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Nella guerra fra Russia e Ucraìna sono in gioco anche clima e ambiente

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Il deposito di petrolio di Kryachki in fiamme dopo un bombardamento, 27 febbraio 2022. Dal canale Instagram di Novaya Gazeta.

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L'avanzata russa non sembra fermarsi, assumendo rapidamente le fattezze di un'invasione su larga scala. Una crisi che oltre ad essere umanitaria, nel lungo periodo risulterà devastante sia per l'ambiente ucraino che per gli stati limitrofi.

I rischi sono molteplici, a partire dalle fondate preoccupazioni di Bennett Ramberg, ex funzionario degli affari esteri nell'ufficio degli affari politico-militari del Dipartimento di Stato americano e autore di Nuclear Power Plants as Weapons for the Enemy (1984), che colpi di artiglieria pesante possano colpire - intenzionalmente o meno - uno dei 15 reattori nucleari dell'Ucraina. Situati in quattro siti diversi del paese, questi reattori forniscono circa la metà del fabbisogno energetico del paese, e attaccarli ostacolerebbe significativamente una risposta militare dell'Ucraina - ma non senza trasformare i reattori in miniere radioattive. I detriti radioattivi rilasciati in un attacco a una o più delle centrali potrebbero disperdersi per migliaia di chilometri nell'area circostante, comprese parti della Russia stessa. Putin non ha mai ordinato un attacco a una centrale nucleare, e in questi giorni gli analisti internazionali tendono a escludere questa ipotesi apocalittica, attribuendo i rialzi dei livelli di radiazioni che si cominciano a monitorare nell’area di Chernobyl piuttosto al rimescolamentp del suolo operato dal passaggio di mezzi militari pesanti (Le Monde). Mentre l’esperto di nucleare di Greenpeace Jan Vande Putte ritiene che il rischio maggiore per le centrali ucraine sia al momento la continuità dell’alimentazione di energia. Tuttavia, molte cose impreviste accadono nella nebbia della guerra. O, come scrive Ramberg, in guerra «bad stuff happens».

A questo si aggiunge, oltre alle manomissioni da parte delle due parti belligeranti della rete del gas e i conseguenti incendi che ne possono conseguire, la natura di un settore industriale fortemente sviluppato nell'Ucraina Orientale - come per esempio nelle regioni secessioniste del Donbas - caratterizzato da siti industriali metallurgici, fabbriche chimiche, centrali elettriche e miniere in disuso. Il controllo di queste infrastrutture risulta fondamentale per entrambe le fazioni, accentuando il rischio di combattimenti: eventuali scontri armati intorno a questi siti potrebbero generare un estremo inquinamento tossico, causando gravi danni alla salute della popolazione locale. I timori di una catastrofe ambientale in Ucraina sono di vecchia data, in quanto fin dall'inizio del conflitto armato nel Donbas, nel marzo 2014, la regione era riconosciuta come una delle regioni più inquinate del paese: in una continua lotta per gestire i rifiuti tossici, derivanti da estrazioni carbonifere, metallurgia e produzione chimica. La guerra nel Donbas ha portato alla chiusura di numerose fabbriche, aumentando notevolmente il rischio di fuoriuscite tossiche e quindi di danni permanenti all'ambiente circostante. Per esempio, nella città portuale di Mariupol, i residenti sopportano il costante eruttare di fuliggine e fumo da due impianti siderurgici, nonché il bombardamento e il lancio di razzi dalla vicina Russia. «Si può vedere il fumo - a volte è arancione, a volte è grigio. C'è un odore acre​​», ha detto al National Geographic nel 2021 Viktoriia Pikuz, un'insegnante che vive a circa mezzo miglio dalle Ilyich Iron and Steel Works.

Secondo l'UNICEF, azioni come bere, cucinare e lavarsi sono diventate una sfida quotidiana in quanto anni di guerra hanno degradato profondamente le infrastrutture idriche della regione, inquinando i fiumi e le falde acquifere.

La mancanza di un sistema idrico efficace e sicuro ha portato molte persone a fare affidamento sul fiume Donetsk, non sapendo che il degrado delle infrastrutture idriche e i danni bellici hanno causato il rilascio nel fiume di liquami non trattati, con conseguenze estremamente negative per la loro salute (impennata dei livelli di coliformi fecali). Inoltre, secondo un articolo del 2020 del Small Wars Journals, ad aggravare ulteriormente il quadro idrico generale, miniere abbandonate - ricche di materiali radioattivi e metalli pesanti - e ordigni inesplosi, hanno rilasciato sostanze chimiche tossiche attraverso il terreno circostante. Il ministero dell'ecologia ucraino ha identificato 35 miniere nel 2016 dove il pompaggio delle acque sotterranee era cessato, quindi le miniere si sono allagate. Tali acque alluvionali possono dissolvere metalli pesanti come mercurio, piombo e arsenico e contaminare le acque sotterranee. In alcuni casi, questi siti sono stati originariamente estratti tramite detonazioni nucleari, il che significa che sono pieni di detriti irradiati che potrebbero essere portati via dalle acque alluvionali se non vengono regolarmente pompati. Nel 2016, 55 dei 66 siti di acqua potabile che erano stati testati sono stati considerati non potabili; tre di essi avevano livelli di radiazioni significativamente elevati. Nel 2018, il ministro dell'ecologia dell'Ucraina, Ostap Semerak, ha avvertito di una potenziale seconda Chernobyl se i separatisti sostenuti dai russi avessero intenzionalmente inondato la miniera di carbone abbandonata YunKom, dove i test nucleari sotterranei del 1979 hanno creato una cavernosa camera rivestita di vetro a quasi 3.000 piedi sottoterra chiamata Object Klivazh. Ma nell'aprile di quell'anno i separatisti hanno fatto proprio questo, spegnendo le pompe, facendo sì che le scorie radioattive a basso livello venissero portate fuori con le acque dell'inondazione.

