fbpx Le Piattaforme Nazionali per la ricerca scientifica in Italia, storia di cicale e formiche | Scienza in rete

Le piattaforme nazionali per la ricerca in Italia, storia di cicale e formiche

Con la pandemia di Covid-19 abbiamo visto tanti “scienziati formiche” lavorare incessantemente; abbiamo visto anche tante “cicale” perdere la percezione sociale del rischio per sé stessi e per gli altri di una mancata vaccinazione. Oggi, gli “scienziati formiche” possono cogliere un’occasione mai vista in passato: contribuire alla definizione delle Piattaforme Nazionali per le scienze della vita più innovative e avanzate del Paese, ospitate presso la Fondazione Human Technopole di Milano.

Crediti immagine: Human Technopole/Flickr. Licenza: CC BY-NC-SA 2.0

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Fra le favole di Esopo, quella della cicala e della formica è di sicuro la più famosa. La sua morale ci insegna una cosa semplice e ovvia: se si vuole arrivare preparati ad affrontare i momenti difficili, è necessario impegnarsi, anche con fatica, con uno sforzo che non si esaurisce individualmente nel “qui e ora”, ma sinergico, con una visione strategica sul mondo e sul domani.

Nell’era della pandemia da SARS-CoV-2 abbiamo visto tanti “scienziati formiche” lavorare incessantemente per trovare un rimedio a Covid-19, che per molte persone è stato fatale. Abbiamo visto anche tante “cicale gracchianti” perdere la percezione sociale del rischio per sé stessi e per gli altri di una mancata vaccinazione.

Oggi, gli “scienziati formiche” possono cogliere un’occasione mai vista in passato: contribuire alla definizione delle Piattaforme Nazionali (PN) per le scienze della vita più innovative e avanzate del Paese, ospitate presso la Fondazione Human Technopole (HT) di Milano. Un centro nato un po' “nel segno della cicala”, per riprendere la metafora della favola, perché forte di risorse assegnate politicamente a priori, senza alcuna competizione; un centro che però oggi, proprio grazie a quelle risorse, trova una nuova missione al servizio della comunità scientifica nazionale.

Un po' di storia

Il 30 dicembre 2020, dopo un dibattito parlamentare e pubblico durato ben cinque anni, che ha visto coinvolti interlocutori politici e una parte della comunità scientifica, viene siglata la Convenzione tra la Fondazione Human Technopole e i tre ministeri fondatori (Ministero dell’Università e della Ricerca, Ministero della Salute, Ministero dell’Economia e delle Finanze) con l’obiettivo di realizzare, presso la Fondazione HT, una serie di Piattaforme tecnologiche Nazionali (PN) nell’ambito delle scienze della vita, pressoché uniche nel Paese, che saranno poi a disposizione dell’intera comunità scientifica nazionale. Ogni ricercatore potrà accedervi senza vincolo di appartenenza istituzionale, per condurre le parti tecnologiche dei propri progetti, altrimenti difficilmente perseguibili restando nella propria sede di origine.

La Convenzione assegna infatti una importante missione “nazionale” allo Human Technopole, stabilendo di destinare la parte maggioritaria (pari al 55%) del finanziamento pubblico che HT riceve per legge ogni anno alla realizzazione, al funzionamento e all’accrescimento delle PN, decise a valle di una consultazione pubblica strutturata in due fasi: la prima rivolta a selezionati portatori di interesse rappresentativi del sistema della ricerca nel settore delle scienze della vita, la seconda rivolta alla totalità degli studiosi italiani. Un unicum nel panorama delle politiche per la ricerca nel nostro Paese, un segnale di attenzione ai diritti più che ai privilegi, che interroga gli specialisti su come meglio organizzare un’area che diventerà centrale nel futuro della ricerca del settore – con beneficio anche di HT, che si troverà al suo interno il meglio delle tecnologie ideate e sostenute dalle idee del Paese. Per l’anno 2021, a fronte di un investimento pubblico per HT pari a 122 milioni di euro, la quota corrispondente per la realizzazione delle PN ammonta ad oltre 67 milioni; quando il finanziamento pubblico per HT sarà a regime (140 milioni l’anno a partire dal 2024) il contributo destinato alle PN sarà di 76 milioni l’anno.

