La distruzione della prima sperimentazione in campo di riso TEA sottolinea come persista una forte resistenza ideologica alle piante OGM. Ed è quindi più importante che mai discutere, su base scientifica, le potenzialità delle piante geneticamente modificate per il benessere umano e ambientale, anche a fronte delle sfide che la crisi climatica pone all'agricoltura.
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Il 13 maggio scorso, previo parere tecnico di ISPRA, è stata avviata in Lombardia una sperimentazione con piante ingegnerizzate - o meglio editate con le Nuove Tecniche Genomiche (NGT), in Italia chiamate TEA (Tecniche di Evoluzione Assistita) che in UE sono ancora considerate OGM. Era la prima sperimentazione in campo aperto e, come ha riportato Scienza in rete, rappresentava una conquista per la libertà di ricerca.
È di pochi giorni fa la notizia che riporta come la coltivazione sia stata distrutta, probabilmente da attivisti. Notizia che rimarca l’importanza di riflettere, su base scientifica, sulle potenzialità delle piante geneticamente modificate per il benessere umano e dell’ambiente.
Il caso dell’Università della Tuscia
Un esempio dell’ostilità politica alle piante GM viene da quando, nel 2012, il ministero dell’Ambiente non ha concesso la proroga all’Università della Tuscia, necessaria per portare a termine una sperimentazione molto complessa, regolarmente autorizzata, costringendo così a distruggere 360 piante da frutto. È stato un danno irreparabile, in particolare per la scienza, non foss’altro perché le piante arboree sono difficilissime da manipolare e successivamente da valutare, poiché richiedono tempi estremamente lunghi.
Quella sperimentazione, unica al mondo per complessità, era monitorata da numerosi esperti in diversi campi scientifici, con l’obiettivo tra l’altro di valutarne l’impatto su ambiente, umani, animali, microbi e insetti. Le piante erano state trasformate nei laboratori della stessa università, con diversi geni per differenti finalità (resistenze a malattie fungine, al freddo, alla siccità, alla salsedine, per l’habitus vegetativo compatto e per facilitare la propagazione). Una sperimentazione di quella portata, con ripetizioni per una corretta analisi statistica, ambita da tutti coloro che l’avevano visitata (scienziati italiani, americani, australiani, giapponesi e altri), si sarebbe dovuta mantenere ed essere presa a modello da tutti coloro che hanno a cuore il benessere umano e ambientale.
Al contrario indifferenza, scarsa lungimiranza e ideologia dei decisori politici hanno prevalso su buon senso e raziocinio, distruggendo il frutto di trent’anni di un lavoro pionieristico, ignorando l’appello dei biotecnologici di tutto il mondo. Con questo irresponsabile gesto i nostri governanti hanno introdotto un ulteriore elemento di disuguaglianza tra i già bistrattati ricercatori italiani nei confronti dei loro colleghi stranieri, impedendo di raccogliere dati scientifici di estremo interesse. Al contempo hanno privato il mondo agricolo e i fruitori della possibilità di conoscere direttamente da esperti (e non da improvvisati comunicatori) i possibili rischi e i reali benefici che questa tecnologia può generare sulla sicurezza alimentare, negando altresì l’accesso alle innovazioni atte a garantire una maggiore sostenibilità dei sistemi produttivi, e oggi addirittura ad accelerare la transizione ecologica.
Gli OGM nell’Unione Europea
Molti ignorano che 29 paesi al mondo coltivano OGM e che ben 71 ne sono consumatori, inclusi gli stati dell’UE, che ha già da tempo autorizzato 60 prodotti derivati da queste colture e che ci accompagnano quotidianamente a tavola, nell’abbigliamento e nelle cure ospedaliere (abbigliamento intimo, fiocchi e garze di cotone per curare le ferite e altro). Senza considerare le centinaia di migliaia di tonnellate di mais e soia OGM importati per alimentare gli animali domestici, molti dei quali allevati per produrre cibi tipici locali e per prodotti made in Italy.
L’importazione di derrate alimentari da parte della UE è costantemente in crescita, perché la coltivazione di gran parte dei prodotti di largo consumo è stata delegata a paesi extra-europei nei quali percentuali significative delle superfici coltivate a mais, soia, cotone, canola sono OGM. Sul mercato mondiale è quindi sempre più difficile reperire derrate da colture tradizionali, considerato il continuo aumento di quelle geneticamente modificate (ISAAA, 2019) e quando si trovano spesso derivano da coltivazioni con protocolli non equiparabili ai disciplinari europei.
