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Disturbi dello spettro autistico: facciamo il punto

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Simonetta Pagliani fa il punto su alcuni aspetti dei disturbi dello spettro autistico, tra quanto sappiamo di patogenesi e possibili cause, trattamenti e metodi d'intervento, differenze di genere.

Crediti immagine: Chen/Pixabay

Tempo di lettura: 12 mins

Non si ferma la ricerca sulle cause e sulla patogenesi dei disturbi dello spettro autistico (Autism Spectrum Disorder, ASD), alimentata anche dalla sua sempre più consistente prevalenza, che è ora stimata di 1 su 44 bambini di otto anni negli USA e di 1 ogni 66 in Canada; secondo le stime del Ministero della salute, in Italia è di 1 ogni 77. Si cerca di capire se tale impennata numerica sia dovuta all'effettuazione di screening e a una maggiore consapevolezza dei pediatri oppure all'accrescersi di fattori ambientali (inquinanti atmosferici, pesticidi, metalli e ftalati) in grado di agire su un terreno genetico suscettibile.

Alla ricerca di possibili cause: i fattori ambientali

Un recente studio danese segnala un'associazione tra l'esposizione delle donne gravide ad alti livelli di litio nell'acqua potabile e la nascita del 25-45% in più di bimbi autistici, che merita sicuramente ulteriori indagini, in considerazione del probabile aumento dell'estrazione mineraria di litio per sostenere la domanda di batterie per i veicoli elettrici e della contaminazione delle falde idriche quando queste batterie finiranno nel flusso dei rifiuti.

Una dis-regolazione della distribuzione dei metalli nell'organismo potrebbe fare da mediatore tra genetica e fenotipo: è noto che alcuni metalli sono assorbiti e metabolizzati in modo differente nei bambini con ASD. Uno studio svedese su gemelli (replicato negli USA e nell'UK) con l'uso di biomarcatori della matrice dentale, ha dimostrato che la ritmicità fetale e postnatale dei livelli di zinco-rame è interrotta nell'ASD e ne precede l'insorgenza. Nella ben nota malattia di Wilson, d'altronde, l'accumulo di rame nei tessuti porta a deficit neurologici e cognitivi e a sintomi psicotici simili a quelli degli adulti con ASD.

E i fattori genetici

Il determinante genetico resta quello sostanziale: l'Autism Sequencing Consortium (ASC), coordinato dall'Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York, cui partecipano anche gruppi italiani, sequenziando l'esoma (la parte del DNA che codifica per le proteine) di oltre 35 mila soggetti, 12 mila dei quali affetti da autismo, ha individuato 102 geni implicati nel rischio di disturbi dello spettro autistico, 30 dei quali finora sconosciuti. Ancor più recentemente, il progetto NeuroWes dell'Università di Torino ha individuato un gene nuovo, legato a una forma rara di autismo. E la mappatura continua, perché si prevede siano oltre 1.000 i geni implicati nella patogenesi di questa condizione. Alcuni di essi causano solo disturbi dello spettro autistico, mentre altri possono causare anche disabilità intellettive e motorie; mutazioni dirompenti de novo, originatesi a livello dei gameti nei genitori, sono associate alle forme più gravi di autismo, ma anche più geni con mutazioni lievi possono combinarsi a dare autismo.

Tutti i geni finora identificati sono espressi molto precocemente, confermando l'autismo come interruzione o modifica del neurosviluppo. La biologia e la patogenesi della condizione restano, però, ancora da capire appieno, anche se molta strada è stata percorsa dal 1911, anno in cui lo psichiatra Eugen Bleuler assegnò per la prima volta la parola autismo a un paziente psicotico socialmente chiuso, assente e assorto nei propri pensieri.

La definizione di ASD e le sue caratteristiche

Di "psicopatia evitante patologica autistica" parlò nel 1925 la psichiatra infantile sovietica Grunya Sukhareva e, nel 1938, lo psichiatra austriaco Hans Asperger descrisse bambini simili a quelli visti da Sukhareva, ma senza ritardi nello sviluppo del linguaggio o ecolalia (la ripetizione di ciò che l'altra persona ha appena detto) e che preferivano la compagnia degli adulti.

In seguito, Leo Kanner, psichiatra della Johns Hopkins University individuò i tre punti che accomunavano il comportamento di 11 bambini, otto maschi e tre femmine, con caratteristiche autistiche: isolamento da tutto ciò che proviene dall'esterno; desiderio ansioso-ossessivo di conservare la ripetitività delle abitudini, delle azioni, del linguaggio; isole di capacità, come buona intelligenza mnemonica, fenomenale e/o numerica.

