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Vivere con le iene: un viaggio ad Harar

Le iene sono spesso considerate feroci e sleali, ma non nell'antica città di Harar, in Etiopia orientale. Qui girano indisturbate tra i vicoli di notte e gli abitanti offrono loro cibo, rendendole attrazioni turistiche. In La vita segreta delle iene, edito da Adelphi, l'antropologo Marcus Baynes-Rock racconta questa particolare relazione e i suoi incontri con le iene, offrendo una prospettiva del rapporto umani-selvatico che apre molti interrogativi. Ne parliamo con l’autore.

In copertina: Un uomo delle iene ad Harar. Crediti foto: Karoline.Piegdon/Wikimedia Commons Licenza: CC BY-SA 4.0 

Tempo di lettura: 9 mins

Malgrado il suo titolo italiano, La vita segreta delle iene non è un trattato sul comportamento delle iene, ma un libro complesso che mescola etnografia, etologia e diario di campo. L’autore, Marcus Baynes-Rock, antropologo australiano, racconta in queste pagine l’esperienza vissuta quando si è trasferito ad Harar, antica città dell’Etiopia orientale, per raccogliere i dati per il suo dottorato. La narrazione è a volte simile a un romanzo di formazione: con uno sguardo curioso, avventuroso, a volte dubbioso e altre volte entusiasta, l’autore accompagna il lettore nelle diverse fasi della sua ricerca di campo, portandolo tra i vicoli della città vecchia, Jugol, crocevia di popoli, culture e religioni.

Inizialmente interessato a una ricerca etnografica per comprendere gli adattamenti contro i predatori, Baynes-Rock è arrivato nel Corno d’Africa dopo aver letto il saggio dedicato alle iene del celebre etologo olandese Hans Kruuk, pubblicato nel 1972, e in particolare un passaggio in cui il biologo descrive la mansuetudine delle iene di Harar, caso unico in cui gli abitanti non guardano con terrore e spregio questi grandi carnivori ma ne tollerano la presenza per le strade e in alcuni casi le nutrono. Così, incoraggiato dal suo supervisore e armato di voglia di conoscenza, il giovane ricercatore si trasferisce per un anno ad Harar. All'inizio non conosce nessuno e non parla la lingua locale: la sua ricerca è un foglio bianco e la sua testa un insieme di domande cui è complesso dare risposte, perché non ci sono molte fonti da cui partire. A rendere le cose più complicate è la decisione di non fare una classica ricerca etnografica basata sulla descrizione di usi e costumi umani, ma di includere come soggetti della sua ricerca gli animali stessi.

I grandi carnivori incutono un misto di attrazione e repulsione: sono animali che portano cuciti addosso simbolismi e stereotipi. Le iene sono sicuramente tra i meno fortunati, perché per esse predomina una visione prettamente negativa: anche nella lingua italiana sono sinonimo di slealtà, crudeltà e ferocia. Come racconta Baynes-Rock, questi pregiudizi affondano le radici nel nostro remoto passato, quando gli ominidi competevano con questi animali per l’accesso alle carcasse degli ungulati, resti delle prede di grandi carnivori come le tigri dai denti a sciabola. A questa ancestrale relazione competitiva si sommano l’aspetto sgraziato, il verso che ricorda una sinistra risata, le abitudini notturne, le potentissime mascelle e i grandi denti in grado di ridurre in frantumi anche ossa di grandi dimensioni, e le abitudini necrofaghe, che in alcuni casi le portano a disseppellire cadaveri. Infine la loro peculiare sessualità, con i genitali femminili esterni identici nell’aspetto a quelli maschili, definiti appunto pseudopeni. Esistono diverse specie di iena: la più abbondante in Africa, cui appartengono quelle di Harar, è la maculata. Contrariamente a quanto si crede, le iene non vivono cercando di sottrarre prede di altri ma sono ottime predatrici. Formano società matrilineari complesse, i clan, che possono contare centinaia di individui. Nel clan si distinguono gerarchie ben definite: le figlie ereditano il rango della madre, fino a quando essa non viene “destituita”. I maschi, più piccoli, sono al livello più basso e lasciano il gruppo in cui sono nati per unirsi ad altri intorno ai tre-quattro anni di età.

