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Come crescere bambini che non diventino degli stronzi

Immagine di Mindaugas Danys/Flickr. Licenza: CC BY 2.0.

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Da quando è cominciata la pandemia un anno e mezzo fa, mia figlia che adesso ha tre anni, ha passato molto tempo a casa, mentre io e mio marito lavoravamo chiusi a turno in una stanza. Ci siamo divisi il tempo di cura e di lavoro equamente, e mio marito cucina e si occupa della casa forse più di quanto non faccia io. Eppure, quando è il mio turno di lavoro mia figlia si dispera e piangendo dice che non vuole che io lavori. Al contrario, quando è il turno di mio marito, lo accompagna alla scrivania e gli augura buon lavoro.

Nonostante la nostra attenzione nell’organizzazione della vita familiare, mia figlia ha evidentemente già aspettative diverse nei nostri confronti e capire come gestirle è tutt’altro che semplice. Per questo è stato un sollievo imbattersi nel libro appena pubblicato dalla giornalista scientifica Melinda Wenner Moyer, Come crescere bambini che non siano stronzi. Strategie per una genitorialità migliore basate sulle prove scientifiche (G.P. Putnam's Sons, 352 pagine, 20 luglio 2021).

Crediti immagine: G.P. Putnam's Sons.

Wenner Moyer, che ha tenuto una colonna sulla genitorialità per la rivista online statunitense Slate e scrive regolarmente per il New York Times su questi temi, ha fatto un lavoro di ricerca della letteratura scientifica approfondito e ha intervistato numerosi esperti, sintetizzando e rendendo estremamente comprensibili risultati e pareri. La struttura del libro è particolarmente riuscita e rende la lettura agile e piacevole. Soprattutto, Wenner Moyer stabilisce subito un contatto con i genitori frustrati, raccontando le sue personali esperienze con i due figli, e traduce i risultati degli esperimenti condotti dagli scienziati in consigli pratici. Ognuno degli argomenti che tratta è estremamente rilevante, dall’egoismo fino al sessismo e al razzismo e credo che molti genitori che si pongono interrogativi su questi temi possano trovare riflessioni e risposte intelligenti e che vanno al di là di questioni morali o di norma sociale.

Il capitolo intitolato “Le ragazze non lo sanno fare. Come crescere bambini che non siano sessisti” chiarisce prima di tutto come i nostri figli distinguano il genere già da molto piccoli e perché questo accada. In una lunga conversazione con la psicologa Rebecca Bingler, che ha dedicato la sua ricerca a capire come i pregiudizi si sviluppano nei bambini, l’autrice discute degli esperimenti condotti negli ultimi quarant’anni che hanno mostrato, per esempio, che l’attenzione verso il genere deriva prima di tutto dal fatto che è una caratteristica che nominiamo sempre nel parlato. Per riferirci a qualcuno diremo più probabilmente “signore” o “signora” piuttosto che “persona” (e questo è ancora più frequente in lingue come l’italiano che raramente hanno termini neutri).

In una serie di esperimenti condotti negli anni Novanta, Bingler e i suoi collaboratori hanno fatto indossare all’arrivo a scuola ad alcuni bambini una maglietta rossa e ad altri una blu e poi hanno osservato che tipo di comportamenti avevano rispetto a questa nuova “categoria sociale” a seconda dell’attenzione che gli educatori davano al colore delle magliette. Se gli educatori non nominavano in alcun modo il colore delle magliette, era molto raro che i bambini di un gruppo sviluppassero pregiudizi verso quelli dell’altro gruppo. Invece, se gli educatori davano attenzione alle magliette, seppure in maniera neutra (per esempio accogliendo i bambini al mattino dicendo “ciao rossi e blu”), i bambini sviluppavano pregiudizi.

