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Acqua alta a Venezia: fino a quando basterà il MoSE?

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Immagine di GodeNehler/Wikipedia. Licenza: CC BY-SA 4.0.

Tempo di lettura: 8 mins

Dopo quasi cinquant’anni dalla Legge Speciale per Venezia, approvata nel 1973 per definire gli interventi di salvaguardia della città in seguito alla tremenda alluvione del novembre 1966, il Modulo Sperimentale Elettromeccanico (MoSE) si appresta a entrare in funzione. I 78 pannelli mobili disposti sulle tre bocche di porto della Laguna di Venezia verranno azionati quando il livello dell’acqua supererà i 110 centimetri rispetto a un livello di riferimento chiamato Zero Mareografico di Punta Salute, all’ingresso del Canale della Giudecca. Questo non impedirà che Piazza San Marco si allaghi, trovandosi essa in una delle zone più basse del centro storico, circa 80 centimetri più in alto di Punta Salute. Il livello della pavimentazione cittadina è estremamente variabile, se si pensa che passeggiando vicino al Ponte di Rialto si è a circa 105 centimetri sopra Punta Salute, mentre alla stazione di Venezia Santa Lucia a 135 centimetri.

L’efficacia del MoSE nel proteggere Venezia dipenderà nel breve termine dalla capacità di prevedere il livello dell’acqua nella laguna con sufficiente precisione e anticipo, e nel lungo termine dall’impatto del cambiamento climatico.

Sono queste le domande cui ha provato a dare risposta una edizione speciale della rivista Natural Hazads and Earth System Sciences pubblicata la scorsa settimana, passando in rassegna le conoscenze scientifiche accumulate finora ed elaborandone una sintesi.

«Da cittadino, prima ancora che da ricercatore, ritengo fondamentale ragionare fin da subito sulle prospettive di lungo termine. Per concepire, costruire e mettere in funzione il MoSE sono stati necessari quasi cinquant’anni», esordisce Piero Lionello, professore presso il dipartimento di scienze e tecnologie biologiche e ambientali dell’Università del Salento e uno dei coordinatori del lavoro. «Dobbiamo capire fino a quando il MoSE sarà in grado di proteggere Venezia e la sua laguna. Alcuni scenari climatici indicano che questo tipo di soluzione potrebbe diventare inadeguata nella seconda metà di questo secolo. Iniziare ora la discussione su modifiche e integrazioni della strategia di difesa attuale o sull'ideazione di nuove soluzioni, consentirebbe di essere pronti nel caso in cui gli scenari più pessimistici si avverino.»

Una delle conclusioni di questo importante lavoro di rassegna riguarda infatti l’impatto che il cambiamento climatico sta avendo sulla Laguna.

Tra il 2010 e il 2019 sono stati registrati 40 eventi di acqua alta sopra i 120 centimetri, mentre la media nella prima metà del 1900 è stata di meno di due eventi ogni dieci anni. Se si considerano 110 centimetri, l’aumento della frequenza è ancora più impressionante. Si è passati da circa 4 eventi ogni dieci anni tra il 1900 e il 1950 a 95 eventi registrati tra il 2010 e il 2019.

«L’aumento della frequenza degli eventi di acqua alta osservato negli ultimi decenni è spiegato sostanzialmente dall’innalzamento del livello relativo del mare, cioè dell’effetto combinato dell’aumento del livello medio del mare a dell’abbassamento del suolo», spiega Davide Zanchettin, professore associato al dipartimento di scienze ambientali, informatica e statistica dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e uno dei coordinatori dello studio. «Venezia è particolarmente significativa per studiare l’impatto del cambiamento climatico sulle zone costiere. Possediamo dati storici che coprono gli ultimi 150 anni, si tratta di una delle serie storiche più lunghe sul livello del mare, sia nel Mediterraneo che a livello globale».

L’analisi di queste misure sperimentali mostra un progressivo innalzamento sia del livello medio del mare a Venezia che della frequenza degli eventi estremi di acqua alta. Al contrario, gli eventi meteorologici che di solito sono precursori dell’acqua alta non sono diventati più frequenti negli ultimi decenni.

L’ultimo rapporto dell’IPCC, ha confermato che l’inesorabile aumento del livello medio del mare proseguirà per tutto questo secolo e oltre, anche negli scenari che prevedono una forte riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. L’aumento accelererà rispetto a quanto osservato finora.

A Venezia, in uno scenario di basse emissioni, l’aumento del livello relativo del mare nel 2100 sarà di circa 45 centimetri (con incertezza di circa 25), considerando anche il fenomeno di abbassamento del livello del suolo in corso da centinaia di migliaia di anni a una velocità di circa 10 centimetri al secolo, la cosiddetta subsidenza naturale. In uno scenario di alte emissioni invece, l’aumento potrebbe raggiungere gli 80 centimetri (con incertezza di circa 30).

Credit: Piero Lionello, Robert Nicholls, Georg Umgiesser and Davide Zanchettin (fonte)

Gli autori dello studio osservano che, come conseguenza, la durata delle chiusure del MoSE crescerà da qui al 2100 a un ritmo guidato dall’aumento del livello relativo del mare. In particolare, in uno scenario di basse emissioni è molto improbabile che le chiusure superino un paio di settimane all’anno prima del 2050, ma è sostanzialmente certo che questo accadrà a fine secolo, quando la probabilità di chiusure lunghe due mesi raggiungerà il 50%. In uno scenario ad alte emissioni è improbabile che le chiusure superino un paio di settimane all’anno prima del 2060 ed è certo che superino i due mesi a fine secolo, quando la probabilità di chiudere il MoSE per sei mesi all’anno raggiungerà il 50%.

