Un nuovo briefing dell’Agenzia europea per l’ambiente dice che per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni europei serve abbandonare «il prima possibile» i combustibili fossili – gas, petrolio e carbone – usando le tecnologie rinnovabili esistenti, e serve al contempo aumentare il risparmio energetico.
Immagine: Alaskan Pipeline vicino la città di Coldfoot, di sopra del circolo polare artico, di ka1970
L’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) ha pubblicato un briefing dal titolo Decarbonising heating and cooling — a climate imperative che fa il punto della situazione per quanto riguarda la decarbonizzazione del settore del riscaldamento e in genere della produzione di calore. Innanzitutto, il documento riconosce che l’Europa è riuscita a raggiungere l’obiettivo del 2020 di produzione di energia da fonti rinnovabili del 20% almeno. Poi ricorda che per ridurre le emissioni di gas serra nel settore del riscaldamento europeo (si vedano qua gli obiettivi europei), serve abbandonare il prima possibile tutti i combustibili fossili, gas, petrolio e carbone, e sostituirli con le tecnologie rinnovabili già esistenti, come le biomasse e le promettenti pompe di calore elettriche. Inoltre, è imprescindibile ridurre il consumo energetico per risparmiare energia, anche per agevolare la transizione in quei settori in cui è più complesso ridurre le emissioni, in particolar modo l’hard to abate industriale. In generale, dice il briefing, gli sforzi fino a oggi sono stato troppo lenti.
Segnaliamo una piccola buona notizia in questo senso, da un nuovo aggiornamento dell'Agenzia internazionale per l'energia: la CO2 proveniente dalla produzione di energia nel 2022 è cresciuta dello 0,9%, pari a 321 milioni di tonnellate (le emissioni globali dovrebbero diminuire del 7% annuo). Allo stesso tempo, la crescita delle tecnologie rinnovabili ha ridotto le emissioni di circa 550 milioni di tonnellate di CO2. Il direttore esecutivo Fatih Birol ha dichiarato: «Gli impatti della crisi energetica non hanno provocato il grande aumento delle emissioni globali che si temeva inizialmente, e questo grazie all'eccezionale crescita delle energie rinnovabili, dei veicoli elettrici, delle pompe di calore e delle tecnologie per l'efficienza energetica. Senza l'energia pulita, la crescita delle emissioni di CO2 sarebbe stata quasi tre volte superiore».
Da dove viene e dove va l’energia per produrre calore in Europa
Il 57% dell’energia usata in Europa per riscaldare è stata prodotta tramite combustibili fossili: gas al 39%, petrolio al 15%, carbone al 4%.
Di tutta l’energia finale utilizzata, gli edifici ne hanno consumata il 42% nel 2020 (rappresentando il 35% delle emissioni di gas serra relative alla produzione di energia in Europa), il 67% della quale è stata consumata dalle famiglie. I trasporti rappresentano il 28% e l’industria il 26%. Per quanto riguarda quest’ultima, il calore è necessario prevalentemente per raggiungere alte temperature nella metallurgia e nella ceramica e per la produzione di vapore a bassa temperatura e agenti refrigeranti nell'industria alimentare e tessile.
Dell’energia usata per riscaldare e raffrescare l’Europa, il riscaldamento degli ambienti e dell’acqua ne rappresenta il 60%, circa un terzo invece riguarda la domanda di calore industriale. Il raffrescamento, in particolare, rappresenta meno dell’1% del totale consumo energetico, considerando solo l’uso residenziale. Ma è facile pensare come questa quota possa aumentare, considerato il riscaldamento globale in atto: in Europa la temperatura media è cresciuta già di circa 2°C rispetto al periodo preindustriale.
Nell’immagine sono rappresentati i «Consumi energetici finali delle famiglie dell'UE, con riscaldamento degli ambienti e dell'acqua disaggregati per tipo di combustibile».
Soluzioni: via da tutti i fossili, risparmio energetico, rinnovabili integrate
«Senza un urgente abbandono dei sistemi di riscaldamento che utilizzano combustibili fossili, è improbabile che gli obiettivi di mitigazione del clima dell'UE per il 2030 possano essere raggiunti», si legge nel documento. Inoltre, anche per la difficile sostituzione della produzione di calore per l’industria pesante, come già accennato, è necessario attuare misure consistenti di risparmio energetico e di efficientamento.
Oltre al dialogo necessario tra i vari attori in gioco, cittadini, industria, scienza, istituzioni, le soluzioni da implementare dal punto di vista tecnologico esistono già: solare termico, geotermia, biomasse «prodotte in modo sostenibile» compreso il biogas da rifiuti rinnovabili, pompe di calore (che oggi si usano solo per l’1% dei consumi finali delle famiglie).