Nell’UE l’uso in agricoltura delle piante OGM è percepito come potenziale rischio per l’ambiente e la salute, per cui (con l’eccezione di Spagna e Portogallo) si è obbligati a non coltivarle, con evidenti svantaggi. Nel secolo scorso, per esempio, l’Italia era quasi auto-sufficiente in fabbisogno di mais; oggi, a causa dell’abbandono delle coltivazioni, è costretta a importare oltre il 50% del proprio fabbisogno, vale a dire circa 6-7 milioni di tonnellate all’anno, di cui in parte è mais OGM. L’abbandono è dovuto al fatto che gli ibridi tradizionali che gli agricoltori italiani, e non solo, sono obbligati a coltivare non reggono la concorrenza del mais (Bt) prodotto per resistere agli insetti e all’erbicida glifosato, sia per resa unitaria sia per qualità. Questo mais si difende autonomamente dagli insetti, per cui non richiede insetticidi e necessita una minor quantità di diserbante per il controllo delle infestanti rispetto ai mais tradizionali. Oltre a rappresentare un costo, gli insetticidi non sono sempre efficaci e sicuramente non sono selettivi (non distinguono gli insetti dannosi da quelli utili), con evidenti danni all’ambiente e all’agricoltore che, in annate piovose e calde, è obbligato a svendere il raccolto ai termovalorizzatori perché non commestibile per l’alimentazione, né umana né animale, per la presenza di muffe contenenti micotossine (fumonisine e aflatossine), notoriamente cancerogene, che si sviluppano nelle gallerie provocate nella spiga dagli insetti allo stadio larvale.
OGM nei paesi extra-UE
I paesi extra-europei meno soggetti a fenomeni ideologici, approfittando della scadenza di alcuni brevetti e visti gli ottimi risultati degli OGM in coltivazione, favoriti anche dalla deregulation applicata dai loro governi, continuano a modificare con le classiche tecnologie OGM sia varietà della stessa specie già in commercio sia varietà di altre specie. In USA le nuove piante OGM, prodotte con la stessa collaudata tecnologia usata per quelle già in commercio, sono considerate GRAS (Generally Recognized As Safe), cioè sicure, quindi sono autorizzate al commercio con una semplice comunicazione; ben presto anche questi loro nuovi prodotti potrebbero arrivare sul mercato europeo e con regolare autorizzazione della UE.
Attualmente in Italia molte piante modificate con entrambe le tecnologie e per giunta libere da qualsiasi brevetto giacciono in serre o in frigoriferi, in attesa di essere sperimentate in campo. L’elenco include olivo, vite, susino, fragola, actinidia, pero, piccoli fruttiferi, pomodoro e frumento, modificate per migliorarne la resistenza a malattie (funghi, batteri, virus), siccità, freddo, per il processo di maturazione del frutto, per l’auto-fertilità, per la produzione dell’amido adatto per un migliore processo di panificazione o di pastificazione, oltre a insetticidi capaci di colpire lo specifico patogeno o parassita lasciando indenni quelli utili. Gravi malattie (Xylella, Sharka, Erwinia) provocate alle nostre coltivazioni frutticole potrebbero essere controllate con queste nuove tecnologie non invasive.
Quale futuro per le piante NGT in Europa?
La regolamentazione UE sulle nuove tecniche genomiche non è definitiva. Né l’approvazione finale della proposta della Commissione, con le modifiche apportate dai parlamentari, è data per scontata, considerato l’esiguo numero di voti che separa i favorevoli dagli oppositori e gli sforzi da parte delle lobby degli ambientalisti e del biologico. La proposta della Commissione Agricoltura consiste nel suddividere le NGT in due categorie, con due percorsi distinti. Delle NGT1 farebbero parte le piante in cui contengono meno di 20 modifiche (inserimento o sostituzione non più di 20 nucleotidi, un numero molto basso), e piante cis-geniche e intra-geniche, cioè piante che hanno rispettivamente ricevuto materiale genetico proveniente dalla stessa pianta o da piante sessualmente compatibili. Secondo la Commissione e i ricercatori, questa tipologia di piante potrebbe trovarsi in natura o tra il materiale selezionato dall’essere umano, per cui verrebbero trattate come piante convenzionali e pertanto sarebbero esentate dalla regolamentazione sugli OGM.
