fbpx Ecco il punto sul rischio di deflagrazione nucleare | Scienza in rete

A 100 secondi dalla mezzanotte nucleare

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Cosa succederebbe con una guerra nucleare? È paradossale porsi una domanda del genere dopo due anni di pandemia. Eppure il rischio c'è ed è utile conoscere i rischi, ma anche la governance del disarmo e, in prospettiva, cosa si può fare per assicurare la pace.

Immagine: Pixabay.

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«Una guerra nucleare su larga scala causerebbe un inverno nucleare, con un calo medio delle temperature di circa 10°C in tutto il mondo, e potrebbe uccidere la maggior parte dell'umanità in 10 anni». Questo si legge nel commento a firma di Ira Helfand, Patricia Lewis e Andy Haines apparso su The Lancet lo scorso 4 marzo.

Sembra paradossale che dopo due anni di una devastante pandemia e con la crisi climatica in peggioramento si parli di una maggiore probabilità di una guerra nucleare. D’altra parte, il World Economic Forum, da anni classifica tra i maggiori rischi che corre l’umanità, proprio quelli legati al collasso ambientale, alle armi di distruzione di massa e alle malattie infettive. Detto fatto.

Come ricordano i tre autori su The Lancet, nel gennaio del 2022, tutti gli stati firmatari del Trattato di non proliferazione nucleare, quindi Russia compresa, hanno ribadito la dichiarazione di Reagan-Gorbaciov per cui «una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta». Dopodiché, il 24 febbraio Putin ha invaso i territori sovrani dell’Ucraina e il 27 febbraio ha ordinato alle Forze strategiche del sistema di deterrenza russo – comprese quindi anche le armi nucleari – di essere messe in “regime speciale di combattimento”.

A conferma della situazione drammatica, anche quest’anno il Bulletin of the Atomic Scientists ha posizionato le lancette del celeberrimo Orologio dell’Apocalisse (Doomsday Clock) a 100 secondi dalla mezzanotte. Il gruppo di scienziati ed esperti di vario genere, che ogni anno scelgono come quantificare il rischio di collasso dell’umanità, aveva posizionato le lancette così vicine anche nel 2021. Non siamo mai stati così prossimi alla mezzanotte. Neppure quando nel 1983 il tenente colonnello Stanislav Petrov evitò che l’Unione Sovietica contrattaccasse a un inesistente attacco nucleare americano. Neppure nel 1962 quando gli Stati Uniti scoprirono missili sovietici a Cuba, alzando considerevolmente la tensione nucleare.

Qui un’utile dashboard sintetica dello stato delle principali minacce globali, secondo il Bulletin.

Qui la storia per tappe dell’arma nucleare.

Quanti sono gli armamenti nucleari oggi nel mondo?

12 700. È il numero stimato di testate a inizio 2022, secondo la Federation of Americans Scientists (FAS). Tra queste, più di 9400 si trovano negli arsenali militari, di cui circa 3700 sono schierate con le forze operative e tra queste ci sono infine circa 2000 testate statunitensi, russe, britanniche e francesi in “massima allerta”, cioè pronte all'uso con breve preavviso. Come la FAS riporta nella tabella seguente.

Immagine a grandezza naturale qui.

Circa il 90% di tutte le testate nucleari al mondo sono possedute dalla Russia e dagli Stati Uniti. Il numero esatto di testate dei singoli paesi è segreto, ma una stima piuttosto precisa si ottiene attraverso le informazioni pubblicamente disponibili (per esempio, nel 2020 Biden ha reso nuovamente noto il numero di testate americane, dopo che Trump l’aveva secretato), i registri storici e le fughe di notizie occasionali. Per i dettagli sugli armamenti nucleari dei vari Stati si veda il Nuclear notebook del Bulletin of the Atomic Scientists a cui collabora anche la FAS.

La Russia, come riporta dettagliatamente il Bulletin a inizio 2022, avrebbe quasi 4500 testate nucleari negli arsenali militari, di cui quasi 1600 schierate su missili balistici terrestri o sottomarini, e in bombardieri pesanti. Ci sono poi circa 1500 testate “in pensione”, in gran parte ancora da smantellare.

Come si può osservare di seguito, il numero di testate è in continua diminuzione dalla metà degli anni ’80, in cui aveva raggiunto il livello scellerato di oltre 70 mila testate nucleari al mondo. Purtroppo, da qualche anno si registra un sostanziale stallo.

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Gli appelli degli scienziati per la pace

«Ora siamo tutti figli di puttana», disse il fisico Kenneth Bainbridge a Robert Oppenheimer una volta effettuato il Trinity Test nel New Mexico, che dimostrò una volta per tutte il funzionamento effettivo della bomba nucleare nel 1945, al culmine del progetto Manhattan.

