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Come il cambiamento climatico ha cambiato le co-migrazioni

Uno studio analizza 15 anni di dati per valutare come siano cambiate le associazioni tra specie diverse di uccelli migratori che, ogni primavera, transitano sull’isola di Ponza. L’approccio, che per la prima volta consente di fornire un quadro d’insieme dei dati sulle diverse specie, evidenzia una sincronizzazione sempre maggiore tra diverse specie di migratori, in particolare quelli provenienti dall’Africa sub-sahariana, probabilmente a causa del cambiamento climatico in corso.

Crediti immagine: balia dal collare (F. albicollis) fotografata dal Centro italiano per lo studio e la conservazione dell'ambiente (CISCA) nel centro di inanellamento di Ponza.

Tempo di lettura: 6 mins

Chi viaggia con chi? Le migrazioni degli animali, e in particolare quelle degli uccelli, sono state e sono sempre oggetto di numerosissimi studi. Le ricerche spaziano dal campo della fisiologia, per capire per esempio come le specie riescano ad affrontare, dal punto di vista metabolico, distanze impressionanti, o come si orientino nello spazio; alle indagini dedicate a studiare gli effetti dei cambiamenti climatici e delle loro alterazioni sulla temperatura del globo sulle popolazioni di migratori. Mancano, però, studi che forniscano un “quadro d’insieme”: infatti, tra gli uccelli vi possono essere tappe e tratti di percorso condivisi, nei quali si stabiliscono interazioni dirette e indirette, e che caratterizzano l’ecologia della migrazione.

È proprio questo l’aspetto indagato da un recente studio pubblicato su Royal Society Open Science e coordinato da Claudio Carere, professore di etologia e biologia animale presso il Dipartimento di scienze ecologiche e biologiche dell’Università della Tuscia. Il gruppo di ricerca ha analizzato i dati raccolti in oltre 15 anni sull’isola di Ponza, che rappresenta uno dei principali siti di stopover (cioè di transito e riposo) lungo la rotta delle specie che, in primavera, migrano dall’Africa all’Europa per la riproduzione. E, grazie a un approccio basato sulla teoria delle reti e che permette di analizzare le relazioni tra le varie specie migratrici, il lavoro evidenzia come nel tempo siano cambiate le co-migrazioni, quindi le associazioni tra specie diverse durante la migrazione.

Fermate condivise

«Usignolo, upupa, beccafico, pettirosso..: sono moltissime le specie di uccelli migratori che, da millenni, risalgono ogni primavera dall’Africa all’Europa, dove passano la stagione riproduttiva per poi compiere la rotta inversa in autunno. Su questa rotta distinguiamo due principali tipi di migratori: quelli che chiamiamo migratori “corti”, che arrivano dall’Africa settentrionale, e i migratori “lunghi”, che provengono invece dall’Africa sub-sahariana», spiega Carere. «Per entrambi, comunque, l’arcipelago delle isole Ponziane rappresenta un importante punto di transito e fermata dopo la lunga traversata del Mar Mediterraneo. Non a caso, queste isole attraevano una volta i cacciatori, e oggi i birdwatcher e, naturalmente, i ricercatori: qui possiamo inanellare gli uccelli di passaggio, raccogliere i campioni e i dati relativi a specie, sesso, età».

Nel corso degli anni, l’attività di monitoraggio e raccolta dati ha permesso di raccogliere una vastissima gamma d’informazioni sugli animali in transito, che riflette la demografia delle popolazioni (e dunque del loro stato di conservazione) ma permette anche di analizzare la fenologia delle singole specie – cioè il loro “calendario” di migrazione: chi arriva prima, chi dopo, quando riparte. La fenologia di migrazione è un aspetto spesso indagato in letteratura, anche per capire come venga alterata dai cambiamenti climatici: gli studi evidenziano un’anticipazione delle migrazioni tra Africa ed Europa in risposta all’aumento globale delle temperature. Nel Mediterraneo, per esempio, secondo alcune valutazioni il picco di migrazioni sembra essersi anticipato di un giorno all’anno negli ultimi vent’anni. Questo non avviene però senza conseguenze: come spiega bene la naturalista e giornalista scientifica Francesca Buoninconti in questa intervista, infatti, uno dei problemi è che l’anticipazione non è sempre sufficiente per arrivare nel periodo di massima disponibilità delle risorse, necessarie per il successo riproduttivo; e, nel tentativo di giungere a destinazione sempre più in fretta, gli uccelli abbreviano le soste che sono loro necessarie per ricostituire le riserve energetiche per il viaggio.