Un risultato di importanza strategica per sostenere in modo virtuoso e meritocratico la ricerca scientifica in Italia, vero motore della forza propulsiva di un Paese, capace di elevare il Paese stesso verso una crescita culturale, sociale ed economica. Un passo avanti verso la competizione virtuosa delle idee di tutti, ad armi pari, riducendo squilibri e privilegi.

La prima fase delle consultazioni (le cui informazioni sono reperibili al sito del MUR) ha preso il via lo scorso 23 luglio (scadrà il 30 settembre), con l’invio di un modulo a una lista di rappresentanti del mondo delle università, Istituti di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), centri e istituti scientifici, organizzazioni per il finanziamento alla ricerca e l’industria del settore life science. Ognuno dei soggetti coinvolti - identificati, come da Convenzione, da un comitato tecnico - può utilizzare il modulo per descrivere ciascuna delle unità infrastrutturali (cioè l’insieme delle tecnologie, delle competenze e delle procedure sperimentali) di cui le PN si dovranno comporre. L’obiettivo di questa prima fase della consultazione, attraverso la compilazione di un modulo, è identificare le priorità avvertite dalla comunità scientifica nazionale nell’ambito delle scienze della vita. Le indicazioni risultanti da questa prima fase verranno poi sottoposte al vaglio della comunità scientifica nazionale durante la seconda tornata di consultazioni nel corso dell’autunno 2021.

Il modulo è ispirato ai campi che lo “European Strategy Forum on Research Infrastructures” (ESFRI) impiega per raccogliere le proposte di realizzazione di infrastrutture di ricerca da inserire nella roadmap europea, una struttura a rete che coinvolge diversi paesi dell’UE. Sulla base quindi della ricognizione dell’esistente, come si evince dalla Convenzione, l’obiettivo di questa prima consultazione è raccogliere le proposte di creazione di piattaforme innovative che andranno a costituire il principale parco tecnologico nazionale per le scienze della vita.

La compilazione dei moduli previsti per la consultazione pubblica richiede competenze dettagliate ed esperienze decennali per disegnare, realizzare e rinnovare i vari segmenti delle PN desiderate. Non si tratta quindi di costruire o acquistare, in “quota Convenzione”, semplicemente una serie di strumenti da lasciare sparsi qua e là nei locali “nazionali” di HT, ma di costruire uno spazio tecnologico del futuro e di tutti con una gamma di tecnologie pionieristiche e versatili nel campo delle scienze della vita. L’errore che gli studiosi in questa fase non devono commettere è quindi di proporre (i propri) progetti di ricerca chiedendo la tecnologia a supporto; il compito, forse più arduo ma certamente più stimolante e importante per il futuro della ricerca italiana, è invece quello di definire le tecnologie più innovative che possano essere messe a disposizione dell’intera rete della ricerca scientifica per le scienze della vita in ambito nazionale.

La Convenzione, come sottolineato dalla scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo, “segna un importante cambio di passo per la ricerca italiana, e potrà rappresentare un modello per i prossimi investimenti pubblici in questo campo, perché realizza in concreto il principio secondo cui i fondi pubblici non vanno assegnati dal decisore politico arbitrariamente e senza concorrenza, ma a valle di un confronto pubblico con gli esperti del settore interessato”.

Un cambio di passo che si può già toccare con mano se si considera come, nonostante il periodo di pausa estiva, il settore delle scienze della vita si sia messo al lavoro già dal giorno successivo alla comunicazione dell’apertura della prima fase delle consultazioni con riunioni serrate, diapositive esplicative (importanti quelle predisposte nella riunione degli IRCCS, che riassumono l’intera iniziativa e le azioni operative), discussioni sulle strategie di intervento, scambio di documenti, individuazione di esperti in tecnologie d’avanguardia e stakeholder all’interno di IRCCS, Atenei, Istituzioni di Ricerca e della Federazione Italiana Scienze della Vita (FISV), per arrivare pronti alla scadenza di fine settembre. Un movimento che per una volta ha visto enti, ospedali e centri di ricerca lavorare in modo sinergico per disegnare il parco tecnologico del futuro.

Gli aspetti virtuosi della Convenzione

Diversi sono gli aspetti innovativi e positivi di quello che si spera possa rappresentare in futuro il modus operandi per allocare risorse pubbliche in modo rigoroso, informato e competitivo, a cominciare dalla possibilità – pressoché inedita in Italia - di fare rete per proporre piattaforme tecnologiche e strumenti tra i più avanzati e innovativi nel panorama nazionale e internazionale, dotati di personale altamente qualificato per affrontare le sfide pratiche e le questioni strategiche legate alla gestione e all’accesso a tale strumentazione.

