In Diversi. Le questioni di genere viste con gli occhi di un primatologo (Raffaello Cortina Editore, 2022), il primatologo Frans de Waal tratta i temi del sesso e del genere raccontando quanto avviene nei nostri parenti più stretti, gli scimpanzé e i bonobo. Fornendo, così, spunti di riflessione affascianti per iniziare a superare, in modo il più possibile consapevole, i pregiudizi e le diseguaglianze.
Crediti imagine: Lluís Ribes Mateu/Flickr. Licenza: CC BY-NC 2.0
Sesso e genere: succede spesso di affrontarli in modo puramente culturale, come fossero frutto esclusivo della nostra società, in una data area del mondo e in un certo momento storico. Se poi andiamo inserendo considerazioni più strettamente legate alle basi biologiche che caratterizzano il sesso degli individui (cioè, a grandi linee, i cromosomi che distinguono i maschi dalle femmine, insieme ai caratteri sessuali che li accompagnano) e il genere (inteso come il ruolo e posizione sociale che la nostra cultura attribuisce ai sessi), altrettanto spesso lo si fa in modo parziale, se non datato e financo errato. E invece, approfondire le caratteristiche e le differenze dei sessi e dei generi studiando le altre specie potrebbe essere importantissimo per capire meglio anche quelle della specie umana. Sia ben chiaro: studiare le altre specie animali non significa trovare una formula magica per giustificare o guidare ciò che succede nella nostra specie. La natura, si sa, è di una varietà impressionante: propone specie che formano coppie stabili e altre promiscue, così come propone numerosissimi esempi di altruismo ed empatia, ma anche violenze d’ogni genere, dall’accoppiamento forzato all’infanticidio. Tuttavia, capire meglio dal punto di vista scientifico quanto le differenze tra maschi e femmine sono legate alla genetica e quanto invece alla cultura, significherebbe capire anche quali aspetti sono “artefatti” delle credenze e conoscenze di un’epoca, da quell’insieme che forma la cultura di una società. Evitando di forzare l’uno o l’altro aspetto (biologia e cultura) per giustificare le scelte sociali e politiche.
Guardare ai primati non umani
È in quest’ottica che si pone l’ultimo libro di Frans de Waal, primatologo olandese e professore all’Emory University, negli Stati Uniti, noto tanto per i suoi studi quanto per le sue opere di divulgazione: nel corso della sua lunga carriera scientifica, infatti, ha pubblicato diversi libri dedicati soprattutto ai primati non umani per raccontare alcuni dei temi su cui ha concentrato le sue ricerche, dalle dinamiche politiche degli scimpanzé alle emozioni degli animali. Con Diversi. Le questioni di genere viste con gli occhi di un primatologo (Raffaello Cortina Editore, 2022), il ricercatore affronta per la prima volta il tema del genere, trattando e analizzando alcuni dei comportamenti che tanto bene conosciamo (o crediamo di conoscere) riguardo alla nostra specie, dalla dominanza alla cura della prole, dall’omosessualità al gioco nei piccoli. E lo fa mettendo bene in chiaro, ribandendolo, anzi, in tutto il corso della narrazione, che conoscere queste differenze non significa in alcun modo giustificare eventuali discriminazioni.
«Occorre comunque notare che quando parliamo di diseguaglianza di genere soltanto una delle due parole comporta un problema, e non è genere», scrive de Waal fin dalle prime pagine. Per lui, le differenze sono un arricchimento, un valore, e riconoscerle non significa certo incentivare disparità di trattamenti economici o sociali.
