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Il lato artistico di Louis Pasteur

Louis Pasteur, di cui il 27 dicembre ricorre il bicentenario della nascita, è ben noto per le sue scoperte scientifiche. Molto meno conosciuto è invece il suo lato artistico: eppure, secondo alcuni storici della scienza, la sua passione per l'arte avrebbe anche influenzato le sue ricerche.

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E se Louis Pasteur avesse scelto la carriera artistica, invece di quella scientifica? La domanda, nel duecentesimo anno dalla sua nascita, non è così peregrina ed è sostanziata da prove dell’amore di Pasteur per l’arte, prove che porterebbero anche a riconsiderare il suo carattere ritenuto da sempre scontroso, cupo e presupponente. Sotto la calotta rigida dello scienziato la vena artistica avrebbe invece plasmato un uomo capace di passioni e di momenti di svago. Alcuni storici della scienza1,2 hanno recentemente dedicato parte del loro lavoro proprio a smascherare il grande scienziato, togliendogli l’allure divina e dimostrando come la sua sensibilità artistica non l’abbia solo condotto in gioventù a coltivare la passione della pittura, ma anche che questa sia servita nelle sue ricerche successive. Arte e scienza si sarebbero riflesse, condizionandosi a vicenda, influenzando Pasteur lungo tutta la sua vita.

Un pittore adolescente

È al collegio di Arbois che Pasteur giovinetto apprende i rudimenti della pittura, di tutte le materie le dieci ore a settimana di disegno sono le uniche che aspetta con ansia per potersi esercitare, tanto che il suo maestro, Étienne-Charles Pointurier, parla di lui come del “mio piccolo Michelangelo”. Il suo primo cimento di cui è rimasta traccia è un ritratto a pastello della madre Etiennette (vedi figura 1) fatto a 13 anni: «Egli aveva compreso e reso nel dipinto, meglio di un disegnatore più abile, il carattere della fisionomia materna», scriverà nel 1917 l’accademico René Bazin. «La bocca è stata studiata come facevano i maestri. Il labbro superiore è sottile, lungo, serrato, l’inferiore è pieno come una ciliegia e un poco sporgente al centro. È una bocca che non ricorda alcuna di quelle che si fanno copiare agli allievi delle classi di disegno. Essa trasmette l’idea della discrezione, della serietà ma anche della possibilità di un sorriso o di una smorfia quando i bambini non si comportano bene. Il genio dell’osservazione è già presente».

Figura 1. Crediti immagine: Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 4.0

I dipinti dei due anni successivi sono sempre ritratti di familiari o conoscenti. Secondo Patrice Debré, uno dei biografi più importanti di Pasteur,3 «la caratteristica di questi pastelli è l’estremo classicismo delle linee, la fredda precisione dell’osservazione. Pasteur era così ossessionato dalla rappresentazione della realtà da perdere tutta l’immaginazione. L’effetto di questi ritratti è di estrema precisione, della cura per ogni dettaglio senza il ricorso ai colori per creare un’atmosfera. Non ci sono dubbi che la mano dell’artista è sicura e con talento, ma non c’è inventiva o poesia in questi soggetti convenzionali ispirati dai ritratti ufficiali dipinti da Ingres o David. In una parola, Pasteur dimostrò a se stesso di essere un conservatore nella pittura così come dimostrerà di essere un rivoluzionario nella scienza».

Un periodo di sola arte

Nell’ottobre del 1838 Pasteur lascia il suolo natio per recarsi a Parigi nel Quartiere latino per motivi di studio. Sarà una esperienza molto negativa, tanto che Pasteur stesso chiede a suo padre di tornare a casa, dove si dedica soprattutto all’arte in maniera quasi frenetica. Nel 1839 realizza 18 ritratti sempre a pastello e tutti accomunati dall’osservazione attenta e dall’amore per i dettagli, siano essi gli abiti o i gioielli, le pettinature o gli sguardi o i tratti psicologici. Pasteur cerca infatti di interpretare la persona che ha davanti dopo averla osservata pazientemente per lunghe ore, come emerge dal ritratto di una suora, Claudine Parpandet, un’anziana clarissa che aveva salvato le reliquie della santa, Sainte Colette de Corbie, fondatrice del suo ordine, di cui Pasteur coglie l’aspetto austero e i tratti caratteristici della vecchiaia.