Altrettanto inedita nel nostro Paese è la prospettiva di una consultazione pubblica che, archiviando per un momento la decennale politica di competizione a risorse scarse, spesso definita “guerra tra poveri”, chiama gli studiosi collettivamente, in modo aperto e trasparente, a svolgere una operazione di lavoro sinergico dove ogni stakeholder diventa funzionale alla proposta di un altro ed insieme concorrono alla realizzazione di segmenti di quelle PN che saranno destinate all’intera comunità scientifica nazionale. Ogni ente, ma anche più enti insieme, in base alle proprie esperienze e competenze, potrà immaginare di proporre l’insieme dei segmenti/unità infrastrutturali di una intera piattaforma tecnologica, oppure predisporre in ciascun modulo la precisa descrizione di ogni singola unità infrastrutturale di cui si deve comporre ogni PN. L’integrazione dei diversi moduli che ogni stakeholder sottometterà e riferiti alle varie Piattaforme spetterà al comitato tecnico che, oltre a “comporli” per completare le singole PN, definirà e proporrà anche la priorità di realizzazione delle stesse.

Le Piattaforme Nazionali così realizzate comporteranno molteplici vantaggi per la ricerca del Paese:

  1. La possibilità di disporre di un parco tecnologico per le scienze della vita completo, ricco di competenze, costantemente aggiornato e a libero accesso (competitivo). Negli anni, ogni ente o istituto di ricerca si è trovato ad allestire strumenti al proprio interno – con risorse sempre deficitarie, sacrificando magari altri sviluppi - e formare personale per corrispondere nei limiti del possibile ad alcune esigenze dei propri ricercatori. Frammenti di piattaforme e facilities comprensibilmente disegnate per il singolo ente e le relative ricerche, quindi fisiologicamente prioritarie su qualsiasi eventuale richiesta esterna e pertanto non strutturate per essere accessibili e per rispondere alle necessità continue di ricercatori di un intero Paese. La sfida a cui sono invece chiamati oggi gli studiosi e gli specialisti italiani è quello di proporre la creazione delle migliori e più complete piattaforme tecnologiche, riunite in un luogo unico, con logiche marcatamente nazionali. Per amplificare i vantaggi e l’impatto di questo investimento nel futuro della ricerca e del Paese, queste logiche non dovranno tuttavia perdere di vista l’integrazione e armonizzazione delle PN nel contesto delle infrastrutture di ricerca internazionali ed in particolare europee. Ci riferiamo a iniziative come le infrastrutture per le scienze della vita riconosciute dall’ESFRI, quali ELIXIR, BBMRI, Euro-BioImaging, Instruct e altre, e all’European Open Science Cloud. Queste realtà hanno visto negli anni, spesso non senza difficoltà, una forte crescita dell’impegno e della partecipazione delle istituzioni di ricerca del nostro paese e dei loro ricercatori, uno sforzo volto ad assicurare all’Italia un ruolo da protagonista nelle scelte strategiche a livello di infrastrutture di ricerca in Europa. Il coordinamento a livello nazionale e sovranazionale con queste realtà ci offrirebbe l’opportunità di fare delle PN non solo un potente catalizzatore per la ricerca nazionale ma di andare oltre, fornendoci i mezzi per influire con maggior peso specifico sulle scelte strategiche e di policy che determineranno il futuro della ricerca nel nostro continente per i decenni a venire.
  2. La possibilità, da parte dei vari stakeholder, di risparmiare sui singoli piani di investimento in tecnologie e sui costi per la loro manutenzione, liberando così risorse pubbliche da impegnare in altri settori della ricerca e della formazione. Ogni anno le diverse università, gli ospedali e i centri di ricerca destinano un budget più o meno consistente (si va da un minimo di 500.000 euro/anno a diversi milioni di euro/anno) per la realizzazione e la manutenzione di piccole, medie e grandi attrezzature. Si tratta di competenze e strumentazione difficili da rinnovare e manutenere, soprattutto se si considera che la tecnologia a supporto delle scienze della vita è a rapida obsolescenza, che l’upgrade è sempre costoso, che dopo poco tempo i mancati aggiornamenti comportano perdita di competitività e che anche i soli costi di manutenzione sono consistenti. Centralizzare le diverse PN significa fornire un know-how tecnico-scientifico altrimenti difficilmente accumulabile, prevenire l’invecchiamento delle strumentazioni con un loro continuo aggiornamento ed evitare duplicazioni infrastrutturali. Si viene così a creare un significativo vantaggio, non solo in termini di “economia di scala”, ma anche di efficacia di investimento pubblico in risorse umane e competenze qualificate capace di rendere i nostri ricercatori ancora più competitivi a livello internazionale.
  3. Soprattutto, l’iniziativa non ambisce a suddividere potere e/o risorse tra enti ma è diretta a liberare il potenziale progettuale e tecnologico di ogni singolo ricercatore del Paese, a partire dai più giovani. Ovunque essi siano, qualunque sia il tema della loro ricerca e a qualsiasi ente appartengano, potranno accedere direttamente, con il proprio nome, per via competitiva alle PN applicando in ogni momento dell'anno per chiedere l’accesso e quindi svolgere la parte tecnologica del proprio progetto di ricerca sapendo che i costi della realizzazione di quella parte tecnologica svolta presso le PN saranno coperti dalla “quota Convenzione”. Insomma, ogni ricercatore non solo potrà accedere alle migliori tecnologie e competenze, ma l’accesso garantirà la copertura di ogni spesa per la parte progettuale svolta presso le PN, inclusi i costi (spesso ingenti) dei reagenti, per la mobilità e l’eventuale formazione dei ricercatori esterni a HT. La copertura globale dei costi vivi dell’esperimento svolto è un unicum in termini di diritti, equità e potenziale di sviluppo. Non esistono infatti in Italia nemmeno facilities (entità più limitate rispetto alla completezza di una piattaforma di competenze, strumenti e protocolli sperimentali) e laboratori locali in grado di garantire la copertura costi di un progetto esterno. O di disporre del proprio personale affinché risponda istantaneamente e interamente alle ricerche di decine e decine di richiedenti invece che alle priorità locali o di chi gestisce per sé quelle facilities. O, ancora, di comprendere l’interezza e garantire l’aggiornamento continuo di apparecchiature tecnologiche come quelle necessarie per la genomica, le quali ogni anno subiscono un’autentica rivoluzione concettuale e sperimentale. Ecco perché le PN presso HT diventeranno un importantissimo trampolino per molte ricerche, una grande opportunità a vantaggio soprattutto dei giovani ricercatori e dei piccoli gruppi di ricerca, finalmente liberi di sperimentare con una solida garanzia di copertura finanziaria degli esperimenti proposti, accrescendo in questo modo la propria competitività a livello nazionale e internazionale.