L'Ukraine Crisis Media Center ha anche evidenziato l'aumento del rischio di incendi boschivi da fuoco militare o esplosioni, come è successo quando 20 000 ettari nella regione di Luhansk sono bruciati nel 2020. Questi rischi ambientali non sono limitati al Donbas. Nella città di mare di Berdianske, a sette miglia da Mariupol, nella provincia di Zaporizhia, le spiagge e i campi sono disseminati di mine, ha riferito il Washington Post nel 2021. Gli ordigni inesplosi o parzialmente esplosi possono rilasciare sostanze chimiche tossiche nel suolo e nelle acque sotterranee. Nuoto e pesca sono off limits.

La situazione nel Donbas era già negativa nel 2018 e ha il potenziale per diventare molto peggio. «Una raffica di proiettili di artiglieria sparati male potrebbe mettere in moto una reazione a catena che renderebbe inabitabili ampie parti della regione, riversando rifiuti tossici nei fiumi e nelle acque sotterranee, rendendo impossibile vivere lì», ha osservato nel 2018 Wim Zwijnenburg, uno Humanitarian Disarmament Project Leader dell'organizzazione olandese per la pace PAX.

La guerra è iniziata e potrebbe essere la più mortale che l'Europa abbia visto negli ultimi due decenni. Potrebbe portare a migliaia di morti civili, a una potenziale crisi di rifugiati e a un crollo economico globale. Questo creerà anche un danno irreversibile all'ambiente regionale e globale, proprio come il disastro di Chernobyl negli anni '80

Senza nulla togliere alla tragedia umana portata dalla guerra in atto, sembra insomma profilarsi quella che alcuni studiosi hanno ribattezzato una “guerra climatica”, dove la crisi ambientale diventa un fattore determinante dei nuovi conflitti. E dove le fonti fossili responsabili dei cambiamenti climatici - in primis il gas - diventano una delle tante armi per condizionare l’esito del conflitto.

Il sociologo tedesco Harald Welzer, che ha reso popolare il termine “guerre climatiche”, sostiene che la scarsità di risorse - terra coltivabile, cibo e acqua - è una delle nuove potenti forze che modellano il 21° secolo. Come risultato del cambiamento climatico, ha scritto Welzer nel suo libro del 2012, Climate Wars: What People Will Be Killed for in the 21st Century, «gli spazi abitabili si restringono, le risorse diventano più scarse, e le ingiustizie diventano più profonde, non solo tra nord e sud ma anche tra le generazioni». I paesi dell'emisfero meridionale soffriranno di siccità, inondazioni ed erosione del suolo. Il nostro futuro non così lontano, ha sostenuto, sarà segnato da violenti conflitti per l'acqua potabile, enormi movimenti di rifugiati e guerre civili nei paesi più poveri del mondo. Un futuro che ormai non sembra così lontano, dato che già nel 2015 un team di ricerca guidato da Colin P. Kelley, un ricercatore della Columbia University, ha realizzato uno studio, concludendo che l'ormai decennale guerra civile in Siria è stata aggravata dalle ondate di calore e dalla siccità legate al cambiamento climatico e dalle conseguenti lotte per le risorse, che hanno suscitato i disordini repressi così brutalmente dal presidente Bashar al-Assad.

Sebbene non esista un legame mono-causale tra il cambiamento climatico e conflitti generati da complesse cause economiche e geopolitiche, l’impatto del cambiamento ambientale non può essere sottovalutato. Nel contesto della sicurezza globale, il cambiamento climatico è di solito inteso solo come un moltiplicatore di minacce: interagisce con i rischi e le vulnerabilità esistenti e li aggrava per causare conflitti. Tuttavia da co-fattore, la crisi climatica sta assumendo rapidamente un ruolo da protagonista. Spiega Jeff Colgan, docente di scienze politiche alla Brown University e direttore del Climate Solutions Lab: «Il cambiamento che vedo accadere tra i defense policymakers è che stanno iniziando a vedere il cambiamento climatico non solo come un 'moltiplicatore di minacce' o come un singolo problema, ma come alterazione dell'intero panorama strategico che gli Stati Uniti [e tutti gli altri paesi] devono affrontare». Alla vigilia dell’invasione, il segretario di stato statunitense John Kerry era stato irriso dal Wall Street Journal per aver fatto presente in un momento come questo a Putin che, piuttosto che pensare a una guerra, sarebbe meglio che cercasse di mantenere gli impegni presi a livello internazionale sulla riduzione delle emissioni. Anche considerando che a causa del riscaldamento globale, «il Nord della Russia si sta letteralmente sciogliendo, e che le sue infrastrutture sono a rischio, così come il popolo russo». Ma c’è poco da sfottere le candide esternazioni di Kerry. Questa guerra rischia di bloccare per anni gli sforzi per contrastare con decisione la crisi climatica e ambientale «che sta bruciando il nostro futuro», come ha detto Michelle Bachelet, responsabile dei diritti umani delle Nazioni Unite.

 


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