Nel suo libro, de Waal si concentra soprattutto sui nostri due parenti più stretti: lo scimpanzé e il bonobo, quello che lui stesso definisce «il nostro cugino hippy». Nella scelta di raccontare in parallelo queste due specie così simili morfologicamente da essere state considerate una sola per lungo tempo (i bonobo sono stati riconosciuti come specie a sé stante, su base anatomica, solo nel 1929), già si nota dove risiedono molti degli errori che ancora spesso possiamo osservare nella narrazione delle differenze di sesso e genere. Infatti, le maggiori conoscenze che abbiamo sugli scimpanzé (dovute a una frequentazione di più lunga data) li hanno resi il modello di confronto con gli umani per eccellenza, eppure la distanza genetica che ci separa dai bonobo è esattamente la stessa che ci separa dagli scimpanzé. Solo che questi ultimi sono piuttosto aggressivi e i gruppi riconoscono una gerarchia maschile. Al contrario, le società dei bonobo, guidate dalle femmine, sono molto più tolleranti, nonché note per la loro ricchissima vita sessuale. Tanto che, racconta de Waal, quando a una conferenza illustrò il potere delle femmine tra i bonobo, un professore esclamò: «Ma che problemi hanno quei maschi?!».
Equivoci sulla dominanza
Ma parlare di dominanza per riconoscere privilegi all’uno o all’altro sesso significa aver capito poco della dominanza stessa. Infatti, spiega l’etologo, la dominanza è contraddistinta dalla capacità di combattere, ma anche dal rango sociale, dal potere e perfino dal prestigio, che de Waal riferisce all’esperienza e alle capacità che portano alcuni individui a fare da riferimento e a venire emulati dagli altri. Sono quindi molti e variegati i fattori che entrano in gioco, e la dominanza appare ben più sfaccettata di come a volte venga raccontata o ci possa apparire: lo dimostra bene Mama, la scimpanzé cui il primatologo aveva già dedicato l’apertura de L’ultimo abbraccio, il suo libro dedicato alle emozioni degli animali.
Mama ha guidato il suo gruppo per oltre quarant’anni, fino alla morte in tarda età, risolvendo conflitti e partecipando attivamente alle lotte di potere dei maschi, per i quali raccoglieva sostenitori (che in seguito le sarebbero stati debitori del supporto).
In altre parole, se andiamo a indagare le basi biologiche della dominanza dell’uno o dell’altro sesso, non solo ci troviamo le due specie a noi più vicine a presentare due modelli drammaticamente diversi ma, soprattutto, dobbiamo riconoscere che, come scrive de Waal: «Le strutture sociali, qualche volta, sono più rigide della biologia che le supporta. Anche se è sempre poco saggio ignorare la biologia, non possiamo nemmeno semplificare troppo attribuendole la responsabilità dei ruoli sociali».
Appartenenza di genere tra i primati non umani
In questo senso, vale la pena notare che tanto i bonobo quanto gli scimpanzé, come diverse altre specie di primati (e non solo) sono specie culturali, che si trasmettono le conoscenze da una generazione all’altra fondando delle vere e proprie usanze. Per esempio, le popolazioni di scimpanzé dell’Africa occidentale rompono le noci utilizzando sassi o altri oggetti duri, una tecnica non praticata dalle popolazioni orientali non per la mancanza di strumenti adeguati ma perché non hanno avuto modo di apprendere la tecnica, dal momento che, in Costa d’Avorio, le due popolazioni sono separate dal fiume Sassandra.
Al momento, gli studi hanno preso in scarsissima considerazione il ruolo della cultura negli aspetti sociali, come possono essere alcuni elementi legati al genere. Tuttavia, de Waal suggerisce che il genere non sia un’esclusiva di noi umani: tra i primati si osserva che di solito i piccoli tendono a emulare gli individui del loro stesso sesso, il che potrebbe portarli a rafforzare il loro ruolo di genere attraverso l’imitazione e l’osservazione.
Naturalmente, non possiamo sapere come scimpanzé e bonobo percepiscano la propria appartenenza di genere. Se però presupponiamo, come fa de Waal, che anche tra i primati non umani il genere è uno spettro che raccoglie moltissime sfumature tra i due estremi di “maschile” e “femminile”, non dovrebbe stupire troppo neanche la scoperta che tra i nostri parenti ci siano individui dal genere non conforme al sesso. de Waal ci racconta quindi di Donna, una scimpanzé con alcune caratteristiche fisiche più vicine a quelle dei maschi (come l’essere più pelosa della maggior parte delle femmine, e capace di drizzare i peli di tutto il corpo per incutere maggior timore, come fanno i maschi) e che «si comportava come se facesse parte del mondo maschile», partecipando ai giochi dei maschi e unendosi a loro quando «facevano gli spacconi». Quasi ogni gruppo che ha conosciuto, scrive de Waal, aveva almeno un individuo non conforme al proprio genere.
