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L'ingerenza dell'industria del tabacco nelle politiche pubbliche in Italia

Il Global Tobacco Industry Interference Index 2021 mostra che l’Italia è tra i Paesi in cui le politiche relative al tabacco sono più esposte all’interferenza dell’industria: in quest'articolo, il Gruppo Italiano del Global Tobacco Industry Interference Index ne illustra punto per punto le motivazioni.

Crediti immagine: Pubblicità di sigarette, anni 70.

Tempo di lettura: 11 mins

Nel mese di novembre, il terzo Global Tobacco Industry Interference Index relativo all’anno 2021 ha rilevato che l’Italia, con 79 punti su 100, è tra i Paesi in cui le politiche relative al tabacco sono più esposte all’interferenza dell’industria. In questa biasimevole classifica, il nostro Paese è preceduto solo dalla Repubblica Dominicana (96 punti su 100), la Svizzera (92) e il Giappone (88). All’estremo opposto, tra i Paesi che hanno protetto meglio le loro politiche dagli interessi del settore del tabacco, troviamo la Nuova Zelanda (30), il Regno Unito (32), la Francia (33). Nel diagramma, sono riportati i valori di tutti gli 80 Paesi partecipanti. 

Global Tobacco Industry Interference Index 2021  

Il conflitto insanabile tra industria del tabacco e salute pubblica

Il concetto di interferenza dell’industria del tabacco deriva dalla Convenzione Quadro per il Controllo del Tabacco, il primo trattato internazionale al mondo per la tutela della salute pubblica che riconosce i danni provocati dai prodotti del tabacco e dalle aziende che li fabbricano. Inoltre, stabilisce obiettivi e principi giuridicamente vincolanti che le Parti firmatarie (come l’Italia e l’Unione Europea) sono tenuti a rispettare. L’articolo 5.3 della Convenzione, riconoscendo il “conflitto fondamentale e insanabile tra gli interessi dell'industria del tabacco e le finalità delle politiche per la salute pubblica”, vincola i firmatari a proteggere le politiche per la salute da interessi commerciali e altri interessi consolidati dell’industria del tabacco. Le linee guida per l’attuazione dell’articolo 5.3 forniscono i principi e le raccomandazioni che consentono agli Stati firmatari della Convenzione di definire misure specifiche atte a tutelare la salute dai tentativi dell’industria del tabacco di esercitare la propria influenza economica e politica. Il Global Tobacco Interference Index è uno degli strumenti per monitorare i tentativi delle aziende di orientare le politiche sanitarie. E, come abbiamo visto, l’Italia non ne esce bene.

Compilato dal Global Centre for Good Governance in Tobacco Control (GGTC), uno degli Hub della Conoscenza della Convenzione, il Global Tobacco Interference Index misura l’ingerenza dell’industria del tabacco nella vita politica di un paese e quantifica gli sforzi messi in atto dai governi per contrastare l’influsso di questa lobby potentissima. Sono presi in considerazione 7 dimensioni dell’interferenza:

  1. Partecipazione dell’industria allo sviluppo delle politiche
  2. Attività di cosiddetta responsabilità sociale dell’industria
  3. Favoritismi all’industria del tabacco
  4. Trasparenza dei rapporti tra settori del governo e industria del tabacco
  5. Interazioni non necessarie
  6. Conflitto d’interesse
  7. Prevenzione dell’interferenza nelle decisioni politiche e nei processi legislativi.

Ogni dimensione è valutata con indicatori, in tutto 20, misurati con un punteggio che, per la maggior parte degli indicatori, va da 0 a 6, assegnato con metodi standardizzati, utilizzando dati disponibili e pubblici. La somma dei punteggi dei 20 indicatori misura il livello di interferenza del tabacco nel singolo Paese, e può andare da 0 (nessuna interferenza) a 100 (massima ingerenza).

L’immagine dell’industria del tabacco e la sua capacità di influire sulle politiche pubbliche in Italia

La sigaretta è l’unico prodotto che, se usato come prescritto, uccide un consumatore su due e al suo consumo sono attribuibili in Italia più di 90.000 decessi all’anno, più di 8 milioni nel mondo (dati Institute for Health Metrics and Evaluation, 2019).

