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Supponiamo di avere una classe di 25 ragazzi. Ventuno ragazzi, pari all’84%, seguono con profitto le lezioni e quattro invece hanno difficoltà per vari motivi: magari sono distratti, o non hanno sufficienti strumenti di base o non riconoscono in qualche modo l’autorevolezza dei professori e non li ascoltano. Cosa decideremmo di fare? Chiamiamo quei quattro e cerchiamo di capire il motivo del loro disagio per provare a intervenire a livello individuale senza sottoporre gli altri ventuno a estenuanti ripetizioni e inviti all’impegno.
Trasliamo l’esempio all’intera popolazione italiana sul tema delle vaccinazioni contro la pandemia corrente. Circa 45 milioni di italiani (84% degli invitati) si sono vaccinati con due dosi di vaccino e circa sette milioni ancora non hanno aderito all’invito e potremmo definirli genericamente “esitanti vaccinali”. Tra questi sette milioni ci sono senz’altro persone con motivazioni diverse e interi nuclei familiari che contribuiscono quindi alla numerosità dei suscettibili alle infezioni in diversi gruppi di età a partire dagli adolescenti. Se dovessimo comportarci come nell’esempio della scuola, dovremmo capire chi sono esattamente i non vaccinati, studiare le motivazioni della mancata vaccinazione, identificare gli ostacoli rimovibili e così promuovere a livello individuale l’adesione alla vaccinazione. Invece ci troviamo a discutere di provvedimenti a tappeto sull’intera popolazione, come l’introduzione dell’obbligo vaccinale oppure dell’effetto del green pass esteso, in vigore da poche settimane.
Nel campo delle vaccinazioni per l’infanzia, palestra fondamentale per saggiare l’efficacia di vari approcci all’offerta di vaccinazione, da tempo c’è consenso unanime sul fatto che l’offerta attiva con chiamata diretta dei vaccinandi sia il modo migliore per raggiungere tutti. Lo stesso sistema viene applicato anche ad altri settori della prevenzione, per esempio con la chiamata attiva per gli screening oncologici, che non sono obbligatori, ma sono opportunità di salute. Perché non applicare anche alla situazione attuale lo stesso approccio?
Anche il commissario straordinario all'emergenza in una circolare del 4 novembre 2021 inviata alle Regioni raccomanda di completare i cicli di immunizzazione primari e andare avanti con le dosi booster ricorrendo anche in modo sistematico alla chiamata attiva. Perché non estendere la raccomandazione di procedere nello stesso modo anche per i non vaccinati e così raggiungerli individualmente?
Sembra che l’ostacolo maggiore sia il rispetto delle norme sulla riservatezza dei dati su chi sia vaccinato e chi no. Addirittura in nome della confidenzialità (almeno così dicono) nel Regno Unito o in Germania non vengono identificati i medici vaccinati e quelli non vaccinati. Che libertà di scelta resta ai cittadini che non possono decidere di farsi curare in modo più sicuro da medici vaccinati?
Insomma sembra alquanto strano che all’interno dei servizi sanitari, in cui tutti gli operatori maneggiano continuamente dati sensibili e sono tenuti alla riservatezza, non sia possibile definire chi sono i sette milioni di non vaccinati, dove sono localizzati, a quanti nuclei familiari indipendenti appartengono e soprattutto chi sia il loro medico di riferimento con cui potrebbero valutare l’offerta di vaccinazione. I dati necessari sono tutti nell’anagrafe assistiti e in occasione di un contatto diretto si potrebbero indagare i motivi individuali dell’esitazione e si potrebbero offrire soluzioni personalizzate, che possano dissolvere i timori e altre incertezze, erodendo così la numerosità degli esitanti. E certamente l’identificazione dei non vaccinati sarebbe nell’interesse degli stessi e non per un generico bene della popolazione generale. Uno studio in corso di pubblicazione sulla rivista Epidemiologia e Prevenzione ha identificato alcuni fattori associati alla mancata vaccinazione nella estesa area della ATS di Milano con circa tre milioni di residenti. Tra i fattori identificati alcuni sembrano plausibilmente associabili a ostacoli di comunicazione (per esempio essere cittadino straniero), oppure a difficoltà di accesso tecnologico alle prenotazioni. Insomma alcuni dei fattori più rilevanti sembrano essere associati a ostacoli rimovibili. Un’altra fonte importante di informazioni sulle motivazioni dei non vaccinati dovrebbe provenire dall’indagine sui casi di infezione da SARS-CoV-2 diagnosticati tra i non vaccinati, proprio per comprendere cosa non abbia funzionato su coloro che si sono anche contagiati. Indagine che dovrebbe essere standardizzata sul territorio nazionale per condividere i risultati e trovare anche soluzioni comuni.
A luglio, l’Autorità garante per la protezione dei dati personali ha emanato un decalogo in merito alla chiamata attiva delle persone invitate a vaccinarsi perché appartenenti a gruppi prioritari e successivamente ha reiterato il perimetro di cosa è permesso o meno. Nel decalogo è previsto che in base all’utilizzo dei sistemi informativi correnti, i sanitari di riferimento di ogni persona assistita (quindi ASL e medico di medicina generale o pediatra di libera scelta) possano sensibilizzare le persone a cui è rivolto l’invito a vaccinarsi, quindi la chiamata diretta individuale sembra possibile. Nello stesso decalogo, purtroppo, è anche esplicitato il divieto della raccolta della motivazione della mancata vaccinazione per evitare conseguenze pregiudizievoli. Certamente questo punto è a tutela della singola persona, ma potrebbe essere valutato se il sanitario di riferimento possa registrare in modo anonimo e classificare in poche categorie predefinite gli ostacoli alla vaccinazione come riferiti dall’assistito.
Se è comprensibile la necessità di stabilire regole per un uso adeguato dei dati individuali, non è comprensibile perché non si lavori per stabilire come promuovere l’interesse del singolo e della comunità identificando e rimuovendo gli ostacoli di accesso alla prevenzione, attivando ulteriori canali di offerta rispetto a quanto fatto finora e chiarendo quali siano i vincoli attuali.
L’Agenzia delle Entrate, per motivi fiscali e nel mio interesse, registra se nel corso dell’anno ho comprato un’aspirina o ho fatto una visita specialistica. Perché non possiamo avere un sistema sanitario che, per temi di rilevanza nazionale, identifichi le necessità di ciascuno di noi e ci offra soluzioni, senza dover ricorrere a nuove leggi e provvedimenti a tappeto su tutti (certamente ridondanti per l’84% della popolazione), che aprono altri problemi e dibattiti senza fine?