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Anche l'Italia si attiva per salvare studentesse e ricercatrici afghane

In particolare le donne in Afghanistan rischiano di non poter più proseguire gli studi e la loro carriera di ricercatrici. Per questo motivo è stato lanciato un appello alla presidente del CNR Maria Chiara Carrozza per attivare tutti i possibili canali per mettere in salvo queste ricercatrici. In particolare, per aprire corridoi umanitari dalle Università e i centri di ricerca afghani verso basi da cui sia possibile raggiungere ponti aerei, per offrire ospitalità nel nostro Paese a studentesse e studenti, ricercatrici e ricercatori che vogliano completare le proprie ricerche e i propri studi. I promotori dell'iniziativa chiedono inoltre di reinvestire immediatamente a questo scopo quote dei fondi in precedenza destinati alle operazioni militari in Afghanistan. Nella foto studentesse universitarie afghane. (Photo: UNDP Afghanistan)

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Stiamo assistendo in questi giorni, informati attraverso le crudeli immagini riportate dai notiziari televisivi, ad un passaggio storico nei destini dell’Afganistan. E verosimilmente degli sviluppi geopolitici mondiali. Si tratta del cambio repentino di regime in quel Paese. Di uno sconvolgimento imposto nei costumi, nelle abitudini, nelle regole, nei valori e nelle convenzioni, il tutto accelerato in pochi giorni, in poche ore. Dell’angoscia di chi non è disposto a rinunciare ad alcuni diritti fondamentali di civiltà e per questo cerca vie di fuga tra le più disperate. Ed ancora, alla minacciata (e in alcuni casi già operativa) rappresaglia verso i precedenti canoni e verosimilmente anche verso coloro che ne avevano accettato e sostenuto alcuni dei principi di fondo.

Tra questi principi sono particolarmente a rischio quelli che fanno riferimento al libero pensiero (intellettualità, scienza, ricerca) e alla parità di genere: in particolare alla tutela della libertà, autonomia e dignità delle donne rispetto alle proprie scelte di vita. Non a caso una delle prime imposizioni che i talebani al potere hanno introdotto riguarda il divieto di classi miste e in sostanza la chiusura di accesso all’istruzione e all’alta formazione per le donne.

Se esiste un ambito, in cui gli esseri umani, da sempre in realtà, non sentono di doversi misurare con i confini geografici e con la separazione che questi comportano in altri domini, quello è certamente il mondo della ricerca e della scienza. Quella che oggi chiamiamo globalizzazione e che riguarda ogni aspetto della nostra esistenza è un fenomeno oltremodo diffuso nell’ambito scientifico fin dagli albori della scienza stessa: l’universalità come una delle basi essenziali delle ipotesi scientifiche e della loro costituzione e costruzione.

Anche per questa ragione è immediatamente nato un moto di solidarietà e di attivismo tra gli scienziati del mondo, come se d’improvviso venisse recluso uno spazio, non importa quanto grande e rilevante, dell’intera parte a disposizione della scienza: una deprivazione non accettabile per metodo. Solidarietà per tutelare la libertà di scienza e in particolare le scienziate afgane (colpite doppiamente: in qualità di donne e per l’esercizio di professione del libero pensiero) che in questo momento rischiano di scomparire (determinando il dramma di annullare l’essenza più profonda della loro esistenza) e con esse quello spazio collaborativo che - aldilà delle sue dimensioni - rappresenta come principio il nutrimento essenziale della scienza mondiale.

Le iniziative sono varie e diffuse nel mondo, come l'offerta da parte dell'Università della California (Davis) del programma umanitario "backpack" attraverso il quale studentesse e studenti possono fare richiesta di continuare il proprio percorso di studi negli Stati uniti e dove possono mettere in una repository sicura i documenti accademici che li riguardano. Qui mi preme sottolineare l'iniziativa attivata da un gruppo di ricercatrici e ricercatori del CNR per fare in modo che il Governo nazionale, anche attraverso l’azione sensibile di due donne, oggi ai vertici delle Istituzioni amministrative e scientifiche del Paese - Maria Cristina Messa (Ministra dell’Università e della ricerca) e Maria Chiara Carrozza (Presidente del CNR) - possa aprire un canale di trasferimento di queste scienziate e studiose. E fare in modo di accoglierle presso le nostre strutture permettendo loro di continuare a perseguire l’obiettivo comune di accrescimento della conoscenza.

Il Consiglio Nazionale delle Ricerche, così come aveva voluto il suo fondatore Vito Volterra, è la sede per eccellenza in Italia della ricerca inter e multi disciplinare, offre quindi l’opportunità di ospitare le attività in qualsiasi campo della conoscenza. I passaggi da superare sono molti e per nulla banali. Il finanziamento non sembra rappresentare un particolare ostacolo dato che si potrebbe fare ricorso ai fondi che con il ritiro delle nostre truppe verranno risparmiati nel prossimo futuro.

È necessario però mettere in moto un percorso condiviso. Una pressione autorevole e diffusa da spendere nelle sedi internazionali. Essere in grado di avviare un moto sostenuto e credibile. Ripartire dalla scienza e dalla conoscenza per avviare un piccolo ma significativo percorso di riscatto a dispetto dell’oltraggio che la scienza e le donne afgane stanno subendo. Una fioca luce, nel buio tempestoso che sta soverchiando quel Paese, per riaccendere la speranza di una società e del mondo che non si arrende alla cancellazione dei fondamentali diritti di civiltà.

 


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