Dopo un secolo, nel 2013, il DSM 5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) ha ufficializzato il termine "disturbi dello spettro autistico" (ASD) per denominare tutte le forme di neurosviluppo con deficit nella comunicazione sociale e presenza di comportamenti, interessi o attività ristretti e ripetitivi. Queste manifestazioni, in realtà, si estendono senza soluzione di continuità tra normalità e malattia e sono la loro frequenza e intensità a differenziare le condizioni in rapporto al grado con cui impediscono ai soggetti affetti di adattarsi al contesto, di sviluppare le risorse cognitive, di acquisire e di mantenere le relazioni sociali. I soggetti con disturbi dello spettro autistico hanno in comune la scarsa abilità ad adattare il proprio comportamento alla situazione, a condividere il gioco di fantasia, a usare ironia o sarcasmo, a dimostrare interesse verso i pari, a comprendere le aspettative degli altri durante le conversazioni (usando ecolalia o parlando solo dei propri interessi), i comportamenti stereotipati (sfarfallare le mani, far girare ripetutamente le ruote di una macchinina, odorare o toccare lo stesso oggetto con insistenza) e una gestualità limitata per l’età. Tuttavia, presentano un'ampia eterogeneità intersoggettiva, dovuta alla coesistenza o all'assenza di deficit intellettivi (che riguarda il 30% dei soggetti), dell'attenzione o dell'abilità motoria, d'ipersensibilità ai suoni e di una soglia del dolore innalzata.

Va, comunque, ricordata la notevole frattura tra quoziente intellettivo e capacità di "funzionare" nella vita di tutti i giorni. L'espressione "ad alto funzionamento", talvolta usata come sinonimo di sindrome di Asperger, faceva pensare a un'assenza di difficoltà e, pertanto, alla non necessità di assistenza: la pubblicazione del DSM-5 nel 2013, estendendo ufficialmente la definizione di autismo anche a persone con caratteristiche Asperger, ha ampliato l'accesso a terapie di supporto e interventi educativi a chi, prima, ne era escluso.

Il rapporto tra ASD e salute

Le persone autistiche hanno esiti di salute a lungo termine peggiori di quelli della popolazione generale. Una metanalisi di 34 studi rivela che, negli autistici, il rischio di malattie cardiache, di dislipidemia e di diabete è aumentato di circa il 50%: negli individui autistici il diabete di tipo 1 avrebbe a che fare con i tassi più elevati di patologie autoimmuni e quello di tipo 2 con la combinazione di fattori genetici dislipidemici e stile di vita. La metanalisi, oltre ad aprire nuove vie di ricerca sulla sovrapposizione genetica tra autismo e condizioni cardiometaboliche, contribuisce a un cambio di passo assistenziale necessario nei confronti delle persone autistiche, che hanno una grande vulnerabilità nelle aree dell'istruzione, dell'occupazione, delle finanze, dei servizi sociali, del contatto con la giustizia penale, dell'esperienza di violenza, bullismo e abuso domestico nell'infanzia e nell'età adulta e che, spesso, non sanno descrivere i loro sintomi fisici o quantificare il dolore, non capiscono le spiegazioni del medico e non ricevono un supporto adeguato dopo una diagnosi di malattia.

Una migliore funzionalità nel lungo periodo potrebbe essere indotta da un trattamento precoce e intensivo a livello familiare e scolastico, ma richiede una diagnosi tempestiva se non, addirittura, uno screening generalizzato nei bambini sotto i quattro anni, con la validata Modified Checklist for Autism in Toddlers (M-CHAT). Nella maggior parte dei paesi occidentali, però, sono lunghe le liste di attesa per accedere ai servizi diagnostici: in Canada, per esempio, la latenza tra l'invio allo specialista e il ricevimento della diagnosi di ASD era di 7 mesi, in epoca pre-pandemica. Lì, come negli USA, per avere accesso ai trattamenti, si richiede che i criteri diagnostici fissati dal DSM-5 siano certificati da un team multidisciplinare (composto da logopedista, pediatra, psichiatra e/o psicologo).

Forse, potrebbe soddisfare la domanda di valutazione (e con minore intensità di risorse) il pediatra generalista, specie se addestrato a usare l'Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS-2) un'osservazione semi-strutturata giunta alla seconda edizione: lo confermano due recentissimi studi (qui e qui), secondo i quali il giudizio clinico di pediatri esperti sullo sviluppo neurologico infantile è coerente con i risultati dell'ADOS e di poco inferiore a quella dei team multidisciplinari.

Anche nella realtà italiana vi è difficoltà di accesso all'intervento cognitivo-comportamentale erogato dal servizio sanitario pubblico: tuttavia, la valutazione neuropsichiatrica può mettere in moto la richiesta d'invalidità civile, il cui assegno contribuisce a sostenere le spese della psicoterapia libero-professionale.