Da settimane c’è grande movimento tra gli scienziati italiani. Chi – come gli scriventi - fa ricerca nel campo delle scienze della vita in Italia sa bene quanto bisogno abbiamo di piattaforme di genomica, proteomica, metabolomica, metagenomica, imaging, single cell omics, genome (CRISPR) and tissue engineering e tante altre, ognuna composta di diverse unità infrastrutturali, che si tratti di SNP genotyping, high-throughput single cell analysis, proteomica spaziale (un’altra meta inarrivabile per la stragrande maggioranza degli studiosi ed enti visto il costo e la complessità di tale tecnologia rivoluzionaria) e altro ancora, integrate tra loro e gestite da una squadra di scienziati e tecnici di altissima formazione e qualificazione a supporto di qualsiasi progetto di ricerca. Il budget della “quota Convenzione” (circa 70 milioni/anno per sempre) prevede infatti per le PN anche il reclutamento di personale tecnico-scientifico specializzato dedicato a far crescere, in sinergia con i richiedenti, i tanti progetti del Paese che chiederanno accesso. Uno snodo centrale, dunque, nei tanti sviluppi progettuali della ricerca, dalla messa a punto dell’esperimento alla sua esecuzione e realizzazione. La Convenzione prevede inoltre che il richiedente cui venga garantito l’accesso possa recarsi presso HT per il tempo necessario allo svolgimento del lavoro (magari alcune settimane) oppure inviare il materiale previa discussione e progettazione del lavoro da svolgere o ancora chiedere un accesso formativo che gli/le insegni a utilizzare le Piattaforme necessarie ai suoi studi per poi tornare nel suo territorio ed ente di ricerca e promuovere ulteriormente, in loco, le potenzialità delle tecnologie e delle PN utilizzate.

