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Giulio Boccaletti: l'acqua è politica

Siccità di Giulio Boccaletti, direttore scientifico del Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici, è un'opera che si colloca all'intersezione tra politica, storia, geologia ed ecologia. Il libro analizza il tema dell'acqua e della sua gestione, sottolineando come, dopo millenni di stabilità climatica, l'Europa si trovi ora di fronte a nuove sfide relative alla risorsa idrica, causate da eventi estremi come siccità e alluvioni. Boccaletti enfatizza la necessità di una "modernizzazione" su larga scala, che richiede solidarietà internazionale e un approccio politico, per una gestione della risorsa più preziosa all'altezza dei cambiamenti climatici in corso. Immagine: Francisco Tropa, "Le poumon et le coer" (foto di Renata Tinini).

Tempo di lettura: 6 mins

Siccità (Mondadori, 2023) è un libro politico, anche se intessuto di dati e notazioni storiche geologiche ed ecologiche. E ci serviva proprio. Soprattutto adesso che il governo italiano ha finalmente liberato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), peraltro oggetto di non poche critiche. E l’autore, Giulio Boccaletti, direttore scientifico del Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici, non lo nasconde. Dopo millenni di stabilità climatica, ora le risorse idriche nel continente europeo si comportano in un modo diverso rispetto al passato. I ghiacciai che si fondono, e che fra non molto spariranno, gli eventi estremi come siccità e alluvioni, gli eventi estremi in generale chiamano a nuove sfide. Ora ci tocca mettere mano una nuova “modernizzazione” - spiega Boccaletti - «la cui scala non si è vista in oltre un secolo. La nuova frontiera richiederà solidarietà tra le nazioni. Un progetto interamente politico».

Da sempre il territorio è stato "ingegnerizzato" per domare l'acqua che lo percorre, che a tratti manca, che a volte lo sommerge con violenza esondando dai fiumi. La storia di città come Milano e del suo contado dal Quattrocento in poi, a cui l'autore dedica alcune pagine, mostra quanto l'acqua, incanalata e asservita ai bisogni di trasposto, agricoli e industriali, ma anche ricreativi, costituisca l'infrastruttura delle nostre società ed economie. E così il patto che sta alla base del rifornimento di acqua potabile di New York e tante altre storie mostrano la necessità di governare le risorse idriche. Le mutate condizioni climatiche, che peraltro sembrano subire ogni anno che passa una preoccupante accelerazione, richiedono dunque una nuova "ingegnerizzazione".

Le tecnologie sono importanti, ovviamente, ma le decisioni da prendere a livello europeo e italiano (per restare nel nostro) sono tali da richiedere un patto fra diversi portatori di interesse. E una governance non frammentata in un dedalo di enti, o demandata a autorità di bacino con scarse autonomia politica e capacità di spesa. C'è molto da fare, insomma, e il tempo stringe.

Potere e gestione dell’acqua

La gestione delle acque è sempre stato un requisito del potere dai tempi delle grandi inondazioni narrate dalla Bibbia o dagli antichi miti mesopotamici. Anche allora si trattava di mettersi in salvo, bonificare, e garantire l’acqua da bere e per coltivare. I grandi Imperi del passato - racconta Boccaletti anche nel suo altro monumentale libro, Aqua: una biografia, hanno edificato la loro potenza sul governo dell’acqua e del territorio.

Ancora oggi i paesi che hanno mantenuto in parte le forma mentis imperiale ne sono consapevoli. E’ il caso degli Stati Uniti che periodicamente intervengono con grandi investimenti per garantire al paese una sicurezza idrica sempre in forse. Non a caso parte dei 700 miliardi di dollari dell’Infrastructure Investment and Jobs Act del 2021 è stato investito nello stoccaggio e convogliamento delle acque verso Ovest, in nuove reti di distribuzione potabile e nel risanamento di acque e terreni contaminati. Niente di simile o pochi spiccioli troviamo invece nel Next Generation EU, che in questo secondo l’autore rivela la mancanza di ambizione politica del progetto europeo.