ASD e genere

Negli studi sui disturbi dello spettro autistico fin qui citati, i maschi prevalgono sulle femmine: la stima del rapporto M:F dei Centers for Disease Control and Prevention nel 2012 era 4,7:1 e quella di una più recente revisione britannica di 3:1. Il cammino femminile per emergere dalla sottodiagnosi è stato lungo: ancora nel 1980, il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders ignorava le possibili differenze di manifestazione autistiche nelle bambine, riconosciute solo nell'ultima edizione del DSM del 2013. L'autismo può manifestarsi in modo diverso e meno evidente nelle femmine che si distinguono più facilmente dalle coetanee neurotipiche quando diventano adulte e le relazioni sociali si fanno più complesse: ma, allora, sviluppano, più dei maschi, ansia e depressione, che possono, a loro volta, sviare la diagnosi.

Solo in piccola percentuale i maschi autistici peggiorano con l'adolescenza; per lo più, tendono a migliorare le loro strategie di adattamento, pur rimanendo socialmente vulnerabili.

Trattamenti e modelli d'intervento

L'Istituto superiore di sanità ha pubblicato le linee guida per la diagnosi e il trattamento di bambini e adolescenti con disturbi dello spettro autistico, aggiornate al febbraio 2021. Alcuni programmi d'intervento, basati sulle scienze applicate del comportamento (ABA, Applied Behavioural Analysis) derivate dagli studi degli anni Settanta del secolo scorso di Ivar Lovaas, psicologo dell’Università di California Los Angeles (UCLA), sono finalizzati a rendere il comportamento funzionale ai compiti della vita di ogni giorno (alimentazione, igiene personale, abbigliamento) e a re-indirizzare i comportamenti indesiderati. Il programma ABA non ha mancato di sollevare critiche da parte di chi lo accusa di fornire al bambino un addestramento "alla Pavlov", mirato a farlo "sembrare" neurotipico, motivandolo a produrre il cambiamento comportamentale o cognitivo in cambio di un premio (rinforzo positivo) per ogni apprendimento o esercizio corretto.

Un altro modello d'intervento in età prescolare, promosso una quarantina di anni fa da Sally Rogers dell'Università del Colorado, è l'Early Start Denver Model (ESDM), che definisce il progetto abilitativo facendo leva sulle specificità di ciascun bambino e sulle sue preferenze di gioco (potente mezzo di apprendimento cognitivo e sociale). Il Denver prevede l'inserimento del bambino in situazioni sociali per la maggior parte delle ore di veglia, per stimolare l'abilità imitativa e correggere il disturbi della sincronia e della coordinazione che porta alla difficoltà relazionale.

Sia ABA sia Denver impongono, perciò, al bambino un importante carico di contatti interpersonali; altri terapisti ritengono, invece, che il benessere dei bambini autistici richieda di ridurre la complessità degli ambienti e delle interazioni sociali, di scandire le attività con modalità routinarie e di minimizzare il sovraccarico sensoriale (suoni e luci) che il bambino autistico ha difficoltà a elaborare.

Naturalmente, le capacità intellettive e di linguaggio di un individuo influiscono sulla sua capacità di funzionare e dettano i tipi di intervento più appropriati: nell'autismo lieve (una volta detti sindrome di Asperger e autismo ad alto funzionamento, con buon linguaggio corrente e QI nella media, nonostante i precedenti ritardi), sono la psicomotricità e la terapia cognitivo-comportamentale modificata, che migliorano l’espressione emotiva e la gestione dello stress, della rabbia e dell’ansia. Anche guardare un cartone animato può essere utile a un bambino autistico per superare le barriere ambientali che gli impediscono di fruire delle normali occasioni educative e, da qualche mese, Rai Yoyo trasmette nel pomeriggio la prima serie animata italiana che racconta le avventure di un bambino con ASD: Il mondo di Leo, illustrato da Dario Piana e sceneggiato da Nicola Brunialti, è anche un libro, edito dal Battello a vapore.

Va, poi, segnalato il diffondersi di sperimentazioni didattiche a livello periferico: in epoca pre-Covid, per esempio, quasi 200 bambini di sette scuole primarie di Vicenza (compresi bambini con disturbi del neurosviluppo), hanno seguito un percorso di introduzione alla cosiddetta mindfulness, orientata a promuovere le abilità di riconoscimento cognitivo-emotivo e di autoregolazione, con l’aiuto della storia Il mago di Om tracciata dal team di psicologhe del centro WOLI e messa per iscritto dall'insegnante Paola Galvani.