Nei primi anni 2000, sulla base di questi numeri e dei suoi comportamenti scorretti, sanzionati severamente nei tribunali USA, l’industria del tabacco sembrava costretta a muoversi nell’ombra e adottava una retorica tutto sommato difensiva: “fumare fa male, ma è una libera scelta”. Lontani sembravano i tempi di “Marlboro man”, di Mina che canta “Fumo blu”, dell’alleanza con le auto da corsa Ferrari e Mc Laren, la pubblicità palese o occulta da parte di divi del cinema. Dopo il successo della legislazione che sanciva il divieto di fumo nei luoghi pubblici, in Italia, il tabacco sembrava avviato verso un lento declino.

Invece oggi assistiamo a una normalizzazione della presenza dell’industria del tabacco nella società italiana. Come è potuto accadere?

Due anni sono cruciali: il 2004 è l’anno in cui cominciano a circolare in Italia le sigarette elettroniche e il 2014 è quando la Philip Morris avvia in Italia la commercializzazione delle sigarette a tabacco riscaldato. L’industria ha accompagnato la vendita di questi prodotti con una retorica del tutto diversa da quella basata sulla libertà di scelta. Dichiarandosi consapevole dei danni delle sigarette combustibili per la salute, sostiene che i suoi sforzi sono volti a combattere il “fumo”, proponendo prodotti del tabacco che non bruciano il tabacco, in sostituzione delle sigarette convenzionali. Una varietà di nuovi prodotti (sigarette elettroniche, tabacco riscaldato e, in altri paesi, anche sacchetti di polvere di tabacco per uso orale) ampliano l’offerta di nicotina e tabacco in Italia e nel mondo.

La nuova retorica e il potere miliardario di un’industria transnazionale hanno trovato la politica italiana disarmata e acquiescente: i governi hanno offerto a Philip Morris prima, e a British American Tobacco dopo, le migliori condizioni per impiantare in Italia le fabbriche dei loro nuovi prodotti del tabacco, hanno ridotto le tasse su questi prodotti, prima (con il Governo Renzi) alla metà dell’aliquota che grava sulle sigarette, poi a un quarto (con il Governo 5 Stelle - Lega), hanno favorito accordi per la ripresa della tabacchicoltura Italia, e hanno consentito che si facesse pubblicità a questi prodotti, perché i dispositivi elettronici non sono considerati prodotti del tabacco, anche se il loro unico uso è di far consumare nicotina e tabacco.

Con i ricavi sui nuovi prodotti moltiplicati dall’enorme sconto fiscale, l’industria del tabacco ha potuto aumentare gli investimenti, compreso quelli in ricerca e sviluppo. Con l’unico ostacolo del Ministero della Salute che, allineandosi alla posizione dell’OMS, continua a sostenere che non è una strategia di sanità pubblica, la “riduzione del danno” viene spacciata dall’industria come la soluzione del problema fumo. Si promette di poterlo ottenere grazie a prodotti altamente innovativi e tecnologici, caratterizzati da un design evocativo e distribuiti con un sapiente utilizzo delle tecniche di marketing. Forti di questa posizione “morale”, le multinazionali del tabacco operanti in Italia promuovono una immagine di sé stesse come eccellenze della qualità industriale, nei campi dell’equità salariale, della parità uomo-donna, della responsabilità sociale e della sostenibilità ambientale e sociale.

La “riduzione del danno del tabacco” è una strategia di marketing

Le multinazionali che dichiarano di voler risolvere il problema del fumo di sigarette con la sostituzione delle sigarette tradizionali con quelle elettroniche o con il tabacco riscaldato, quali prodotti a minor rischio, sono le stesse che, oggi come ieri, promuovono e vendono le sigarette convenzionali in tutto il mondo. Hanno avuto bisogno di far fronte a un calo delle vendite che sembrava inarrestabile e a un’immagine pubblica oramai impresentabile. I fatti mostrano che i nuovi prodotti del tabacco mirano prevalentemente ad adescare consumatori che si sarebbero allontanati dalla dipendenza dal tabacco, a riagganciare ex-fumatori e ad avviare i ragazzi alla dipendenza dalla nicotina e dal tabacco.

Come è possibile vedere dalla figura, le vendite di sigarette stavano calando a un ritmo del 2,8% all’anno e quella di tutti i prodotti del tabacco a un ritmo lievemente inferiore, ma negli ultimi anni, le due curve si stanno distanziando, perché quella dell’insieme dei prodotti del tabacco sta assumendo una forma orizzontale: cala di poco o per nulla. E questo tenendo conto del solo tabacco riscaldato, visto che i volumi di vendita delle sigarette elettroniche non sono noti. Allo stesso tempo, la frequenza di fumatori che tentano di smettere di fumare, dal 2008 al 2020, si è ridotta passando dal 42% al 32% all’anno.