Ad Harar, Baynes Rock individua due distinti clan, che si trovano ai due estremi della città vecchia: il clan Sofi e il clan Aboker. Ognuno di questi fa riferimento a un “uomo delle iene”, rispettivamente Yusuf e Malugayta, che durante la notte le alimentano porgendo loro pezzi di carne serviti su un bastoncino, spesso tenuto in bocca, attorniati da un pubblico che osserva le potenti mandibole delle iene afferrare il boccone a pochi centimetri dalla testa o la mano di chi le alimenta, diviso tra la meraviglia e il terrore. Nel libro seguiamo le sorti del clan Sofi, insieme all’autore che ogni sera osserva iene e persone seduto sulle scale accanto a Yusuf. Nel suo anno ad Harar, Baynes-Rock stringe una relazione speciale con alcune giovani iene del clan Sofi: Baby, Kamareya, Willi, con le quali familiarizza al punto di seguirle nei loro spostamenti notturni fino alle tane, giocare con loro e provare a instaurare un contatto fisico.

Il rapporto tra Baynes-Rock e le iene, la descrizione documentaristica e precisa delle serate di alimentazione, gli spostamenti di questi animali tra i vicoli bui della città sono il punto di forza del libro, anche se a volte disturbante perché è quanto di più lontano dalla nostra concezione di coesistenza col selvatico e conservazione delle specie. Cibare un selvatico è rubargli un po’ della sua selvaticità, è creare un rapporto ravvicinato forzato e di dipendenza. Nel caso dei carnivori, significa anche creare situazioni potenzialmente pericolose. Eppure Baynes-Rock fa riflettere sul fatto che esistano prospettive e contesti completamente differenti e su come ogni situazione vada approfondita e studiata nella sua complessità. E proprio mentre si percepisce nella lettura un senso di disagio per la descrizione di questi animali urbani snaturati dalla vita selvaggia e legati all’elemosina di un pasto sicuro, l’autore rimette ulteriormente tutto in discussione portando i lettori nel Masai Mara, paesaggio naturale per eccellenza nel nostro immaginario, dove però i turisti, a centinaia, vanno su fuoristrada a osservare e fotografare la fauna, sostando a pochi metri da un predatore che consuma la sua preda. Segue le iene marcate con i ricercatori, vedendo che anche nel bel mezzo della natura le discariche offrono un pasto sicuro, o le osserva predare bestiame e magari cadere vittima del veleno con cui vengono ricoperte le carcasse per disfarsi dei predatori. E conclude che «La biologia non riguarderà mai organismi in ambienti naturali, ci saranno sempre esseri umani ai margini, con i loro animali domesticati e i loro veleni; esseri umani lì nel mezzo, sulle auto con le macchine fotografiche puntate, ed esseri umani che tracciano confini politici ed economici intorno ai poligoni verdi sulle mappe».

Un punto di vista diverso, a volte scomodo, distante dalla nostra cultura, che ci fa interrogare ancora una volta sul nostro rapporto col mondo selvatico. Abbiamo approfondito questi temi con l'autore.

La vita tra i mangiatori di ossa: intervista a Marcus Baynes-Rock

I conflitti tra umani e iene sono presenti in molti luoghi, soprattutto a causa della predazione sul bestiame e/o di attacchi alle persone. Questo però non è vero per Harar: cosa la rende così particolare?

Non c'è bisogno che dica che le iene non sono popolari. Anche al di fuori dell'Africa le persone le detestano. In tutta l'Etiopia si riscontrano gli stessi atteggiamenti negativi, ma per varie ragioni sociali, culturali, politiche e pratiche le iene sono ampiamente tollerate. Per questo motivo la popolazione di iene in Etiopia è così numerosa ed è comune vederle di notte nelle città etiopi, compresa Addis Abeba. Ad Harar esiste un certo livello di denigrazione nei confronti delle iene. Se qualcuno è inaffidabile o ruba, lo si può chiamare “iena”. Nei racconti folcloristici di Harar, il personaggio della iena è solitamente rappresentato come pericoloso, avido, stupido. Ma queste caratterizzazioni negative sono affiancate da atteggiamenti positivi. La gente vede le iene come un beneficio in quanto puliscono la città, attirano il turismo, scacciano gli spiriti invisibili, trasmettono i messaggi dei sufi defunti che vegliano sulla città e tengono lontane le iene pericolose. Gli abitanti di Harar fanno una distinzione tra le iene della loro città e le iene di montagna. Mentre le iene di Harar sono ritenute benefiche, le iene di montagna che occupano le colline circostanti sono considerate pericolose. Spetta alle iene di Harar proteggere i cittadini dalle iene di montagna.