«Il messaggio è chiaro: gli interventi di mitigazione sono fondamentali. Indirizzare il pianeta verso uno scenario a basse emissioni può ritardare di molte decadi il momento in cui dovranno essere intraprese strategie di adattamento per la Laguna di Venezia radicalmente diverse da quelle che abbiano concepito finora», commenta Lionello.

C’è un fattore che però renderebbe insufficiente la strategia di adattamento basata sul MoSE anche nel medio termine. Nell’ultimo rapporto IPCC vengono infatti indicate delle sorgenti di incertezza finora sottovalutate e che sono legate a fenomeni ancora poco compresi, come il rapido collasso delle calotte polari. «Se questo collasso avvenisse rapidamente, uno scenario considerato improbabile ma plausibile, l’aumento del livello del mare a Venezia supererebbe un metro già nella seconda metà di questo secolo».

La prospettiva di chiusure molto prolungate del MoSE ha destato la preoccupazione di alcuni scienziati che temono che provocherebbero l’esaurimento dell’ossigeno nelle acque della Laguna danneggiando così l’ecosistema unico della zona. Per ridurre la durata delle chiusure, Giuseppe Gambolati e Pietro Teatini, ingegneri all’Università di Padova, hanno proposto di intervenire sul livello del terreno su cui è costruita Venezia.

Come abbiamo anticipato, il suolo si sta abbassando di circa 10 centimetri al secolo da centinaia di migliaia di anni. «Il territorio della laguna è estremamente complesso», commenta Zanchettin. «All’abbassamento del suolo contribuiscono sia processi di natura tettonica, cioè la subduzione della placca adriatica sotto quella degli Appennini, sia di natura morfodinamica, ovvero la compattazione dei sedimenti accumulati nella Pianura Padana e lo scioglimento dei ghiacciai continentali dalla fine dell’ultima era glaciale».

A questi processi naturali e lenti, si è aggiunto tra il 1930 e il 1970 l ‘estrazione di acqua di falda per uso agricolo e industriale, che ha causato un abbassamento di più di 10 centimetri nell’arco di questo periodo. Proprio questa esperienza ha ispirato Gambolati e Teatini: pompare acqua a grande profondità nel terreno per alzare il livello del suolo. La proposta è presentata in dettaglio in un libro intitolato Venice shall rise again. «L’idea è realizzare il processo inverso a quello avvenuto negli anni Cinquanta», spiega Georg Umgiesser, oceanografo dell’Istituto di Scienze Marine del Centro Nazionale delle Ricerche e uno dei coordinatori della rassegna. «Verrebbe pompata acqua salata nel sottosuolo a una profondità di circa 750 metri. Questo ha due vantaggi, da una parte non interferirebbe con l’acqua dolce della falda, dall’altra permetterebbe di alzare il livello della città in modo omogeneo su tutta la sua superficie» e aggiunge «è stato stimato un innalzamento di 30 centimetri». Un intervento del genere compenserebbe l’innalzamento del livello medio del mare osservato negli ultimi 150 anni, ma per ora resta una proposta la cui messa in pratica deve essere ancora valutata.

Le prospettive nel lungo periodo sono a tinte fosche, ma anche il futuro più prossimo è motivo di inquietudine. L’acqua alta del 12 novembre del 2019, quando il livello del mare nella laguna raggiunse 189 centimetri, ha infatti suonato un campanello d’allarme sulla capacità dei modelli di prevedere gli eventi estremi e dunque guidare efficacemente le chiusure del MoSE.

«È stato un evento estremamente interessante, non solo per l’altezza, seconda solo ai 194 centimetri raggiunti nel novembre del 1966, ma perché ha cambiato la visione tradizionale di come può generarsi un evento estremo di acqua alta a Venezia», spiega Lionello. «I predecenti eventi estremi, quelli del novembre 1966, dicembre 1979 e ottobre 2018, sono stati causati da un fenomeno chiamato storm surge, associato alla presenza di un intenso ciclone a ovest dell’Italia il cui passaggio spinge l’acqua dell’Adriatico verso la sua costa settentrionale. La maggior parte dell’anomalia registrata in quelle occasioni può essere spiegata da questo fenomeno, con contributi notevolmente inferiori da parte di maree, onde di sessa (onde stazionarie che si creano in bacini chiusi o semichiusi, ndr) e altri processi. Nel 2019, invece, diversi fenomeni oltre allo storm surge hanno contribuito, tutti in parti confrontabilii, all’acqua alta. Nessuno da solo avrebbe causato un’acqua alta di quella portata, ma c’è stata un’interferenza costruttiva che i modelli non sono stati in grado di prevedere».

«In quell'occasione le imprecisioni nella valutazione dei singoli contributi, che hanno determinato l'evento, si sono sommate producendo una previsione poco accurata. Per ridurre questa incertezza bisogna conoscere meglio le condizioni iniziali del livello del mare in tutto l’Adriatico e le condizioni al contorno, vento e pressione», aggiunge Umgiesser, «ma un elemento importante è anche la comunicazione di questa incertezza alle autorità. Attualmente, nelle nostre comunicazioni con il Comune non è prevista l’incertezza. Sono fiducioso che presto questo cambierà», conclude.

L'attività scientifica di Georg Umgiesser e Davide Zanchettin è stata effettuata nell'ambito del Programma di ricerca Venezia2021, coordinato da CORILA, con il contributo del Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche per il Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia.

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