fbpx Il negazionismo climatico cambia tattica | Scienza in rete

I negazionisti climatici cambiano tattica, ma sono sempre loro

Il negazionismo climatico ha una nuova faccia: quella che costruisce sfiducia nella scienza e nelle tecnologie rinnovabili – in massima parte già mature per fare la transizione energetica – e che minimizza gli impatti del riscaldamento globale. Serve prendere le misure.

Immagine realizzata con l’AI Runway

Tempo di lettura: 6 mins

Ormai non si può più dire (e credere) che il riscaldamento globale non esiste o che non è causato dall’uomo. Le evidenze sono schiaccianti da decenni e purtroppo, come previsto, stiamo già iniziando a osservarne gli impatti sul nostro benessere, molto mal distribuiti geograficamente e socialmente. La strategia dei negazionisti climatici è quindi cambiata, come ha conteggiato il Center for Countering Digital Hate (CCDH) relativamente all’offerta mediatica di YouTube. Il “nuovo” negazionismo ora diffonde altre tipologie di false informazioni: la scienza non è affidabile, le soluzioni non funzionano e tutto sommato non c’è molto da temere per gli impatti climatici. In parte questo è visibile anche nelle parole del nostro Ministro per l’ambiente, che prende atto dell’esistenza del cambiamento climatico ma ancora dubita delle cause umane (ma questo è anche un problema di scelta delle competenze nella formazione dei governi).

Meccanismi del tutto simili a quelli che si sono riscontrati in pandemia da chi voleva creare scompiglio sociale generando dubbi prima sull’esistenza del virus e poi anche sull’efficacia dei vaccini. Per altro, il CCDH si occupa anche di questo e di altri temi ancora, come gli episodi crescenti di antisemitismo, su cui pure occorre prestare attenzione, purtroppo.

La ricerca sul “nuovo” negazionismo ha riguardato circa 12mila video sul clima caricati su YouTube pubblicati da 96 canali notoriamente negazionisti, per il periodo che va dal 1° gennaio 2018 al 30 settembre 2023 (l’elenco completo dei canali è riportato nel rapporto). La copertura mediatica è stata di circa 325 milioni di visualizzazioni complessive. Le oltre 4000 ore di video sono state analizzate grazie a un sistema di intelligenza artificiale che ha prodotto risultati con un’accuratezza del 78%.

Ecco come appaiono le modifiche nei contenuti dei messaggi veicolati dagli account.

negazionismo

I valori sono percentuali. Dati di CCDH, grafico dell’autore. I vecchi negazionismi sono “Il riscaldamento globale non sta avvenendo” e “Le emissioni antropiche di gas serra non causano riscaldamento globale”; quelli nuovi: “Gli impatti del riscaldamento globale sono benèfici o innocui”, “Le soluzioni climatiche non funzionano” e “La scienza climatica e i movimenti climatici sono inaffidabili”.

I messaggi del “nuovo negazionismo” sono passati da un 35% del totale nel 2018 a un 70% nel 2023; al contempo, quelli relativi al “vecchio negazionismo” dal 65% al 30%.

Per esempio, a questa iniziativa del think tank negazionista The Heartland Institute si afferma come le energie rinnovabili siano pericolose e costose per i cittadini; quando in realtà sono molto efficaci e poco costose. Oppure, il video seguente spiegherebbe come le politiche climatiche siano dannose per la società - realizzato con una grafica gradevole ed efficacie, che darebbe del filo da torcere ai contenuti comunicativi della stessa Convenzione ONU sul clima.

Uno dei casi studio riguarda il noto negazionista Jordan Peterson, che organizza interviste e dibattiti per decostruire tutto quello che riguarda il clima, dalle cause fisiche alle soluzioni. Vestito di tutto punto, video di qualità e soprattutto con moltissimo seguito: i suoi iscritti sono 7,5 milioni. I titoli dei video sono, tra gli altri, "La grande truffa del clima", "Uccidere i poveri per salvare il pianeta" e "Le previsioni sono sbagliate".