Il gioco e il genere
Un aspetto senz’altro affascinante riguardante la cultura è quello del gioco nei piccoli. L’idea di regalare, o anche solo fare distinzioni, tra i giochi “da bambina” e quelli “da bambino” tra noi umani è spesso spesso malvista: una forzatura verso il simulare (o fare pratica) nel comportamento materno delle femmine giocando con le bambole, per esempio, o nella lotta con armi finte nei maschi. Al gioco, de Waal dedica il primo capitolo di Diversi, quello che forse più di tutti ci aiuta a capire perché ha senso cercare di conoscere il comportamento delle altre specie prima di dare giudizi netti sul nostro. Così il primatologo racconta sia osservazioni sul campo, sia esperimenti legati proprio alle preferenze di gioco nei primati non umani, che mostrano come in effetti la preferenza per giochi come macchinine o palloni sia molto più comune nei maschi, mentre le femmine scelgono più frequentemente bambole e peluche. Le giovani scimmie, anzi, possono “adottare” anche oggetti diversi: de Waal, per esempio, descrive una scimpanzé della colonia ospitata al Burgers’ Zoo, Amber, che per settimane si era portata in giro una scopa trattandola come fosse il suo cucciolo.
Insomma, se effettivamente alcuni elementi, come il colore rosa “da femmine” e quello azzurro “da maschi” non sono altro che una scelta culturale (in questo caso, meglio ancora, commerciale), altri potrebbero rispondere a propensioni biologiche diverse – e vale la pena saperlo, se vogliamo evitare d’influenzare bambini e bambini scegliendo giocattoli che li forzino verso un particolare ruolo di genere.
Una questione di istinto?
La preferenza delle bambine per le bambole, allora, può essere ridotta a una questione d’istinto materno? Come la maggior parte delle persone che si occupano di etologia, de Waal tende a rifuggire dal termine istinto, perché sono davvero pochi i comportamenti animali (sicuramente per i primati, ma vale per molte altre specie) che si siano dimostrati del tutto innati, guidati dalla genetica. Se è innegabile che maschi e femmine siano equipaggiati in modo molto diverso per quanto riguarda la cura della prole, non possiamo comunque dimenticare che l’apprendimento influenza profondamente i comportamenti innati: le femmine imparano col tempo e l’esperienza a curarsi dei propri piccoli e, tra scimpanzé e bonobo, possono fare molta pratica occupandosi dei figli delle compagne, come vere baby sitter. Allo stesso tempo, spiega de Waal, i maschi sono tutt’altro che incapaci di aver cura dei più piccini: in natura sono stati osservati scimpanzé che hanno adottato piccoli rimasti orfani (e di cui non erano necessariamente i genitori), occupandosi di loro come avrebbe fatto una madre. E in cattività, un maschio posto da solo, senza una femmina, in una gabbia con un cucciolo cerca inizialmente d’ignorarlo, perfino ritirandosi in un angolo, ma finisce poi per comportarsi come farebbe una femmina, prendendolo in braccio e rassicurandolo. È una questione di potenzialità, sottolinea l’etologo: la distinzione tra i ruoli che si osserva comunemente non significa che i maschi, all’occorrenza, non siano in grado di far emergere comportamenti di cura.
Insomma, Diversi non spiega, né pretende di farlo, le cause biologiche o culturali che ci portano alle differenze di genere che caratterizzano la nostra società, neppure intende giustificare le discriminazioni sulla base di quanto possiamo osservare nei nostri parenti più prossimi o su quanto emerge dagli studi sugli umani. Presenta, invece, spunti di riflessione importanti per iniziare a superare, in modo il più possibile consapevole, i pregiudizi e le diseguaglianze, senza cercare di negare le differenze. «L’ambiente sociale non ha in mano tutte le carte», ci ricorda de Waal e, soprattutto, tutto quello che facciamo riflette l’interazione tra geni e ambiente. «Poiché la biologia rappresenta solo metà dell’equazione, possono sempre verificarsi dei cambiamenti».