Sarà negli anni successivi che Pasteur progredisce nella sua arte grazie agli insegnamenti di Charles-Antoine Flajoulot, che insegnava al Collegio reale di Besançon, il cui atelier era frequentato da un altro giovane di belle speranze, Gustave Courbet, di tre anni più anziano di Pasteur e nato a una cinquantina di chilometri da casa sua. Sembra però che il futuro grande pittore non abbia avuto contatti con il futuro grande scienziato, se non negli anni della vecchiaia su posizioni politiche opposte e non condividendo alcuna idea sulla pittura e sui soggetti da ritrarre, osservazione di cui non meravigliarsi considerata la prorompente protagonista dell’Origine del mondo.

Nonostante un discreto successo e apprezzamento a livello locale, dopo aver realizzato una quarantina di ritratti, Pasteur è costretto però ad appendere... il pennello al chiodo. Il padre prevede per lui tutt’altro futuro come insegnante ed è forse emblematico che l’ultimo ritratto eseguito nel 1842 sia proprio quello di Jean-Joseph Pasteur, il padre, che con sguardo severo e abbigliamento irreprensibile decide che cosa è bene per il proprio figlio (vedi figura 2).

Figura 2. Crediti immagine: Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 4.0

Dall’arte alla scienza il passo è breve

La prima grande scoperta di Pasteur riguarda la chiralità. All’inizio del secolo, Eilhardt Mitscherlich stava studiando l’isomerismo e fece questa osservazione di cui non riusciva a darsi ragione: 

L’acido paratartarico e l’acido tartarico, nonostante la loro composizione chimica identica, la loro forma cristallina identica e il loro peso specifico identico, differiscono nella loro capacità di comportarsi rispetto alla deviazione della luce polarizzata. L’acido tartarico ruota il piano della luce, mentre l’acido paratartarico non ha alcun effetto... Ciò che è tanto strano in questo fenomeno è che la natura e il numero degli atomi, il loro rapporto e la loro distanza sono esattamente gli stessi...

Pasteur comincia da qui, studiando in dettaglio l’acido tartarico che fa ruotare la luce verso destra. Nota così che una delle faccette del cristallo è più lunga delle altre e questa faccetta consente ai cristalli di deviare la luce verso destra anche in forma disciolta. È insomma l’asimmetria a consentire la deviazione della luce. Con questa idea in testa Pasteur prosegue i suoi studi sull’acido gemello, il paratartarico, partendo dal presupposto che questo sia neutro alla polarizzazione della luce perché simmetrico. È perciò molto sorpreso quando scopre, con il goniometro, che anche le faccette dell’acido paratartarico sono asimmetriche.

Dove sta dunque la soluzione? L’enigma invece di sciogliersi sembra intricarsi. Di fronte a questo ostacolo Pasteur non abbandona il campo ma anzi ha il merito di andare oltre: con un’intuizione, che si sarebbe dimostrata felice, applica alla chimica i principi della geometria spaziale: l’unica spiegazione plausibile è l’esistenza di due tipi di cristalli, gli uni destrogiri, gli altri levogiri. Si mette allora all’opera con un lavoro certosino, esaminando uno a uno i cristalli di acido paratartarico, scoprendo che sono costituiti in realtà da due cristalli, ambedue asimmetrici, gli uni levogiri e gli altri destrogiri. Pasteur li separa e prepara due soluzioni distinte da sottoporre all’esame della luce polarizzata. Il risultato? I cristalli destrogiri si comportano come i cristalli di acido tartarico, deviando la luce verso destra; i cristalli levogiri, come ipotizzato da Pasteur, deviano la luce verso sinistra, in maniera netta. Pasteur ha il merito di comprendere subito l’importanza della sua osservazione: non solo ha sciolto l’enigma di Mitscherlich, ma ha anche posto le basi di una nuova scienza, la stereochimica, stabilendo il principio dell’asimmetria molecolare e delle molecole come oggetti tridimensionali. Come scrive Debré: «Scoprendo il principio della asimmetria, Pasteur non ha fatto null’altro che forgiare una chiave, e questa chiave ha aperto la porta a tutta la moderna biologia». Ma è possibile che l’arte abbia giocato un ruolo in questa scoperta? Forse sì e il segreto si troverebbe in una litografia fatta da Pasteur a un compagno di studi, Charles Chappuis, nel 1841 (si può trovare qui, insieme ad altre opere di Pasteur).