«La negazione della scienza è diventata insostenibile» afferma John Cook, uno dei principali ricercatori sullo scetticismo climatico. «Così, inevitabilmente, gli oppositori dell'azione climatica stanno strategicamente passando alla disinformazione che ha come obiettivo le soluzioni climatiche, al fine di ritardare la politica climatica». Anche il noto climatologo e geofisico Michael Mann ha scritto che i negazionisti del clima si sono allontanati dalla negazione vera e propria e sono passati a quello che lui chiama “inattivismo”, tramite la promozione delle “cinque D”: deviazione, ritardo, divisione, disperazione e catastrofismo (in inglese: deflection, delay, division, despair and doomism). Lo scopo è diventato quindi quello di rallentare l’azione climatica tramite il dubbio e la sfiducia.

Al riguardo, la guida Crisi climatica e come comunicarla a cura di Climate Media Center Italia scrive:

Il negazionismo del cambiamento climatico è un fenomeno organizzato e alimentato dagli interessi dell’industria dei combustibili fossili e da settori politici che spesso fanno leva su inerzie e bias personali (ideologici, religiosi o politici) difficilmente scardinabili, i cui obiettivi sono quelli di demolire la scienza e di minare il sostegno all’azione climatica. Per fare questo si sono serviti spesso, e ancora si servono, proprio dei media stessi.

Bisognerebbe chiedersi quindi se anche i singoli negazionisti rispondano agli interessi dei combustibili fossili oppure no. Negazionismo che va a braccetto, come noto, con le numerose pratiche di greenwashing, come sostenuto da Greenpeace e altre associazioni in merito ai sempreverdi spot di Eni trasmessi al Festival di Sanremo a più di 11 milioni di telespettatori (qui un'analisi, su Appunti di Stefano Feltri, di Duilio Giammaria, conduttore della trasmissione di RAI 3 "Petrolio"). Le grandi multinazionali legate ai combustibili fossili hanno anch’esse modificato strategia: da un lato si descrivono attori verdi della transizione ecologica, ma dall’altro affermano che serve estrarre più gas metano, che le rinnovabili non sono così affidabili e via dicendo, come ha scritto, tra gli altri, Stella Levantesi per Desmog.

Queste pratiche di manipolazione dell’informazione fanno leva sulla complessità della scienza climatica e sulle convinzioni più o meno profonde delle persone. Laddove può esserci scarsa conoscenza o magari anche paura del cambiamento (per il proprio posto di lavoro, per esempio), il dubbio si insinua più facilmente.

Ecco perché l’attività dei mezzi d’informazione, compreso YouTube, è essenziale. Il rapporto di CCDH, per questo, ha suggerito alcune raccomandazioni. Innanzitutto, occorre modificare le policy di Google per YouTube. Andrebbero aggiornate da «We do not allow content that contradicts authoritative scientific consensus on climate change», che si riferisce solo alla base scientifica, a «We do not allow content that contradicts the authoritative scientific consensus on the causes, impacts, and solutions to climate change», comprensiva anche degli impatti e delle soluzioni. CCDH chiede anche di non monetizzare i video che diffondono contenuti negazionisti; secondo il rapporto, infatti, YouTube «è potenzialmente in grado di guadagnare fino a 13,4 milioni di dollari all'anno in entrate pubblicitarie» dai video che diffondono false informazioni su clima e transizione ecologica.

Più la transizione ecologica si farà seria più gli interessi dei combustibili fossili cercheranno di ostacolarla con negazionismo e greenwashing, come si è visto durante la COP28, anche nel gran numero di lobbisti fossili. Saranno essenziali da questo punto di vista le prossime elezioni europee a giugno (e pure quelle americane), che dovranno per lo meno confermare l’ambizione dell’attuale Green Deal, se non migliorarla ancora. L’esito non è affatto scontato, vista l’ondata crescente di movimenti di destra, che hanno costruito malcontento e sfiducia nella scienza contro le politiche climatiche – implementate durante il periodo già parecchio stressante del Covid-19. In ogni caso, chi si occupa di comunicazione del cambiamento climatico non può in alcun modo permettersi di trasmettere pessimismo: la transizione è già iniziata e gli scenari catastrofici sono oggi meno probabili di qualche anno fa. Ora o mai più.

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