Dopo che furono sganciate le terribili bombe su Hiroshima e Nagasaki, e dopo la fine delle nefandezze della Seconda guerra mondiale, le principali potenze mondiali vincitrici della guerra iniziarono irresponsabilmente a sviluppare e testare nuove bombe nucleari, dapprima da parte dell’Unione Sovietica, poi del Regno Unito e poi degli Stati Uniti con la prima devastante bomba “a idrogeno”.

Nel 1955 iniziarono così gli impegni di scienziati e intellettuali contro la proliferazione nucleare e il disarmo, con Bertrand Russell e Albert Einstein. Riportiamo di seguito un passo del loro celebre manifesto.

Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile. Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggiormente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui […] credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa.
[…] Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.

Dopo il manifesto, la proliferazione nucleare aumentò, come abbiamo visto, fino al picco attorno al 1987. Le iniziative si sono moltiplicate, come l’Unione degli Scienziati Per Il Disarmo fondata da Carlo Bernardini nel 1983, che ha «l’obiettivo di fornire informazione e analisi su controllo degli armamenti e disarmo, incluse quelle relative all’impatto ambientale e ai costi umani dello sviluppo e della diffusione degli armamenti».

Più recente è il Global Peace Dividend, dei fisici Carlo Rovelli e Matteo Smerlack, che chiede di ridurre le spese militari di tutti i paesi per indirizzarli ai problemi veri: pandemie, crisi climatica e povertà estrema. In particolare, i firmatari richiedono la riduzione del 2% delle spese ogni anno, in controtendenza con quanto avvenuto finora: «Nel 2020, l'anno in cui l'economia mondiale è crollata a causa della COVID, 100 milioni di persone sono state colpite da inondazioni, tempeste e altri disastri legati al clima, e i paesi ricchi non hanno mantenuto il loro impegno di finanziamento del clima, la spesa militare mondiale è salita a 2 trilioni di dollari – 2,6% in più rispetto al 2019 e due volte più alta del 2000. Questi massicci investimenti in armi sono uno spreco colossale». Tra i firmatari dal mondo della scienza, moltissimi premi Nobel, come Giorgio Parisi e Carlo Rubbia, ma anche politici, leader di ONG e artisti, come Paul McCartney.

La governance del disarmo

Le armi di distruzione di massa sono quelle «in grado di uccidere indiscriminatamente in pochi istanti una grandissima quantità di persone e provocare danni irreversibili all’ecosistema nel raggio di centinaia di chilometri», secondo la definizione della Treccani. Il mondo si è dotato con gli anni di trattati e accordi per contenere il rischio proveniente dalle armi di distruzione di massa. Lo ha fatto per esempio con la Convenzione sulle armi biologiche del 1972 che proibisce lo sviluppo, la produzione, l'acquisizione, il trasferimento, lo stoccaggio e l'uso di armi biologiche e tossiche; obiettivi analoghi si riscontrano con la Convenzione sulle armi chimiche del 1993.

Per quanto riguarda le armi nucleari, l’accordo più noto è probabilmente il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968, che vieta ai paesi che non possiedono armi nucleari di dotarsene, e a quelli che la posseggono di disfarsene e non cedere ad altri materiale e tecnologia nucleare. L’eventuale trasferimento di tecnologie per scopi pacifici deve avvenire sotto il controllo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA) delle Nazioni Unite. A oggi, i paesi detentori di armamenti nucleari dichiarati firmatari (assieme a quasi tutti i membri dell’ONU) del Trattato sono gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, la Francia e il Regno Unito, che per altro coincidono con i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Dal 2021 è inoltre in vigore un altro Trattato, quello per la proibizione delle armi nucleari, che rende illegale la detenzione di armi nucleari nei paesi firmatari. I paesi che detengono l’arma nucleare, dichiarati o meno, non hanno partecipato ai negoziati né firmato l’accordo. Tra questi, quindi anche Israele, India, Pakistan e Corea del Nord e inoltre nessuno degli stati appartenenti alla NATO.

I vari trattati e accordi internazionali rispondono a un’organizzazione di riferimento – come la IAEA per il Trattato di non proliferazione – che tipicamente è diretta emanazione degli organi principali delle Nazioni Unite (Assemblea generale, Segretariato, Consiglio di sicurezza, Consiglio economico e sociale, Corte internazionale di giustizia); alternativamente può essere un organismo internazionale che comunque collabora strettamente con l’ONU. Questi documenti, insieme con gli altri trattati e atti dei vari organismi internazionali, compresa la Carta delle Nazioni Unite, vanno a comporre le norme del diritto internazionale.

