fbpx Un pipistrello endemico. E molto a rischio | Scienza in rete

A rischio d'estinzione l'unico pipistrello endemico in Italia. Ecco perché proteggerlo

Un recente studio segnala un grave declino della popolazione di orecchione sardo (Plecotus sardus), una specie endemica della Sardegna, la cui popolazione è diminuita del 63% nell’arco di appena vent’anni. Tra i fattori che più hanno contribuito al tracollo vi sono gli incendi, le ondate di calore e il disturbo antropico.

Crediti immagine: Mauro Mucedda

Tempo di lettura: 6 mins

In un recente articolo su Scienza in rete, Laura Scillitani ricordava come la nostra penisola sia, in Europa, uno dei luoghi più ricchi di specie e sottospecie – e come, tuttavia, questa straordinaria ricchezza sia in realtà a rischio, come evidenziato dal Rapporto direttive natura 2013-2018 pubblicato da ISPRA, con una vasta proporzione di habitat e specie in uno stato di conservazione sfavorevole. E, per alcune specie, la situazione è davvero critica: è il caso dell’orecchione sardo (Plecotus sardus), un pipistrello che rappresenta proprio una delle specie endemiche che rendono così ricca la biodiversità italiana. Secondo uno studio recentemente pubblicato su Biodiversity and Conservation e firmato da un gruppo di ricercatori italiani, infatti, la popolazione di questa specie si è ridotta di oltre la metà nell’arco di appena vent’anni, ossia praticamente dal momento della sua scoperta. A minacciarlo, un insieme di elementi che vanno dal disturbo antropico agli effetti del cambiamento climatico. Una notizia pessima perché, anche se dell'ecologia della specie sappiamo ancora poco, i pipistrelli hanno un ruolo ecologico di grandissima importanza (ne abbiamo parlato anche su queste pagine), e che è particolarmente importante ricordare in questo periodo, che ha visto la pandemia associata a una crescente ostilità per questi animali e che a sua volta può portare a problemi di conservazione.

Scoprire una specie e rischiare di perderla

Le isole sono note per essere luoghi chiave per la biodiversità, ambienti in cui vive il maggior numero di specie endemiche (cioè che non si trovano in altri luoghi). Allo stesso tempo, sono ambienti fragili, in cui le minacce alle specie, spesso adattate a ecosistemi specifici e non in grado di fronteggiare l’arrivo di nuovi predatori, competitori per le risorse, o minacce come quelle rappresentate dagli effetti del cambiamento climatico, come l’alterazione delle precipitazioni e delle temperature.

È quanto il nuovo studio osserva anche per Plecotus sardus o orecchione sardo, una delle sole quattro specie endemiche di ambienti insulari in Europa. «Si tratta dell’unico pipistrello endemico italiano, e la sua scoperta risale a tempi molto recenti, perché è una specie criptica: solo le indagini genetiche hanno permesso, nel 2002, di classificarlo come specie a sé stante. L’orecchione sardo vive in un areale estremamente ridotto, limitato alla Sardegna centrale», spiega Danilo Russo, ecologo dell’Università di Napoli Federico II e coordinatore dello studio. «Quindi, in sostanza, possiamo ben dire che l’abbiamo appena scoperto e già rischiamo di perderlo».

Già quando era stato identificato, infatti, l’orecchione sardo presentava una popolazione estremamente ridotta, inferiore ai mille individui, ed era stato classificato come “vulnerabile” nella Redlist della IUCN. La scarsa popolazione, unita a un numero molto limitato di rifugi (appena cinque) hanno almeno avuto il vantaggio di consentire agli esperti un monitoraggio costante della popolazione nel tempo. Ma, purtroppo, con risultati davvero allarmanti per la conservazione della specie. Dal 2002 al 2020, infatti, la popolazione registra un declino drammatico, di oltre il 60%, che, spiega Russo, «ci fa stimare l’estinzione in un arco di tempo che va dal 2040 (nelle stime più pessimistiche) al 2085».