Il procedimento della litografia prevede che si usi una pietra calcarea levigata che viene disegnata con una matita grassa e poi spennellata con un liquido acquoso. Passando l’inchiostro sulla pietra questo viene trattenuto dalle parti grasse e respinto dalla restanti acquose; quando perciò si passa al torchio, il foglio che viene impresso riceve solo l’inchiostro delle parti disegnate. In questo modo si ha una copia esatta ma speculare del disegno fatto sulla pietra. E qui sta il legame tra arte e scienza nel caso di Pasteur. È grazie alla conoscenza del principio della litografia che Pasteur immagina che la spiegazione del fenomeno stia nella specularità, e nasce così la chiralità, che deve il nome alla mano essendo la destra specchio della sinistra e viceversa. È d’altra parte Pasteur stesso che in una lettera ai suoi genitori scrive:

Ieri ho terminato il ritratto che avevo iniziato su una pietra litografica. Credo di non aver mai fatto nulla di così ben disegnato e così realistico. Tutti coloro che l’hanno visto lo trovano sorprendente [...]. Solo che ho molta paura di una cosa, che il ritratto su carta non sia bello come quello su pietra; è quello che succede sempre; quindi ho avuto cura, mentre lo realizzavo, di guardarlo spesso allo specchio.

Per cui secondo Joseph Gal:

Pasteur adolescente era perfettamente consapevole degli effetti dell’inversione allo specchio già nel 1841 e il giovane chimico nel 1848 era già a conoscenza dell’idea dell’immagine invertita non sovrapponibile. Ciò fa pensare che la familiarità con l’immagine litografica rovesciata abbia facilitato il riconoscimento della chiralità dei cristalli.4

A ciò si aggiungono le doti di osservazione meticolosa dimostrate dal giovane Pasteur per realizzare i suoi ritratti, che ha riversato nell’osservazione certosina dei cristalli fino a scoprire il motivo del loro comportamento opposto.

Dalla scienza all’arte il passo è breve

Pasteur ha 41 anni, ha già fatto molte scoperte [vedi tabella], e viene nominato professore di Geologia, fisica e chimica applicate alle belle arti all’Ècole des Beaux-Arts di Parigi. Qui cerca di fornire basi scientifiche alle tecniche pittoriche e architettoniche. Si occupa anzitutto della conservazione nel tempo dei pigmenti usati nella pittura, dopo aver studiato ciò che al riguardo avevano scritto il Vasari, Leonardo e analizzato varie tecniche pittoriche. Come afferma lui stesso: «Voglio insegnare il buon uso scientifico dei materiali e degli ingredienti della pittura per far sì che sia durevole, per non compromettere la durata dei futuri dipinti». Per questo motivo Pasteur viene considerato un precursore del laboratorio del Louvre che si occupa di questi problemi: «Pasteur è alla base della ricerca che oggi viene condotta con tutti i metodi della chimica fisica: l’esame ottico delle vernici, lo studio dei pigmenti con la spettrometria UV, la fluorescenza a raggi X e la microsonda elettronica, lo studio dei leganti con la spettrometria IR e la cromatografia, il ruolo delle vernici e l’influenza della luce sull’invecchiamento. Il laboratorio di ricerca dei Musei di Francia, che dirigo, può essere orgoglioso di continuare la ricerca iniziata da Louis Pasteur» ha dichiarato Madeleine Hours.

Ma nelle sue lezioni Pasteur insegna anche ai futuri architetti l’importanza del riscaldamento, della illuminazione e della ventilazione degli edifici, basandosi sulle sue osservazioni in campo di igiene sanitaria. Pasteur stesso in una nota alle sue lezioni di fisica e chimica scrive: «In alcune circostanze io ho visto chiaramente l’alleanza possibile e desiderabile della scienza e dell’arte».5

Avrebbe potuto essere un grande pittore?