Le piante NGT2, con più di 20 mutazioni o che contengono materiale genetico proveniente da specie non compatibili sessualmente, dovrebbero invece essere considerate ancora come OGM. Sarebbero soggette quindi alla valutazione del rischio, ma con procedure semplificate, perché è dato per scontato che dovrebbero contribuire a un sistema agroalimentare più sostenibile, in particolare quelle tolleranti a siccità e ai microrganismi e l’immissione sul mercato dovrà essere preceduta da autorizzazioni. Per entrambe le categorie, i deputati hanno preteso per il momento il divieto assoluto di brevettazione. Probabilmente ci saranno ancora altri nodi da sciogliere, per esempio per le piante con mutazioni off-target, cioè involontarie, o scaturite durante il processo di rigenerazione da cellula a pianta. Si dovrebbe anche chiarire se le piante NGT1 potranno subire ulteriori modifiche in futuro, qualora si ritenessero necessarie.
Mentre nell’UE si sta ancora discutendo sul futuro delle NGT, in molti paesi nel mondo sono già da tempo assimilate alle piante ottenute con i metodi tradizionali di miglioramento genetico. Questa scelta evita tra l’altro la complessa valutazione del rischio che, essendo analogo a quello praticato per i farmaci, comporta costi esorbitanti, sostenibili solo dalle multinazionali e con l’esclusione di fatto dal mercato delle istituzioni pubbliche e delle piccole imprese.
Dall’ideologia alla scienza
È un rallentamento frutto di ideologie e paure, alimentate prevalentemente da una comunicazione carente, non corretta, spesso di parte e priva di confronto aperto tra le parti interessate. Le numerose ricerche scientifiche e le meta-analisi dimostrano che le piante autorizzate alla coltivazione dalle varie agenzie di controllo (FDA, EFSA, EEA e altre) hanno apportato in tutto il mondo solo benefici per gli umani e per l’ambiente, ma non sono valse a mitigare certi convincimenti.
Questa diffidenza spiegherebbe il motivo per cui in Italia il legittimo principio di precauzione sia ancora rigidamente applicato e prolungato oltre ogni accettabile ragionevolezza, vietando perfino la sperimentazione di campo, con danni enormi alla collettività. Se esercitata dai ricercatori del settore pubblico, la sperimentazione di campo è essenziale non solo per valutare le performance delle piante e saggiare la sicurezza ambientale, ma anche per mitigare le incertezze di molti cittadini, un elemento necessario per tranquillizzare i decisori politici. È attraverso la dimostrazione diretta da parte di esperti che i cittadini possono rendersi meglio conto dei reali benefici, vantaggi, eventuali rischi e soluzioni utili messe in atto per rendere più sicure le filiere agricole (incluse quelle del biologico), oltre a essere rassicurati sul fatto che la ricerca pubblica esercita un certo controllo su quella privata.
NTG e OMG per un’agricoltura più sostenibile
Entrambe le tecnologie (NTG e OGM) debbono essere salvaguardate e incentivate con differente regolamentazione, perché complementari ed entrambe indispensabili per ampliare in tempi relativamente brevi la variabilità genetica mirata. Con le NGT si può intervenire modificando i geni presenti nella pianta, mentre con le altre si possono aggiungere anche geni non presenti nel genoma e potenziare quelli presenti, per usarle anche come biofabbrica di prodotti farmaceutici o per l’industria alimentare.
Abbandonare i tradizionali OGM sarebbe un errore insensato: una tecnologia collaudata non si abbandona, semmai si perfeziona, perché l’efficacia di un intervento migliorativo su una pianta dipende da tanti fattori e la scelta della tecnica più idonea da usare va lasciata alla scienza, previa valutazione dei pro e i contro ed entro regole etiche e in base alla rapidità di intervento richiesto.
Oggi dobbiamo affrontare con urgenza, oltre la resistenza a siccità e salinizzazione, la lotta ai patogeni e ai parassiti. Questi si spostano rapidamente da un angolo remoto all’altro del nostro pianeta, non seguiti dai loro nemici naturali; non possiamo fare affidamento né sulla reperibilità di fitofarmaci efficienti e non inquinanti, né sul miglioramento genetico tradizionale, in particolare per piante da frutto e forestali, che richiede tempi molto lunghi. Servono quindi interventi rapidi e con tecniche biotecnologiche appropriate, in particolare con la tecnica dell’ RNAi, che sono per ora strumenti aggiuntivi per far fronte alle impellenti richieste da parte degli agricoltori per migliorare le filiere produttive, incluse quelle del biologico, realizzando un’agricoltura di precisione e salvando rapidamente dall’estinzione le varietà che fanno parte delle nostre tipicità locali, per le quali la ricerca privata non mostra alcun interesse a causa degli scarsi ritorni economici.