Fattori ambientali, fattori antropici

Le cause di questo declino sono il focus del recente lavoro condotto dai ricercatori italiani che, impiegando un approccio modellistico, hanno valutato come determinati fattori ambientali, tra cui alcuni direttamente o indirettamente legati al cambiamento climatico, hanno influenzato la popolazione di P. sardus negli ultimi vent’anni. Tra i fattori i cui effetti sulla popolazione del pipistrello sono risultati più importanti vi sono innanzitutto gli incendi, sebbene non sia del tutto noto come questi influenzino la popolazione di chirotteri. Comunque, scrivono gli autori, è probabile che questo tipo di stress, che potrebbe avere conseguenze meno negative per una specie la cui popolazione sia in buona salute e che vive in aree ricche di habitat idonei, risulti invece particolarmente nocivo per una specie il cui habitat è limitato e la cui popolazione ridotta.

D’altronde, gli incendi sono solo uno dei fattori che risultano influenzare negativamente la popolazione di P. sardus: l’analisi mostra infatti che anche le ondate di calore, intese come giornate in cui la temperatura è rimasta al di sopra dei 35 gradi, e l’alterazione delle precipitazioni modificano il tasso di crescita delle colonie. Per quanto riguarda le prime, è nota la correlazione con la mortalità dei chirotteri a causa della disidratazione; per quanto riguarda invece le precipitazioni, il discorso è un po’ più complesso. Il problema, infatti, si pone quando la pioggia si discosta dai valori intermedi: le precipitazioni troppo scarse o eccessive, infatti, sembrano poter influenzare negativamente il successo riproduttivo di questa specie alterando la disponibilità di insetti di cui si nutre. Questo avviene, in caso di precipitazioni scarse, perché diminuisce la popolazione di insetti, e in caso di precipitazioni elevate riducendo la disponibilità di prede e ostacolando il volo e l'ecolocalizzazione.

Il quarto fattore che ha giocato un ruolo pesante nel declino dell’orecchione sardo ha un effetto molto più diretto. Si tratta infatti del disturbo antropico: «I pochissimi rifugi noti di questa specie sono per lo più ruderi o casolari abbandonati, e su alcuni di essi sono stati intrapresi lavori che hanno portato alla morte degli animali», spiega Russo.

Servono strategie di conservazione e protezione

«I dati del monitoraggio a lungo termine indicano un declino davvero significativo della popolazione, della quale contiamo oggi poco più di 300 individui. Purtroppo, essendo stato scoperto così di recente, l’orecchione sardo non è stato incluso nell’allegato II della Direttiva Habitat, che identifica le specie per le quali è prioritaria la conservazione. È anche per questa ragione che, con il nostro lavoro, abbiamo applicato i criteri di classificazione impiegati dalla IUCN e chiediamo un aggiornamento della classificazione dello stato di conservazione della specie nella Redlist, che dovrebbe passare da “vulnerabile” a “a rischio critico” – la categoria immediatamente precedente all’estinzione», continua il ricercatore. «Intanto, il nostro lavoro ci consente di individuare alcuni fattori il cui ruolo risulta particolarmente significativo per la conservazione della specie: sappiamo, per esempio, che per la tutela di P. sardus la mitigazione e una miglior gestione degli incendi sarà fondamentale; inoltre, un intervento che potrebbe aiutare la popolazione sarebbe l’acquisto degli edifici che ospitano i rifugi e sottoporli a una stretta osservazione, una strategia particolarmente fattibile se si considera il numero limitato di rifugi noti». Questo tipo di azione è stata già messa in atto per altre specie da alcune organizzazioni in Europa: per esempio, la Vincent Trust Conservation ha acquistato una serie di edifici in Irlanda e Gran Bretagna proprio per creare delle riserve a tutela di alcune rare specie di chirotteri.

«Anche se abbiamo avuto modo di scoprire ancora solo molto poco dell’ecologia di P. sardus, sappiamo che, come insettivoro, potrebbe avere un ruolo importante nel tenere sotto controllo le popolazioni di insetti», conclude Russo. «Ma soprattutto, più in generale questo studio ci permette di usare la specie come indicatore di una biodiversità a rischio: che una specie così delicata subisca un declino tanto significativo nel corso di pochi anni racconta molto dello stato di salute del territorio, suggerendo che potremmo star perdendo a ritmi simili anche specie tenute meno sotto osservazione».

 


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