Quali sono i fattori che contribuiscono alla tolleranza degli abitanti di Harar nei confronti delle iene? Crede che la religione o la tradizione giochino un ruolo importante?

Credo che il sistema di credenze pre-islamico e animista della regione abbia avuto un'influenza importante. E l'introduzione dell'Islam si è inserita in modi che hanno permesso di integrare e adattare le credenze animiste. Un elemento importante a questo proposito è il concetto islamico di jinn. Si tratta di spiriti invisibili potenzialmente dannosi che si ritiene possano possedere le persone. Le iene di Harar e di altre parti della regione fino alla Somalia sono ritenute un beneficio per le persone perché cacciano e mangiano i jinn. Le iene vengono persino utilizzate per curare le persone dalla possessione dei jinn; ho assistito a due occasioni in cui persone che si riteneva fossero possedute sono state esposte alle iene come cura. In pratica si tratta di un esorcismo, ma invece di preghiere e acqua santa si usa una iena.

Utilizzare la fauna come attrazione turistica alimentandola è una questione alquanto controversa per la conservazione e rischia di rendere gli animali oggetto di commercializzazione. Non mi è chiaro se l'abitudine di dare da mangiare alle iene sia nata perché i turisti lo richiedevano o se fosse qualcosa di già radicato nella tradizione del popolo harar. E se il vero motivo per cui la gente tollera le iene è che portano soldi ai turisti.

Il turismo è una delle ragioni per cui le persone e soprattutto il governo di Harar hanno un atteggiamento positivo nei confronti delle iene, ma ci sono molti altri vantaggi che le persone percepiscono. È impossibile stabilire come sia nata l'alimentazione delle iene orientata al turismo. Le guide turistiche ti diranno che si tratta di una pratica antica, ma non ho un'opinione precisa al riguardo. Non penso che sia nata come risposta al turismo perché Harar è stata una destinazione fuori mano fin da quando è stata colonizzata dall'impero cristiano. Per quanto riguarda l'effetto sul comportamento delle iene, gli harar pensano che nutrirle sia necessario per evitare che attacchino le persone. Le iene non mi hanno mai attaccato, nemmeno nel cuore della notte nei vicoli, quindi forse c'è qualcosa di vero in questo. O forse pensavano che non ci fosse abbastanza carne su di me per cui valesse la pena farlo.

Cosa succede se una iena uccide o fa del male alle persone ad Harar?

È estremamente raro che una iena uccida o attacchi qualcuno ad Harar. So solo di un bambino sottratto a una senzatetto che dormiva per strada. Quando la notizia si è diffusa, la gente del posto mi ha detto che non poteva essere stata una iena di Harar, ma una iena di montagna. In un altro caso, in una città vicina, c'è stata una serie di attacchi da parte delle iene e un bambino è stato ucciso. Le autorità locali volevano intervenire senza però uccidere le iene. Hanno quindi rimosso la vegetazione in cui le iene si nascondevano. Il problema è stato risolto e gli attacchi sono cessati. Nella città di Koromi, un abitante del luogo mi ha detto che se una iena attacca una persona deve essere perché le persone non lasciano abbastanza cibo per le iene. Queste persone hanno adottato un approccio al conflitto tra umani e fauna basato sul tentativo di capire meglio le iene.

Da un punto di vista antropologico, perché pensa che agli esseri umani piaccia così tanto nutrire gli animali selvatici?

Credo che gli esseri umani siano l'unica specie a dare da mangiare ad altri animali senza alcun beneficio apparente. Strano. Sono d'accordo con lo scrittore Paul Shepard che parla di «inquietante somiglianza degli animali con noi, ma con una differenza». È come se fossimo attratti dagli animali perché c'è qualcosa di noi che vediamo in loro e vogliamo capire, per accedere a quell'aspetto di noi stessi. L'ironia è che abbiamo creato una tale separazione tra noi e gli altri animali che, per quanti documentari sulla fauna selvatica guardiamo, per quante ore passiamo a osservarla dai nostri binocoli, per quanti sacchetti di noccioline offriamo, non riusciamo mai a ottenere da loro ciò che cerchiamo.

 

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