Tuttavia, il tema sta suscitando interesse anche al di fuori delle scienze della vita e della salute: STEM, antropologia e archeologia, scienze storiche e sociali sono a esse intimamente connesse in progetti transdisciplinari che sempre di più rappresentano frontiere di conoscenza e sviluppo culturale e tecnologico.

Una grande opportunità concentrata in un unico parco tecnologico ma in grado di rendere più produttivo l’intero Paese. Le nazioni che hanno adottato questa centralità di tecnologie sulle scienza della vita, come la Svezia, ne hanno già pienamente misurato e dimostrato i vantaggi, primo fra tutti il maggior impatto internazionale di quella ricerca che si avvale delle loro piattaforme nazionali.

Da noi, un esempio concreto del contributo che queste PN potrebbero dare alla ricerca italiana viene dalla tecnologia per determinare il contenuto di RNA e proteine a livello di ogni singola cellula e caratterizzare le differenze di espressione genica (grazie alle tecniche di genomica) e proteica (proteomica) tra una cellula normale e una cellula malata o tumorale. Siamo fatti da miliardi di cellule che ogni giorno, ogni ora, ogni minuto si “parlano”, interagiscono e si moltiplicano secondo equilibri rigorosi e stabiliti. E quando qualcosa in questo equilibrio fallisce, l’intero organismo può soccombere. Fino a cinque anni fa queste tecnologie permettevano di studiare al massimo poche decine di cellule di un tessuto ed erano appannaggio di pochissimi gruppi, risultando complesse e molto costose. Ora siamo addirittura a livello di analisi contemporanea di decine di migliaia di cellule. E tra un anno la routine sarà milioni. Non solo. Ora su singole cellule si può studiare contemporaneamente il profilo degli RNA e anche lo stato della cromatina di ogni singolo locus genico. Ancora più sorprendente è che oggi le tecnologie di trascrittomica e proteomica spaziale permettano la mappatura dell’“attività genica” di ogni singola cellula nella sua localizzazione tessutale, potendo analizzare cosa succede in una sottopopolazione cellulare adiacente ad un’altra. L’analisi a livello di singola cellula potrà essere estesa anche a livello delle cellule microbiche e ci consentirà di caratterizzare in modo straordinariamente accurato le attività e le funzioni (o disfunzioni) del nostro “microbioma”.

In un lasso di tempo brevissimo queste tecnologie e le relative strumentazioni permetteranno altri passi oggi impensabili. Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone sono alla frontiera nel progettare questi avanzamenti tecnologici; un risultato difficile da raggiungere in Italia, continuando a ragionare su singoli enti e laboratori di ricerca, sia per i costi di realizzazione, innovazione e manutenzione, sia per le spesso insufficienti risorse umane in grado di utilizzare e gestire queste potenti piattaforme, nonché di fornire un adeguato know-how tecnico-scientifico.

Dopo tanti anni in cui la ricerca italiana ha sofferto di mancanza-incertezza di finanziamenti e di strategie politiche, abbiamo ora un'opportunità eccezionale e una grande sfida: quella di dotare il Paese di uno spazio ipertecnologico di avanguardia ed innovazione che guidi anche la trasformazione virtuosa dei metodi per allocare le risorse pubbliche, affinché queste siano al servizio di tutti i progetti meritevoli giudicati in modo trasparente.

«Con la firma della Convenzione», come ha ribadito l’ex ministro dell’Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi, a valle della firma, «realizziamo l’obiettivo previsto in legge di Bilancio 2020 di assegnare al polo scientifico di ricerca, nato nell’area ex-Expo, una missione di carattere nazionale, più aperta e inclusiva per i ricercatori italiani, nella logica dell’open science”. Una realtà oggi a portata di mano di tutti i ricercatori italiani, che ora possono contribuire a trasformare quel 55% della “quota Convenzione” in una meta certa e ambita della ricerca italiana, presso cui recarsi, anche per breve tempo, per poi tornare al proprio centro e “contaminare” le realtà locali con i risultati e le esperienze e permettere una crescita culturale e scientifica diffusa. Un risultato che permetterà anche ad HT di diventare un virtuoso epicentro della ricerca italiana».

 


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