Un fallimento di successo
Per quanto riguarda le preoccupazioni avanzate da no-OGM relative all’insorgenza di allergie (teoricamente possibile con qualsiasi altro tipo di miglioramento genetico) o eventuali altre minori imperfezioni non desiderate, con la valutazione del rischio le piante sospette verrebbero subito eliminate. Semmai il rischio potrebbe esserci per le piante ottenute con i metodi tradizionali di miglioramento genetico (incrocio, selezione clonale, massale etc.), soprattutto quando si ricorre a incroci con piante selvatiche nel tentativo di trasferire geni di resistenza, peraltro più volte verificatosi in passato, perché per le piante così prodotte non c’è alcun obbligo di valutare il rischio.
Anche il rischio di diffondere il transgene con il polline alle piante selvatiche o ad altre colture agrarie compatibili sessualmente non esiste o è superabile. Non esiste per specie edibili importate nei decenni o secoli da altri continenti, perché le specie selvatiche sono assenti; non esiste per le specie dioiche (cioè che portano organi sessuali solo maschili o solo femminili), non esiste per le specie che non producono polline o che lo producono sterile e infine non esiste per i portinnesti.
Per specie compatibili, la coesistenza viene assicurata dalle distanze di sicurezza tra le diverse colture (nel caso di lotta agli insetti, le colture tradizionali contigue traggono vantaggio dai vicini OGM), dallo sfasamento dell’epoca di fioritura o dalla trasformazione genetica degli organelli cellulari che non sono trasmessi dal polline.
I detrattori degli OGM vogliono far credere che la tecnologia sia stata un fallimento in agricoltura, solo perché il numero delle piante OGM in commercio è limitato; semmai la vera motivazione va ricercata nell’attivismo anti-OGM, che ha bloccato la ricerca pubblica favorendo le multinazionali, che a loro volta hanno investito - e continuano a farlo - su specie di più ampio valore commerciale e di profitto a livello globale, e nelle leggi restrittive che regolano l’autorizzazione al commercio, applicate anche quando razionalmente non sarebbe necessario. Per convincersi del contrario è sufficiente dare uno sguardo alla letteratura scientifica, dalla quale balza subito all’occhio il salvataggio dall’estinzione, nelle Hawaii, della papaia attaccata da virus con la sostituzione di una varietà transgenica resistente al patogeno, e i risultati della complessa meta-analisi del 2022, con centinaia di lavori referenziati sulle 4-5 specie OGM più coltivate al mondo. Si potrebbe affermare che è stato un “fallimento di successo”!
Della meta-analisi, che evidenzia i principali benefici per economia, salute e ambiente apportati da mais, soia, cotone, canola e barbabietola da zucchero OGM tra il 1996 e il 2020, riportiamo una sintesi in forma schematica.
- Aumento progressivo delle superficie coltivate a OGM: sono aumentate costantemente dal 1996 al 2020 e hanno raggiunto 186 milioni di ettari, di cui il 36% in USA, 30% Brasile, 12% Argentina, 7% India, 6% Canada, e il resto diviso tra Cina, Africa e il resto del mondo.
- Aumento reddito degli agricoltori: +261,3 miliardi di dollari: un guadagno netto di 3,75 dollari per ogni dollaro speso in semi OGM.
- Maggiore sicurezza alimentare: l’uso di erbicidi e insetticidi si è ridotto del 17% grazie all’impiego di OGM (per minore quantità di tossine e minori residui fitofarmaci nei prodotti).
- Riduzione della povertà per 65 milioni di persone: per 1 $ investito in semi OGM ha reso 3,75 $, fino a 4,42 $ in paesi in via di sviluppo (soprattutto per OGM resistenti a insetti).
- Migliore sostenibilità ambientale: per riduzione di consumo di carburante si è ridotto di 39.947 milioni di litri, riducendo l’emissione di CO2 (l’equivalente 25,9 milioni di macchine tolte dalla strada per un anno).
- Riduzione emissione di CO2 di 27,1 miliardi di Kg: pari 16,7 milioni di auto tolte dalle strade per un anno (per risparmio gasolio per la distribuzione di pesticidi e aratura del terreno (no-tillage).
- Maggior sequestro CO2 nel suolo: solo nel 2020 grazie agli OGM il sequestro di CO2 nel suolo è aumentato di 5.750 milioni di kg.
- Aumento della produzione di cotone, mais, soia, canola e barbabietola da zucchero: dal 1996 è stato di 979,49 milioni di tonnellate: se si volesse tenere tale livello produttivo con le piante tradizionali bisognerebbe occupare 23,4 milioni di ettari in più della già limitata superficie disponibile con conseguenze sulla conservazione della biodiversità.