Insicurezza idrica italiana

A scorrere i dati che Boccaletti rammenta in uno dei saggi iniziali di Siccità, si colgono la plasticamente le falle della sicurezza idrica italiana. L’acqua che ci piove in testa è sempre più o meno quella, 250-300 miliardi di metri cubi all’anno, ma distribuita durante l’anno in modo sempre più capriccioso e verrebbe da dire malevolo: ce n’è troppa quando non serve, poca quando manca. Da un terzo alla metà delle precipitazioni viene intercettato dalla vegetazione, per poi tornare in atmosfera come vapore, mentre il resto finisce nei fiumi e nelle falde (100-150 di metri cubi). Di questa, una buona metà resta a beneficio degli ecosistemi e l’altra viene impiegata per l’uso potabile (una quota piccola, il 3%) e molta di più per l’irrigazione (10-30 miliardi di metri cubi all’anno). Sembrerebbe che ci siamo e invece no, perché tutto si gioca in quel maledetto pendolo fra stagioni bagnate e stagioni asciutte, quando il sistema entra in crisi, i fiumi vanno in secca, ed esplode il conflitto fra usi in competizione fra loro: civili, industriali e agricoli. E nell’agricoltura fra colture insostenibili come le risaie (quasi la metà del consumo irriguo nazionale), le cerealicole, gli allevamenti intensivi, si gioca una partita difficile. L’incapacità di gestire gli usi idrici nelle stagioni siccitose segna il fallimento della politica, che in Italia non ha sviluppato un sistema abbastanza dinamico di licenze e diritti per rendere l'acqua un bene fungibile e quindi cedibile a chi ne ha più bisogno. E nemmeno è riuscita, anche per opposizioni delle popolazioni locali, a garantire all’agricoltura e agli altri usi invasi e raccolte d’acqua sufficienti per i periodi di magra. L’insieme delle dighe e bacini italiani raccoglie infatti circa 10 miliardi di metri cubi d’acqua, la metà del fabbisogno agricolo, mentre la Spagna con i suoi 50 miliardi garantisce due anni e mezzo e gli Stati Uniti, con i suoi 700 miliardi, copre 4 annate. 

Le scelte da compiere

Le soluzioni ingegneristiche tradizionali non sono le sole ad essere deficitarie. Affrontare la sicurezza idrica nel nuovo quadro climatico - in tempi di siccità ma specularmente anche nell’immancabile seguito di alluvioni - imporrebbe alla politica di pianificare la scelta delle colture più idonee, così come di gestire i boschi e gli altri habitat sempre in chiave di sicurezza idrogeologica. Ma i boschi che ricadono nei confini dei circa 8.000 comuni italiani sono in buona parte privati, come lo è di fatto la quasi totalità dei campi agricoli. Per questo motivo Boccaletti precisa che quando parla di politica non si riferisce solo a chi governa al centro e a livello locale, ma anche alla sensibilità, la conoscenza e l’educazione civica della popolazione, per buona parte da costruire o comunque aggiornare al nuovo quadro ambientale. Il paesaggio italiano non può in ragione della sua storicità e bellezza essere considerato intoccabile, per il semplice fatto che se non lo adatteremo noi al clima che cambia sarà il clima a sfigurarlo.

Buona parte della antologia degli scritti di Boccaletti affronta la natura politica, scientifica e culturale della gestione dell’acqua nel nostro paese, soffermandosi anche sulla tensione fra competenze tecnico-scientifiche e legittimità politica, a sua volta divisa fra pretese direttive del centro e istanze locali. «Serviranno una sintesi politica che descriva il paesaggio nazionale e una forte sussidiarietà che nella gestione assicuri la centralità dell’esperienza locale (l’acqua è sempre locale)», scrive Boccaletti. «E servirà che istituzioni preposte a coordinare, come le autorità di bacino, abbiano le risorse e il potere di negoziare».

Grandi fiumi, grandi risorse, grandi problemi

La parte finale del libro è dedicato allo scenario internazionale, dove i problemi italiani scoloriscono davanti alla strutturale insicurezza idrica di molti paesi in via di sviluppo, nonostante i progressi registrati negli utlimi decenni in campo ambientale e sanitario. Un denso capitolo è dedicato anche alle guerre, che se non è corretto dire siano causate dall’acqua, hanno spesso trasformato fiumi e dighe in strumenti e occasioni belliche (si pensi al crollo della diga di Nova Kachovka nel giugno 2023 in Ucraina per mano russa). 

Si ripercorrono così in una carrellata che a tratti ricorda il grande respiro storico di un Braudel le vicende politico-diplomatiche che si sono giocate in riva all’Indo, al Brahmaputra, al Mekong, al Nilo e al Giordano. Le trasformazioni che hanno interessato i grandi fiumi del pianeta ricapitolano infatti le grandi civiltà da cui sono scaturite, le loro epopee, il loro attuale disagio.

 


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