In un altro esperimento pubblicato su Science nel 2017 si è visto che, pur distinguendo i generi, le bambine tendono a internalizzare l’idea di essere meno brillanti dei bambini sopra i sei anni di età e, in un altro ancora, pubblicato sulla rivista Child Development nel 1977, che i bambini sono più frequentemente vittime di bullismo se si comportano in modi considerati femminili rispetto a quanto accade per le bambine che si comportano “da maschi” (questo succede purtroppo, perché i pari percepiscono che i bambini che si comportano da bambine stanno rinunciando al ruolo di “potere” che viene con la mascolinità).

A partire da questi risultati, Wenner Moyer elenca quattro strategie che possono contrastare il sessismo: controllare il proprio linguaggio, contrastare gli stereotipi che arrivano dall’esterno (e penso che questa possa essere una spiegazione delle aspettative di mia figlia), incoraggiare amicizie con bambini di sesso diverso e parlare della discriminazione di genere esplicitamente soprattutto con bambini dai cinque o sei anni in su.

Riguardo la seconda strategia, la scelta dell’abbigliamento e dei giochi da proporre è molto rilevante, anche se non tutta nelle mani dei genitori, e devo ammettere che è estremamente faticoso gestire il flusso di “regali rosa” che si ricevono già prima della nascita di una bambina. Su questo il consiglio è estremamente pratico: organizzare liste di regali selezionati tra cui chiedere a parenti e amici di scegliere.

L’autrice sottolinea poi che anche i genitori più attenti alla questione di genere possono avere comportamenti che confermano alcuni stereotipi che invece vorrebbero che i figli non assorbissero (altro punto che penso possa spiegare le aspettative di mia figlia). Noi stessi cresciamo con l’idea che uomini e donne abbiano ruoli diversi e spesso non ci rendiamo conto quanto questa convinzione sia radicata. Quindi, Wenner Moyer richiama l’attenzione non solo su questioni esplicite come la distribuzione del tempo di cura, pure quella importante soprattutto durante la pandemia che ha visto le donne farsi carico ancora una volta di una parte sproporzionata di questo lavoro a discapito della vita professionale, ma anche sugli atteggiamenti che riguardano i genitori personalmente. Per esempio, incoraggia i padri a parlare delle proprie emozioni ed esporre le loro vulnerabilità e le madri a non mostrarsi ossessionate dal loro abbigliamento o aspetto fisico.

Del resto, uno dei messaggi centrali del libro è che i bambini non imparano da quello che i genitori dicono ma piuttosto da quello che i genitori fanno.

Questo punto è al centro di un altro tema che Wenner Moyer affronta nel suo libro è quello dell’altruismo. Nel primo capitolo “Tutto riguarda me. Come crescere bambini che non siano egoisti”, l’autrice racconta come la ricerca abbia mostrato che la strategia migliore per crescere bambini che siano empatici e disponibili ad aiutare gli altri sia educarli alla comprensione delle proprie emozioni, prima di tutto aiutandoli a dargli un nome, con una risoluzione sufficiente. Farlo richiede tempo e pazienza, che non sempre i genitori hanno, ma su questo punto Wenner Moyer è estremamente empatica e consiglia di spiegare i propri sentimenti ed emozioni ai figli quando capita di avere una reazione aggressiva o aver perso la pazienza davanti a proteste o capricci. Una strategia che trovo particolarmente importante è quella di non negare le emozioni negative che i bambini manifestano e non sminuirle. I bambini hanno un altro sistema di riferimento rispetto al nostro e dunque l’importanza relativa che danno alle cose è necessariamente diversa dalla nostra e questo a volte può farci sembrare le loro reazioni sproporzionate.

Sull’importanza che i genitori hanno nel formare questo, così come altri, tratti psicologici, Wenner Moyer è molto convincente. Anche se i bambini e i ragazzi sono il risultato delle tante relazioni che hanno nella vita, l’impatto dei comportamenti e dell’esempio dei genitori è incomparabile, soprattutto nelle prime fasi della crescita.

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