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Rischio guerra nucleare: appello a chi lavora in sanità, alziamo la voce

Mentre l'ultima conferenza di revisione del 2022 del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, si è conclusa senza una dichiarazione concordata, la guerra in Ucraina ha reso più pressante l'allarme per il rischio dell'olocausto nucleare. Anche i professionisti della sanità devono, quindi, considerare la prevenzione dell’uso delle armi nucleari a qualsiasi livello una priorità urgente.

Crediti immagine: Egor Myznik/Unsplash

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Gli attuali sforzi per il controllo e per la non proliferazione degli armamenti nucleari sono inadeguati a proteggere la popolazione mondiale dalla minaccia di una guerra nucleare scatenata per un preciso progetto. O, persino, per un errore nella reazione, reso non improbabile dall’evoluzione degli arsenali nucleari, che ha generato missili ipersonici così veloci da far scemare il tempo a disposizione per distinguere tra un attacco e un falso allarme.

L'ultima conferenza di revisione del 2022 del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons, TNP), che impegnava le 190 nazioni firmatarie a portare avanti negoziati che approdassero a misure effettive e tempestive per la cessazione della corsa agli armamenti nucleari e il disarmo nucleare completo sotto stretto ed efficace controllo internazionale, si è addirittura conclusa senza una dichiarazione concordata. Lo stigmatizza l’editoriale Reducing the risks of nuclear war—the role of health professionals comparso sulle maggiori riviste di medicina e firmato dai direttori di dodici di queste, che vale la pena di elencare per esteso, per evidenziare come la loro sfera d’influenza si estenda a nazioni di tutti i continenti: si tratta di British Medical Journal, International Nursing Review, Medical Journal of Australia, JAMA, Dutch Journal of Medicine, The Lancet, African Journal of Primary Health Care & Family Medicine, Revista de Sàude Publica, Journal of Public Health Policy, New England Journal of Medicine, National Medical Journal of India, African Health Sciences e East Africa Media Journal. Gli altri sei autori dell’editoriale lavorano alla London School of Hygiene and Tropical Medicine, oppure hanno presieduto l’International Physicians for the Prevention of Nuclear War o la World Association of Medical Editors, come Chris Zielinski, referente per la corrispondenza, un veterano della gestione e dell’etica della conoscenza.

L’allarme per il rischio dell’olocausto nucleare è diventato più pressante a causa dell’intensificazione e allargamento della guerra in Ucraina, che porta ormai a fronteggiarsi due delle maggiori potenze nucleari mondiali; né vale a diminuirlo l’evocazione da parte dei media di cosiddette “bombe nucleari tattiche”. Come spiega l’editoriale, qualsiasi uso di armi nucleari sarebbe catastrofico per l'umanità: un conflitto atomico di scarsa portata, che coinvolgesse anche solo 250 delle 13.000 armi nucleari nel mondo, potrebbe sterminare 120 milioni di persone e causare uno sconvolgimento climatico tale da mettere a rischio di morte a breve termine 2 miliardi di persone; una guerra nucleare tra USA e Russia, inevitabilmente di larga scala, ucciderebbe 200 milioni di persone e potrebbe causare un "inverno nucleare" globale che minaccerebbe la sopravvivenza dell'umanità.

È necessario rinunciare all’ottimismo e alla politica dello struzzo, privando i termini “inverno nucleare” e “carestia nucleare” della loro rassicurante astrattezza: con il primo, si intende un periodo di prolungato raffreddamento del clima causato dall’enorme quantità di polveri radioattive trasportate dai venti che bloccherebbe nella stratosfera parte del passaggio della luce solare. La bassa temperatura, l’oscurità e le radiazioni emesse dalle esplosioni atomiche causerebbero la “carestia nucleare” e comprometterebbero irrimediabilmente la vita animale e vegetale.

Non si tratta solo di teorie basate su modelli: qualcosa del genere, infatti, è già successo nel 1815, quando l’eruzione del monte Tambora ha disperso in atmosfera tanta cenere da oscurare la luce del Sole: a un anno senza estate seguirono anni di carestie e fame in tutto il mondo.

In un articolo su Nature Food, gli autori paventano che l’immissione in atmosfera di quantità di fuliggine comprese tra 5 e 150 milioni di tonnellate (come quelle prodotte da un’eventuale guerra nucleare tra la Russia e la NATO) porterebbe alla drastica riduzione di allevamenti, coltivazioni, pesca, acquacolture e scambi commerciali e, quindi, a un numero fino a 5 miliardi di morti per fame. Il numero reale potrebbe essere un po’ più alto o un po’ più basso, ma, comunque, quello ipotizzato è sufficientemente realistico da suscitare una reazione d’orrore e destare la volontà di reagire alle politiche che avvicinano l’umanità al baratro, come commenta Zack Savitsky su Science.

I professionisti della sanità devono, quindi, considerare la prevenzione dell’uso delle armi nucleari a qualsiasi livello una priorità urgente e la loro azione deve essere incisiva adesso come lo fu quando, guidati da International Physicians for the Prevention of Nuclear War (IPPNW), cui fu assegnato il premio Nobel per la pace nel 1985, hanno contribuito a frenare la corsa agli armamenti nucleari in entrambi i lati della cortina di ferro. Organizzazioni mediche internazionali quali il già citato IPPNW, il Comitato internazionale della Croce Rossa, la World Medical Association, la World Federation of Public Health Associations e l’International Council of Nurses possono avere un ruolo chiave nel preparare le coscienze in vista dei negoziati, fornendo le prove delle conseguenze catastrofiche di una guerra nucleare.

Questo editoriale dell’agosto 2023 è una storica chiamata alla responsabilità e all’azione rivolta alle associazioni professionali, affinché si uniscano all’IPPNW per pretendere dai governi sia la scelta immediata di non utilizzare mai le armi nucleari (neppure come minaccia o deterrente) nei conflitti ora in atto sia la volontà di avviare quanto prima negoziati per eliminare tutti gli arsenali atomici.

Una simile presa di posizione c’era già stata anche in Italia: sul numero di maggio-giugno del suo organo di stampa, Epidemiologia & Prevenzione, l’Associazione Italiana di Epidemiologia ha documentato le ragioni dei sanitari per fermare la guerra; a loro non spettano considerazioni di geopolitica, ma spetta studiare e descrivere gli effetti diretti e indiretti delle guerre sulla salute umana nel breve e lungo periodo, le strette relazioni tra le guerre e i fenomeni che generano lo spostamento di masse di individui e le possibili strategie di prevenzione e di mitigazione di questi effetti e conseguenze. 

 


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