-CoV-2: le prove genetiche mostrano una somiglianza con alcuni virus presenti in due specie di Rhinolophus o pipistrello ferro di cavallo, ma non è accertato che derivi da queste, né se vi sia un ospite intermedio e, nel caso, quale questo sia», spiega Danilo Russo, professore di ecologia all’Università di Napoli Federico II e co-autore dello studio. «Nel trattare i diversi temi correlati alla pandemia, i media hanno spesso evidenziato l’origine zoonotica del virus, ma spesso sovrastimando le prove scientifiche che abbiamo a disposizione, o trascurando la complessità delle dinamiche che possono caratterizzare le zoonosi. Il problema è che, trattando questi temi in modo non del tutto corretto oppure superficiale, si possono porre rischi importanti alla conservazione dei chirotteri».

Come Scienza in rete aveva avuto modo di raccontare qualche tempo fa, infatti, nonostante il fondamentale valore ecosistemico, in Occidente ai pipistrelli è associata da lungo tempo una percezione negativa che si può far risalire almeno alla rappresentazione dei demoni in età medievale, quando venivano dotati di ali da pipistrello, passando poi da Dracula fino a oggi, come portatori di patogeni. «Si potrebbe dire che i chirotteri pagano il prezzo delle persone discrete: il loro essere notturni ed elusivi ce li rende in qualche modo inquietanti, complice forse anche una morfologia diversa dai nostri canoni estetici… sebbene tanti animali molto più popolari (si pensi a specie che lasciate incontrollate possono creare molti problemi, come i gatti domestici lasciati all’aperto e liberi di predare animali selvatici) facciano in realtà danni assai maggiori!», commenta Russo.

Eppure oggi conosciamo bene l’ importanza dei pipistrelli negli ecosistemi, come impollinatori e come dispersori di semi, soprattutto nelle regioni tropicali (alcuni studi hanno anche evidenziato come attraverso la dispersione dei semi fungano da elemento chiave per la riforestazione). Inoltre, la maggior parte delle specie di pipistrelli è insettivora ed è stata dimostrata la sua importanza nel tutelare le coltivazioni e i boschi dagli insetti nocivi. In questo modo, non solo possono limitare l’impiego di pesticidi ma, come suggeriscono alcuni studi, possono anche contribuire a limitare la diffusione di patogeni trasmessi da vettori come le zanzare.

In televisione e su internet

«Già durante i primi mesi di pandemia, molti conservazionisti si erano preoccupati dell’effetto che la copertura mediatica, trattando il tema di Covid-19 in stretto rapporto ai pipistrelli, potesse creare un rischio per la loro conservazione, accentuando i timori del pubblico nei confronti di questi animali», spiega Russo. «Mancavano, però, i dati al riguardo: nel nostro lavoro, abbiamo voluto quantificare e caratterizzare tale copertura mediatica, così da fornire informazioni quanto più possibile oggettive per affrontare il problema».

I ricercatori hanno quindi analizzato sia le ricerche internet (su Google e su Wikipedia, in otto lingue differenti e per 21 paesi) sia la copertura televisiva statunitense dal periodo pre-pandemico (a partire da gennaio 2016) fino alla pandemia (dicembre 2020). Dai loro risultati è emerso che, in effetti, vi è un picco significativo di ricerche e trasmissioni dedicate ai pipistrelli, in particolare nel gennaio 2020; inoltre, le notizie riguardanti i pipistrelli erano prevalentemente in associazione con temi riguardanti il Covid-19. «La covarianza che abbiamo osservato tra le notizie su Covid-19 e sui pipistrelli ci dice che il soggetto “pipistrelli” è stato presentato in relazione alla pandemia; andando a guardare l’aspetto qualitativo, inoltre, si osserva che la maggior parte dei media sottolinea, più o meno correttamente, il ruolo dei pipistrelli in quest’ultima», spiega Russo. «Il problema è che la copertura mediatica spesso superficiale o semplicistica conferma i timori di alcuni conservazionisti, perché può passare un messaggio falso o esagerato – che i chirotteri siano causa o fonte delle epidemie – che ne compromette la conservazione. E, infatti, vi sono già stati in alcune regioni del mondo atti di persecuzione di questi animali: è il caso del Perù, dell’Indonesia e dell’Egitto».

Oltre alle persecuzioni dirette, spiega il ricercatore, il timore è anche che vi possano essere degli effetti indiretti, dovuti per esempio al complicarsi del rapporto tra stakeholder, finanziatori e scienziati che può risultare in una perdita di finanziamenti per i progetti di conservazione.

Lo studio non aveva lo scopo di suggerire soluzioni al problema, bensì quello d’iniziare a caratterizzarlo; ma, come conclude Russo, «Abbiamo bisogno di fornire informazioni scientificamente accurate sulle zoonosi, e servono le professionalità adeguate. Identificare un colpevole immediato, un capro espiatorio per il problema delle pandemie è senz’altro più semplice che spiegare la loro complessità; tuttavia, attribuire ai chirotteri l’emergere dei patogeni è come dare la colpa dell’HIV agli scimpanzé. Invece, sono i nostri rapporti e la nostra interazione con gli ambienti naturali a influenzare questi fenomeni, perché è stato ampiamente dimostrato come la deforestazione, il disturbo agli habitat, l’urbanizzazione, il cambiamento climatico, nonché il commercio di specie selvatiche (e non solo) e molte altre attività antropiche possano favorire l’emergere di nuovi patogeni o influenzare la diffusione di quelli esistenti. Questa, come altre epidemie di anni recenti, sono crisi ambientali, oltre che sanitarie».

 

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