Da questo punto di vista, dobbiamo menzionare quanto scritto da Sabino Cassese sul Corriere della sera il 7 marzo. La Russia, dice, sta violando molte delle norme che reggono le Nazioni Unite, come «il rispetto della sovranità degli Stati, la regola dell’autodeterminazione dei popoli, l’obbligo di risolvere in modo pacifico le controversie, il dovere di astenersi dall’uso della forza, l’obbligo di non interferire con le competenze interne di altri Stati», ma anche numerosi accordi multilaterali. E asserisce: «Dal punto di vista del diritto internazionale, la Federazione russa è ora uno Stato fuorilegge». L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha, inoltre, approvato con una maggioranza di 141 Stati su 193 una risoluzione di condanna. Nonostante questo, la guerra continua. Questo anche perché le forze militari che sarebbero autorizzabili a intervenire, i “caschi blu”, devono ricevere il mandato dal Consiglio di sicurezza, in cui la Russia può esercitare il potere di veto (assieme agli altri quattro membri permanenti, Stati Uniti, Cina, Francia, Regno Unito).

Un parlamento globale?

Senza addentrarci in complesse analisi geopolitiche o militari, è evidente come emerga una carenza di potere importante da parte degli organismi internazionali, e non solo in questo momento. Nel 2020, Pietro Greco argomentava sulle pagine del Bo Live, mettendo in fila quanto scritto da Vittorio Possenti, Maurizio Ferrera, Vinod Aggarwal e lo stesso Cassese:

Da decenni non fa un passo avanti verso il totale disarmo il TNP, il Trattato di non proliferazione nucleare, che si regge su una pericolosa asimmetria: distinguendo tra chi ha ufficialmente l’atomica (USA, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) e tutti gli altri paesi firmatari. Questi ultimi, tutto sommato, stanno rispettando l’obbligo a non dotarsi dell’arma, mentre i cinque detentori, che pure si sono impegnati a disfarsene in tempi ragionevoli, pensano a tutt’altro.

A oggi, quindi, l’efficacia del Trattato di non proliferazione nucleare, così come della Convenzione quadro sul cambiamento climatico e dell’Organizzazione mondiale di sanità – per riprendere i maggiori rischi globali di cui si parlava all’inizio – non è sufficiente. Il punto, probabilmente, è che tutto ciò non potrà mai funzionare fintanto che la sovranità politica è affidata ai singoli Stati-nazione. Ulteriore difficoltà è aggiunta se si considera l’enorme complessità della governance diffusa – senza un unico apparato di governo (government) – nei vari settori della società, armi nucleari comprese. Questo fatto è ben spiegato dal libro Chi governa il mondo? del già citato Sabino Cassese e presentato in questa conferenza alla Scuola di Politiche dell'Arel qualche anno fa.

Dare più potere agli organismi sovranazionali, d’altra parte, avrebbe come diretta conseguenza la richiesta di una maggiore legittimazione popolare degli stessi. Ebbene, questa ambizione è stata formalizzata nel 2007 dalla UNPA Campaign (Campaign for a United Nations Parliamentary Assembly), che propone l’istituzione di un’assemblea parlamentare globale direttamente eletta da tutti i cittadini del mondo con effettivo potere legislativo. I modelli più vicini sarebbero sicuramente il Parlamento europeo, pur non essendo questo ancora dotato di iniziativa legislativa (detenuta invece dalla Commissione), o anche il Parlamento dell’Unione africana, pur non essendo ancora composto da deputati eletti (ma da delegati delle assemblee legislative statali).

Ragionare su una possibile deflagrazione nucleare, come si è visto, porta inevitabilmente a voler ragionare sulla governance internazionale e, in ultima istanza, sulla pace. Riportiamo di seguito un frammento della proposta della UNPA Campaign, già pensando a cosa potrebbe accadere dopo che questo assurdo conflitto sarà giunto al termine.

La Carta delle Nazioni Unite inizia con le promettenti parole di apertura: "Noi, cittadini ". Tuttavia, si cercherà invano qualsiasi clausola nel documento che specifichi un mezzo attraverso il quale la gente comune possa giocare un ruolo nelle delibere e nelle decisioni dell'organizzazione. […]
Un'Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite per la prima volta darebbe ai rappresentanti eletti dal popolo un ruolo formale negli affari globali. Come organo aggiuntivo, l'assemblea rappresenterà direttamente i cittadini del mondo e non i governi.

E difficilmente i cittadini del mondo, in maggioranza, vorranno la guerra.

 


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