In alcuni casi specifici, possono aiutare a migliorare l'attenzione e la concentrazione e ridurre il comportamento impulsivo nei bambini autistici in età scolare, farmaci come il metilfenidato, ma prescritti come parte di un programma globale di trattamento psicologico, educazionale e sociale e preferibilmente per periodi inferiori all'anno, per non ritardare la crescita.

Un occhio al linguaggio

In poche situazioni umane come nell'autismo, il linguaggio sembra non essere forma, ma essere diventato sostanza e merito, soprattutto in seguito all'emergere del movimento per i diritti dei disabili, e, più in particolare, del Movimento per la neurodiversità, che combatte lo stigma, la bassa occupazione e l'accesso inadeguato all'istruzione e all'assistenza sanitaria. Per molte istanze cliniche o di disabilità, in realtà, è da tempo in atto un processo di limitazione dello stigma con l'uso di un linguaggio centrato sulla persona (person-first language) invece che sull'affezione sofferta (identity-first language). Paradossalmente, questa centratura non è per lo più considerata corretta dal Movimento.

Concettualizzare i disturbi dello spettro autistico dal punto di vista medico come un insieme di deficit e menomazioni comportamentali e cognitive da curare o prevenire è profondamente disumanizzante: l'ASD è un'espressione della diversità naturale umana e il grado di disabilità delle persone affette è, in buona parte, funzione del modo in cui l'ambiente è in grado o meno di assecondare i loro bisogni individuali. Per questo motivo, il Movimento per la neurodiversità suggerisce di evitare i termini "malattia", "rischio", "deficit" e "disturbo" e di descrivere l'autismo come parte integrante del modo di essere di una persona; importanti istituzioni nel Regno Unito e in Europa, come Autism Europe, il National Institute for Health e Care Excellence, la National Autistic Society, e Autistica.org, si sono adeguate, nell'intento di modificare sia la percezione pubblica sia le politiche sull'autismo.

Alcune differenze di linguaggio hanno sottigliezze che non possono essere percepite nella lingua italiana, in cui "persona con autismo" e "persona autistica" hanno lo stesso ordine terminologico; in inglese, invece, person with autism e autistic person hanno baricentri diversi. Per i militanti del movimento della neurodiversità, "quello che si ha" coincide con "quello che si è" e l'autismo non deve essere una sovrapposizione, ma una "carta d'identità" cui va dato risalto: mentre si può essere una "persona con varicella" - dicono - perché, una volta guariti, si è la stessa persona, alcune caratteristiche sono così pervasive da non essere più aggettivi, ma sostantivi (si è femmina e non persona con femminilità, si è genitore e non persona con figli).

Le caratteristiche dell'autismo, poi, sono essenziali all'ennesima potenza: se non avessero un cervello autistico, le persone autistiche semplicemente non esisterebbero.

Perché smettere di chiamarli Asperger

Hans Aspeger (1906-1980) è stato un neurologo di spicco della Vienna nel XX secolo: il suo studio su alcune caratteristiche psicologiche autistiche, pubblicato in forma completa nel 1944, ha trovato riconoscimento internazionale quarant'anni dopo, dando origine all'eponimo della sindrome. Tuttavia, il periodo in cui si consolidarono la sua fama e la sua carriera non ha mancato di suscitare sospetti su eventuali legami con il nazionalsocialismo, cui egli stesso ha opposto una narrazione di sé come difensore dei pazienti dalle misure d'igiene razziale del regime.

Uno studio del 2018, costato otto anni di documentazione su pubblicazioni d'epoca e su scritti precedentemente dati per distrutti nei bombardamenti, ma conservati in archivi austriaci, conclude che Asperger non solo si adattò al regime nazista, ma ebbe in premio per la sua lealtà l'opportunità di carriera, che, come quella di molti accademici, prese slancio quando i colleghi più anziani e titolati (tra cui Georg Frankl, che raggiunse Leo Kanner alla Johns Hopkins) dopo l'Anschluss dovettero abbandonare l'Austria perché perseguitati come ebrei.

Dopo l'annessione dell'Austria alla Germania, Asperger entrò nel NSDÄB (Nationalsozialistischer Deutscher Ärztebund) punta di diamante dell'ideologia nazista nella professione medica e referente per "tutte le questioni riguardanti la salute pubblica e la biologia della razza". Da docente, Asperger affermò pubblicamente: «Così come il medico deve spesso fare incisioni dolorose durante il trattamento delle persone, anche noi dobbiamo eseguire incisioni sul corpo nazionale, il Volkskörper, per un senso di grande responsabilità. Dobbiamo garantire che ai malati che trasmetterebbero le loro malattie a generazioni remote, a scapito dell'individuo e del Volk, venga impedito di trasmettere il loro materiale ereditario malato».

 


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