Gli studi in questo campo sulle singole specie non mancano. Ma la rotta migratoria dall’Africa all’Europa (e ritorno in autunno) vede raccolte molte diverse specie, che si trovano dunque a interagire direttamente e indirettamente tra loro, condividendo spazio e risorse. Come stanno cambiando queste relazioni nel corso del tempo? Rispondere potrebbe offrire una prospettiva più completa sugli effetti dei cambiamenti climatici negli uccelli migratori, contribuendo in ultima analisi anche alla conservazione.

Come un unico stormo

«La difficoltà di questo tipo di analisi è che richiede un tracciamento continuativo degli animali tra continenti diversi; è inoltre necessario avere un modello che permetta poi di riflettere bene i movimenti delle differenti specie, così da evidenziarne i pattern di aggregazione», spiega Carere. «È proprio nel superare questi limiti che i dati raccolti nel tempo sull’isola di Ponza diventano preziosi. Avendo a disposizione una ricchissima quantità d’informazioni su molte specie, per un totale di oltre 220.000 individui inanellati e 31 specie differenti, su un lungo arco temporale (i dati che abbiamo analizzato sono stati raccolti tra il 2007 e il 2021), abbiamo potuto svolgere un’analisi completa. Bruno Bellisario, collega ecologo dell’Università della Tuscia e primo autore dell’articolo, ha infatti impiegato un modello basato sull’approccio della rete sociale, ampiamento usato in diversi campi ma mai impiegato per lo studio delle co-migrazioni. Dai risultati abbiamo potuto derivare una misura di quella che abbiamo definito “fedeltà di co-migrazione”, cioè la frequenza con cui specie diverse migrano insieme, per vedere se e come è cambiata nel corso dei 15 anni analizzati».

Ciò che ha osservato il gruppo di ricerca con questo approccio è che si possono riconoscere raggruppamenti ben definiti di specie che si succedono nel corso dei mesi di migrazione. E anche che, nel tempo, questa fedeltà di co-migrazione è andata aumentando, portando a sempre più specie che si ritrovano insieme sull’isola di Ponza. La tendenza alla sincronizzazione si riscontra soprattutto per i migratori lunghi, cioè le specie provenienti dall’Africa sub-sahariana. E la ragione di questa differenza, scrivono gli autori, può essere collegata a specifici fattori ecologici associati alla lunghezza del viaggio da compiere e alla competizione per i siti di riproduzione: le specie più vicine a questi ultimi, cioè i migratori corti provenienti dall’Africa settentrionale, percepiscono meglio le alterate condizioni e hanno risposte adattative più rapide. Di conseguenza, i migratori corti anticipano maggiormente il loro picco migratorio rispetto alle specie trans-sahariane. Proprio questa plasticità spiegherebbe anche il minor declino demografico registrato per i migratori corti di passaggio su Ponza.

Quali le conseguenze? In realtà, l’osservazione dei pattern di co-migrazione non può essere, da sola, indicativa delle specifiche interazioni che si verificano tra le specie. Può però suggerirne alcune potenziali, soprattutto quando gli uccelli si trovano in zone che fungono da “collo di bottiglia” nel corso delle migrazioni (come appunto Ponza). «Abbiamo provato a proporre alcune ipotesi: per esempio, è stato osservato in alcuni studi come gli uccelli possano usare i richiami emessi da altre specie per stimare la qualità dei siti di stopover e per “tenersi in contatto” durante il viaggio. Si può dunque ipotizzare che la tendenza a sincronizzare le migrazioni in gruppi ben definiti permetta di ottimizzare i costi, contribuendo a individuare i siti di stopover migliori e a ridurre il rischio di predazione», spiega Carere.

«In generale, questo lavoro ci ha permesso di rianalizzare i dati che avevamo per le singole specie riuscendo a dare una fotografia che le inquadra come fossero un unico stormo, del quale ora possiamo studiare e valutare il fenotipo di migrazione», conclude il ricercatore. «Un elemento importante per avere una visione complessiva degli effetti del cambiamento climatico sulle migrazioni, mostrando come possa influenzare contemporaneamente più specie (e le relazioni tra loro). Ora continueremo lo studio per mettere in relazione la co-migrazione con i dati meteorologici degli ultimi anni. Inoltre, dovremo poi approfondire eventuali differenze che si verificano tra i due sessi, che giocano un ruolo importante nella fenologia delle migrazioni: in molti casi (un esempio è il fringuello), infatti, i maschi intraprendono il viaggio migratorio prima delle femmine, un fenomeno noto come “migrazione proterandrica”».

 


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