Vendita di sigarette e tutti i prodotti del tabacco in Italia, in chili (2004-2019)

Inoltre, è illuminante esaminare i comportamenti dell’industria che mostrano i suoi veri interessi. Sul tabacco riscaldato in Italia grava una aliquota fiscale che è pari al 25% di quella del tabacco. Quanto vale questo margine per la Philip Morris che detiene il 90% di questo mercato? Bisogna tener presente che il margine di profitto della compagnia sulle sigarette come le Marlboro è pari al 12% del prezzo (€0,70 al pacchetto), per le sigarette a tabacco riscaldato HEETS, quelle che si usano con il dispositivo IQOS, arriva alla metà del prezzo (€2,50 per pacchetto). Se davvero, Philip Morris perseguisse la sostituzione delle Marlboro con le HEETS, avrebbe destinato i soldi della differenza alla riduzione del prezzo di queste ultime, rendendole più accessibili delle Marlboro. Invece, l’azienda non ha toccato i prezzi e ha realizzato enormi ricavi. Alle parole non seguono fatti coerenti, un atteggiamento ipocrita che fa pensare che il vero fine non è quello di sostituire il fumo, ma quello di intercettare i fumatori che vogliono smettere e che si libererebbero della dipendenza da Marlboro e da HEETS. E quanti sono coloro che iniziano con i nuovi prodotti?

Per vedere l’effetto sull’iniziazione al fumo bisogna osservare i giovani. L’ultimo rapporto ESPAD relativo al 2019 mostra che già prima dei 14 anni, i ragazzi possono essere agganciati a una sostanza che, spesso, li condizionerà per decine di anni a venire. Nell’ultima decade, la riduzione del fumo di sigarette convenzionali è stata più che compensata dall’uso di sigarette elettroniche, per cui la frequenza complessiva di ragazzi che consumano prodotti contenenti nicotina sta aumentando.  

L’interferenza in Italia, punto per punto: favoritismi e scarsa trasparenza

Vediamo, quindi, in che modo l’Italia si è vista attribuire il poco lusinghiero punteggio di 79 nel Global Tobacco Industry Interference Index.

1. Partecipazione dell’industria alla definizione delle politiche sul tabacco: 13 su 20

In Italia non esiste una legge che regoli l’ingerenza dell’industria del tabacco nella definizione o attuazione delle politiche di salute pubblica in relazione al controllo del tabacco. Il governo consente alla lobby dell’industria del tabacco di rappresentare il punto di vista aziendale sulle questioni relative al settore del tabacco, in particolare per quanto riguarda le conoscenze sui prodotti di nuova generazione. La delegazione italiana alla Conferenza delle Parti (COP) della Convenzione Quadro sul Controllo del Tabacco (FCTC) esclude i rappresentanti del settore, tabacco, ma in due occasioni (2012, 2014) furono inclusi delegati che avevano avuto forti legami con il settore.

2. Attività di cosiddetta responsabilità sociale del settore dei tabacchi: 4 su 5

Alcune attività “socialmente responsabili” dell’industria del tabacco sono state condotte in Italia, soprattutto durante la crisi Covid-19. Per esempio, la Philip Morris ha prodotto, in collaborazione con l’Agenzia per l’Ambiente dell’Emilia-Romagna, un preparato antisettico per le mani da donare alle Aziende Sanitarie della Regione Emilia-Romagna.

3. Favoritismi all’industria del tabacco: 10 su 10

C’è una forte opposizione dei ministeri economici e dei parlamentari all’aumento della tassazione sui prodotti del tabacco in generale e, di recente, su quelli a tabacco riscaldato (HTP). Le accise degli HTP in Italia sono un quarto di quelle delle sigarette convenzionali e questo beneficio è stato riconosciuto agli HTP in considerazione del presunto minor rischio per la salute connesso al loro consumo, anche se il Ministero della Salute non ha riconosciuto la ridotta tossicità e il ridotto rischio di HTP rispetto al tabacco convenzionale. Ciò nonostante, la proposta di aumentare significativamente la tassazione di questi prodotti non è stata approvata (la normativa vigente prevede un aumento irrisorio della tassazione pari al 5% ogni anno). In generale, gli HTP, sebbene siano prodotti del tabacco, godono di benefici normativi (oltre a benefici fiscali). Inoltre, a causa delle pressioni di Philip Morris Italia che invocava presunti segreti industriali, c’è stato un ritardo nella pubblicazione del rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità sulla nocività degli HTP. Il decreto del ministero dell’Ambiente del 15/02/2017 prevede che l’industria del tabacco possa promuovere autonomamente campagne informative o altre iniziative volte a sensibilizzare i consumatori sulle conseguenze dannose per l’ambiente derivanti dai mozziconi di sigaretta.