Considerando il calore prodotto solo da combustibili, le biomasse ne rappresentano il 30% (biomassa solida, liquida e gassosa per il 24%, e il resto da rifiuti “rinnovabili”). La maggior parte del calore prodotto da combustibili è infatti coperto dai combustibili fossili. Si veda l’immagine, che ritrae la «Produzione lorda di calore dell'UE per combustibile in impianti di cogenerazione e teleriscaldamento».
Da questo punto di vista, l’EEA mette in guardia dall’uso prevalente di tecnologie che usano combustibili (non necessariamente fossili), perché, con impianti che durano oltre i dieci anni, si rischia di frenare l’ascesa delle più efficienti rinnovabili e pompe di calore. E su questo, c’è anche da tenere in considerazione che «la domanda di risorse di biomassa […] deve essere attentamente bilanciata con la necessità di aumentare i pozzi di carbonio terrestri [i cosiddetti carbon sink, ndr], in linea con il quadro giuridico esistente per le emissioni e gli assorbimenti di gas serra derivanti dall'uso del suolo, dai cambiamenti di uso del suolo e dalla silvicoltura (LULUCF) nel quadro climatico ed energetico del 2030». La quota vegetale di potenziale biomassa, in altre parole, è tendenzialmente un carbon sink: la sua riduzione può compromettere l’assorbimento di carbonio nel terreno, strumento importante per l’azzeramento netto delle emissioni.
Per l’EEA, dal 2005 l'uso di altre opzioni rinnovabili per il riscaldamento e il raffreddamento, come le pompe di calore e i collettori solari termici (quelli che scaldano l’acqua), è cresciuto a un ritmo molto più veloce rispetto all'uso della biomassa solida. Tuttavia, nel 2020, l’energia rinnovabile ha rappresentato solo il 23% dell’energia finale consumata per la produzione di calore (e per raffrescare). La quota di rinnovabili per questo scopo è purtroppo rallentata negli ultimi cinque anni rispetto a quanto era cresciuta tra il 2005 e il 2015.
Ricordiamo, a latere, che per quanto riguarda invece la produzione di elettricità, in Europa, nel 2021 i combustibili fossili rappresentano il 37% della produzione di elettricità dell'UE, secondo il think tank Ember. Per Ember, il 52% della nuova generazione rinnovabile dal 2019 è servita per sostituire il gas e un terzo di nucleare, mentre solo un sesto ha sostituito il carbone. Dal 2011 al 2019, comunque, oltre l'80% delle nuove rinnovabili aveva sostituito il carbone.
Il futuro promettente delle pompe di calore ha bisogno di incentivi governativi
L'Europa vuole raddoppiare il tasso di adozione delle pompe di calore individuali, per raggiungere 10 milioni di unità nei prossimi 5 anni, scrive l’EEA.
La tecnologia delle pompe di calore si basa sull’estrazione di calore da varie possibili fonti, come l’ambiente circostante, ma anche le metropolitane, gli impianti di trattamento delle acque reflue, il sottosuolo. Le pompe di calore moderne usano «refrigeranti a basso o bassissimo potenziale di riscaldamento globale» e possono tranquillamente essere alimentate da pannelli fotovoltaici, come anche possono integrarsi alla rete sia per quanto riguarda la loro alimentazione che per quanto riguarda la distribuzione del calore prodotto.
Carbon Brief, parlando di uno studio uscito su Energy Conversion and Management, spiega che il sistema di riscaldamento a idrogeno 100% verde «sarebbe all'incirca “da due a tre volte più costoso” di un sistema basato su pompe di calore elettriche nell'UE e nel Regno Unito». Questo perché l’idrogeno è un modo meno efficiente di fornire energia rispetto all’elettrificazione con le pompe di calore, avendo necessità di «capacità eolica e solare da cinque a sei volte superiore a quella necessaria per fornire lo stesso calore con le pompe di calore». «Tuttavia, i lobbisti dell'industria del gas e i politici conservatori dell'UE e del Regno Unito hanno continuato a difendere l'idrogeno», dice il giornale.
Anche l’Agenzia internazionale dell'energia (IEA) dice che le pompe di calore sono «la tecnologia centrale nella transizione globale verso un riscaldamento sicuro e sostenibile». Ed esorta che vi sia un maggiore sostegno politico da parte dei governi «per aiutare i consumatori a superare i costi iniziali più elevati delle pompe di calore rispetto alle alternative». L’IEA ricorda che in oltre trenta Paesi sono già presenti incentivi finanziari per le pompe di calore. Purtroppo, in Italia il Governo ha deciso di eliminare il sostegno economico esistente per l’efficientamento energetico compresa l’installazione di pompe di calore e pannelli fotovoltaici, anziché migliorarne il funzionamento. Una decisione triste, considerato anche che, secondo le stime IEA, «le pompe di calore a livello globale hanno il potenziale di ridurre le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) di almeno 500 milioni di tonnellate nel 2030 – pari alle emissioni annuali di CO2 di tutte le autovetture presenti oggi in Europa».