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Medicina di genere: cosa ci insegna la permanenza delle astronaute nello spazio

Sono diversi i fattori che, nello spazio, possono influire sulla salute umana. Tuttavia, le austronaute sono molte meno rispetto ai corrispettivi maschili, e questo rende i dati a nostra disposizione su come lo spazio influenzi il corpo femminile ancora piuttosto scarsi.

Crediti immagine: NASA Johnsono/Flickr. Licenza: CC BY-NC-ND 2.0

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L’astronauta Samantha Cristoforetti è rientrata sulla Terra il 14 ottobre scorso, portando a termine Minerva, la sua seconda missione sulla Stazione Spaziale Internazionale con l’Agenzia Spaziale Europea. Il nome della missione è ispirato all’omonima dea romana della saggezza, dell’artigianato e delle arti ed è un omaggio alle persone che in tutto il mondo rendono possibile l’esplorazione umana dello spazio. Per l’Agenzia Spaziale Europea, la dea Minerva incarna anche «la saggezza che auspichiamo di dimostrare, mentre consolidiamo ed espandiamo la presenza umana nello spazio».

Nei mesi di permanenza in orbita, Cristoforetti è diventata la prima donna europea comandante dell’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale e la prima donna europea a compiere una passeggiata spazialeSecondo le Nazioni Unite, finora solo l’11 per cento del totale degli astronauti e delle astronaute sono state donne. Di conseguenza, ci sono ancora poche informazioni su cosa accade al corpo femminile in orbita. Lo spazio, infatti, è un ambiente inospitale per gli esseri umani e studi condotti nel corso degli anni hanno mostrato che il corpo maschile e quello femminile reagiscono in maniera diversa nell’ambiente spaziale e al successivo ritorno sulla Terra.

«Dal punto di vista evolutivo, gli esseri umani sono fatti per rimanere sulla Terra. Non appena ci allontaniamo dal nostro pianeta, insorgono molti fattori di stress che possono avere un impatto sulla fisiologia e anche sulla psicologia umana», spiega Angelique Van Ombergen, Discipline Lead per le scienze della vita nel gruppo SciSpacE presso l’Agenzia Spaziale Europea. «Alcuni di questi cambiamenti sono dannosi e quindi indesiderati, mentre altri sono un normale adattamento al nuovo ambiente».

I due principali fattori che rendono lo spazio inospitale per gli esseri umani sono la radiazione spaziale e la microgravità. La radiazione spaziale è composta principalmente da particelle cariche molto energetiche prodotte durante eventi solari violenti e da raggi cosmici galattici. L’esposizione del corpo umano a questa radiazione aumenta il rischio di sviluppare il cancro, di conseguenze sul sistema nervoso centrale, di effetti degenerativi sui tessuti e di una sindrome acuta da radiazioni. La microgravità, invece, è una particolare condizione in cui un sistema è soggetto a un campo gravitazionale estremamente basso e si verifica anche a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. «Grazie a decenni di ricerca, sappiamo che la microgravità provoca cambiamenti, anche dannosi, in svariati sistemi fisiologici», commenta Van Ombergen.

A tutto ciò, si aggiungono anche altri aspetti, come il contatto limitato con la Terra e il prolungato isolamento in un ambiente chiuso e limitato. «"Contromisure" come l'esercizio fisico, il supporto nutrizionale e la schermatura dalle radiazioni sono importanti per cercare di ridurre al minimo gli effetti indesiderati», spiega Van Ombergen. «La Stazione è molto utile perché permette, per esempio, di studiare come la microgravità influisce su specifici processi biologici e fisiologici a breve e lungo termine. A breve termine, vediamo cambiamenti principalmente nel sistema vestibolare e cardiovascolare, mentre a lungo termine osserviamo soprattutto cambiamenti nelle ossa e nell’apparato visivo».