4. Trasparenza dei rapporti tra settori del Governo e industria del tabacco: 13 su 15

I ministeri e le loro agenzie non rivelano e non rendono pubblici incontri o interazioni con l’industria del tabacco, nemmeno quando tali interazioni sono strettamente necessarie per la regolamentazione. Nessun ministero, tranne il ministero della Salute, rivela gli incontri con l’industria del tabacco. Il Ministero dello Sviluppo Economico è dotato di regole per la registrazione e divulgazione degli incontri con l’industria del tabacco.

5. Interazione non necessaria: 8 su 10

Nel 2016, l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, partecipò come ospite d’onore all’inaugurazione dello stabilimento della Philip Morris a Bologna, dopo aver posato la prima pietra dello stabilimento. Di recente, non ci sono prove che funzionari italiani di alto livello partecipino a funzioni sociali dell’industria del tabacco, ma in alcune circostanze personaggi politici locali hanno preso parte a eventi sociali in cui l’industria è stata coinvolta, in particolare in Emilia Romagna dove si trova un importante impianto industriale di Philip Morris. È nota la collaborazione tra diverse aziende del tabacco e la Guardia di Finanza nella lotta al contrabbando o al commercio illecito, con diverse donazioni (Apple iPad di PMI, app e auto di BAT, programmi di formazione di Japan International Tobacco). PMI Italia si è impegnata nella valorizzazione e sostenibilità della tabacchicoltura italiana attraverso un accordo con il ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo.

6. Conflitto di interessi: 10 su 15

Il governo non vieta i contributi dell’industria del tabacco a partiti politici, candidati o campagne, né richiede la completa divulgazione di tali contributi. Di conseguenza, le industrie del tabacco hanno fatto diverse donazioni a fondazioni dei principali partiti italiani. In due casi consulenti o funzionari governativi in pensione facevano parte dell’industria del tabacco, ma nessun funzionario (e parente) del governo attuale ricopre posizioni nel settore del tabacco, comprese le posizioni di consulenza

7. Misure volte a prevenire l’interferenza: 21 su 25

Adozione di misure per prevenire l’interferenza

Pochissime misure preventive sono state attuate dal governo italiano al fine di formulare un codice di condotta per i funzionari pubblici. L’unica misura attuata dal governo è stata una lettera del Ministero della Salute alle principali società medico-scientifiche che venivano invitate a non accettare fondi dall’industria del tabacco. Il governo richiede all’industria del tabacco di fornire annualmente informazioni sulla produzione, la fabbricazione e le entrate del tabacco per ciascun prodotto del tabacco attraverso l’EU-CEG (Common Entry Gate), ma non sono richiesti altri dati. Secondo le informazioni pubbliche, il governo italiano non dispone di procedure per la divulgazione dei registri delle interazioni con l’industria del tabacco né fa programmi per aumentare la consapevolezza del personale dei ministeri, sulle linee guida dell’articolo 5.3 della Convenzione per il Controllo del Tabacco che sono in gran parte sconosciute al personale governativo al di fuori del ministero della Salute. Infine, il governo italiano non ha messo in atto politiche per vietare l’accettazione di ogni forma di contributo da parte dell’industria del tabacco.

 

Autori: Gruppo Italiano del Global Tobacco Industry Interference Index. Istituto Mario Negri (Silvano Gallus, Alessandra Lugo); ISPRO, Firenze (Giuseppe Gorini, Giulia Carreras); Università La Sapienza, Roma (Maria Sofia Cattaruzza, Martina Antinozzi); Università del Piemonte Orientale (Fabrizio Faggiano); tobaccoendgame.it (Paolo D'Argenio)
Fonte:Mary Assunta. Global Tobacco Industry Interference Index 2021. Global Center for Good Governance in Tobacco Control (GGTC). Bangkok, Thailand. Nov 2021.

 


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