Torniamo ora alla domanda iniziale: com’era Pasteur come pittore? Avrebbe potuto avere successo? Qui i giudizi sono discordanti.

Un suo contemporaneo, Durand Gréville, critico d’arte, scrive nel 1888: «Molti dei nostri pittori che hanno vinto un riconoscimento al Salone non hanno mai disegnato con tanta accuratezza. Nessuno può rammaricarsi che Pasteur abbia scelto la strada della scienza. Ma se avesse voluto avrebbe potuto avere le sue soddisfazioni come pittore e sarebbe diventato un grande artista». «Per fortuna Pasteur ha scelto la strada della chimica, che concorrente abbiamo avuto in meno!» rincalza un altro suo contemporaneo, il pittore Jean-Léon Gérôme, guarda caso nemico degli impressionisti e cultore del neoclassicismo francese.

Di parere diametralmente opposto è un commentatore odierno, il già citato Debré: «Se Pasteur avesse scelto la pittura come professione, sarebbe probabilmente diventato niente più che uno degli artisti ambulanti che vagano di città in città in cerca di pochi franchi per fare il ritratto al farmacista del paese o al capo della polizia locale». Secondo Annick Perrot, conservatrice onoraria del Museo Pasteur di Parigi, per avere successo nella pittura «avrebbe dovuto cambiare il suo stile. Preferiva lo stile classico alle innovazioni e alle nuove forme annunciate dagli impressionisti. Suo nipote Louis Pasteur Vallery-Radot raccontava che più volte al Musée de Luxembourg il nonno passando nella sala Caillebotte, che esponeva i dipinti di Monet, Sisley, Pissarro, Manet, lo prendeva per mano e gli diceva: “Vieni, non guardare”».2

Colpisce il fatto che Pasteur, descritto sempre come un lavoratore assiduo, che non aveva neppure tempo da dedicare alla famiglia («Vostro padre è assorbito nei suoi pensieri», scriverà la madre alla figlia in occasione di un anniversario di matrimonio, «mi racconta poco, dorme poco, si alza all’alba e, in una parola, continua la vita che ho iniziato con lui trentacinque anni fa»),1 avesse il tempo di girare per musei, eppure diverse lettere indirizzate alla moglie descrivono le sue visite nei musei delle città in cui veniva invitato a tenere conferenze. Visite che portavano via mezze giornate alla sua alacre attività («ho trascorso quattro ore nelle gallerie... Non puoi immaginare nulla di più toccante e straordinario di un lavoro artistico» scrive in una lettera da Dresda), ma sempre e solo apprezzando la classicità. E questo è stato anche il suo approccio alla scienza, in cui cercava chiarezza ed equilibrio, sia nella raccolta delle prove sia nelle sue teorie. Lo stesso nell’arte cercava bellezza e armonia nelle dovute proporzioni, per questo non poteva tollerare gli impressionisti, che erano aperti all’incertezza nella natura e nell’arte, e neppure i realisti, che non cercavano la grazia e la bellezza nei loro dipinti.

Riferimenti bibliografici
1. Hansen B. Pasteur’s lifelong engagement with the fine arts: uncovering a scientist’s passion and personality. Ann Sci 2021;78:334-86.
2. Perrot A. Pasteur: sous le savant l’artiste. Comptes Rendus Chimie 2022;25:171-7.
3. Debré P. Louis Pasteur. Flammarion, 1994.
4. Gal J. Pasteur et les Beaux-Arts, in Louis Pasteur le visionnaire, Universcience/Editions de la Martiniere, 2017.
5. Pasteur L. Notes pour les leçons de physiques et de chimie appliquées aux Beaux-Arts, in OEuvres de Pasteur, réunies par Pasteur Vallery-Radot, vol. VII, Masson, Parigi, 1939, 222-262.
6. Cavaillon J-M. Louis Pasteur: between myth and reality. Biomolecules 2022;DOI:10.3390/biom12040596x

 


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