Sulla Stazione Spaziale Internazionale, infatti, gli astronauti e le astronaute portano avanti molti esperimenti scientifici e sono loro stessi soggetti di alcuni test per comprendere meglio come il corpo umano si adatta allo spazio. Per esempio, nei mesi scorsi, mentre era nello spazio, Cristoforetti è stata la prima donna oggetto di un esperimento dell’Agenzia Spaziale Italiana per monitorare l’attività metabolica. L’esperimento si chiama Nutriss, è condotto da un gruppo di ricerca dell’Università di Trieste e il responsabile tecnico per la realizzazione dell’apparato necessario è la Kayser Italia di Livorno. Nutriss è attivo dal 2019 e ha l’obiettivo di trovare il modo di mantenere una composizione corporea ideale evitando l’aumento del rapporto fra massa grassa e massa magra, causato dall’inattività del corpo in microgravità. Nel corso di precedenti missioni, è stata monitorata l’attività metabolica degli astronauti Luca Parmitano e Matthias Maurer, e ora è toccato a Samantha Cristoforetti. L’esperimento, infatti, permetterà di determinare anche le differenti reazioni alla microgravità dell’organismo femminile rispetto a quello maschile.

«Dalla medicina terrestre sappiamo che ci sono differenze tra i sessi biologici e, in generale, sappiamo anche che ci sono differenze negli individui», commenta Van Ombergen. Lo stato di salute e di malattia di una persona, infatti, è influenzato dal sesso e dal genere. La medicina di genere, che ha una storia recentissima, si occupa proprio di studiare l’influenza delle differenze biologiche, definite dal sesso, e socioeconomiche e culturali, definite dal genere, sullo stato di malattia e salute di ogni persona. La medicina fin dalle sue origini ha avuto un’impostazione androcentrica, limitando l’interesse per la salute femminile ai soli aspetti legati alla riproduzione. Tuttavia, la crescente mole di dati epidemiologici, clinici e sperimentali mostra l’esistenza di differenze rilevanti nel modo in cui una malattia comune ai due sessi insorge, progredisce e si manifesta e sono state evidenziate diseguaglianze nell’accesso alle cure legate al genere.

Nello spazio, però, le cose sono molto complesse. «Per trarre conclusioni solide, abbiamo bisogno di testare molti soggetti e questo non è semplice quando si tratta di astronaute donne», spiega Van Ombergen. Come abbiamo visto, infatti, il numero di donne che sono andate nello spazio è molto minore del numero di uomini e così i dati a disposizione sul corpo femminile sono minori. Negli ultimi anni, grazie ai progressi della biologia molecolare, della genetica, dell’oncologia e della radioterapia si hanno a disposizione maggiori informazioni. Tuttavia, per esempio, alcuni studi evidenziano che ci sono ancora poche ricerche che valutano i rischi di tumori ginecologici, di insufficienza ovarica e di infertilità conseguenti ai voli spaziali.

Un articolo pubblicato recentemente aveva l’obiettivo di fornire una sintesi sugli studi finora condotti sul rischio di cancro ginecologico, evidenziando anche quali ulteriori ricerche potrebbero essere utili per rendere più sicure le missioni spaziali per le astronaute. Secondo gli autori e le autrici, i dati che si hanno attualmente a disposizioni mostrano una scarsità di conoscenze sull’impatto delle radiazioni spaziali e della microgravità sul cancro ginecologico, poiché il numero di astronaute che sono andate nello spazio non è sufficiente per valutare in modo affidabile cosa accade al sistema riproduttivo femminile. «Per ovviare a questi limiti, possiamo condurre studi sulla Terra in "analoghi spaziali", dove simuliamo alcuni aspetti del volo spaziale», conclude Van Ombergen. «Un esempio in questo senso è VIVALDI 1, un esperimento dell'Agenzia Spaziale Europea con venti partecipanti di sesso femminile, condotto nel 2021 per studiare l'immersione a secco come tecnica per comprendere gli impatti della microgravità sul corpo umano».

 


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