Publichiamo la contro-risposta dell'epidemiologo Eugenio Paci all'articolo Vaccini anti-COVID-19 e mortalità: ben venga un confronto scientifico serio.
Ringrazio Alessandria e colleghi per i loro commenti. Ovviamente, Scienza in rete non è una rivista di epidemiologia; la sintesi editoriale voleva evidenziare la difficoltà incontrata nel seguire la storia di questo dataset e naturalmente ben vengano integrazioni e arricchimento di informazioni. Francamente però trovo che la lamentela ormai abituale sulla mancanza di spazio nei media sia ripetitiva e piuttosto noiosa. In Italia esiste una strutturale mancanza di dibattito scientifico che rimane confinato alle riviste in inglese e al quale tuttavia partecipano molti ricercatori italiani. In queste condizioni, un lavoro che si accredita scientificamente e presenta interpretazioni con posizioni che sostengono politiche critiche della politica vaccinale trova facilmente un ampio spazio mediatico a livello nazionale. Per questo ho sottolineato come vi fosse una contraddizione tra i limiti del lavoro che sono formalmente riconosciuti nell’abstract del testo e la conclusione perentoria degli autori che chiedevano un cambiamento della politica vaccinale.
L’approccio che è tipico della riflessione scientifica contrasta con quello che viene proposto nel commento che costruisce il confronto basandosi sul presupposto che si deve dimostrare che il mio studio è migliore del tuo. Mi sembra indicativa di questo atteggiamento la valutazione che gli autori fanno dell’articolo di Hulmes et al. in cui Alessandria e colleghi si avventurano in una comparazione tecnica tra i loro dati e quelli dello studio inglese. La citazione di quell’articolo, sin dal titolo prevalentemente metodologico, era, da parte mia, un richiamo alla complessità dei metodi di cui oggi chi affronta un tema come questo deve tenere conto, non ricorrendo a generiche formule che rimandano a questo o quel bias o errore. Le affermazioni sulla propria superiorità di metodo e correttezza di analisi, a mio avviso, non portano lontano se confrontate con le tante pubblicazioni sul tema disponibili in tutto il mondo e non ci si può stupire all’affermazione che esse, in larga parte, vanno in diversa direzione da quella sostenuta dagli autori. Arrivare a gridare vittoria diviene di fatto il pretesto per agire a fini mediatici più che essere utile a fini scientifici.
Simili considerazioni si possono fare su un tema molto difficile. L’esito (endpoint) “cause di morte Covid19-correlate” verso la “mortalità per tutte le cause”, entrambi in uso e spesso comparati, come in Hulmes et al, anche con altre misure, per esempio le ospedalizzazioni. La questione della qualità della classificazione è oggetto di controversie e valutazioni solo che si pensi alle polemiche sui decessi per e con Covid-19, che sono stati discussi animatamente anche in Italia. Come è sottolineato in molti lavori, l’associazione tra decessi Covid-19 e fasce di età molto anziane rende molto complesse le analisi con aggiustamento statistico per comorbidità (vedi Fedeli U et al. in relazione alla COPD, affezione polmonare cronica, in Veneto, Vaccines 2023, 11, 1392). Inoltre, sono in corso di pubblicazione studi di coorte in vari paesi su soggetti affetti da specifiche condizioni croniche che considerano anche lo stato vaccinale e rispondono a diversi quesiti sugli effetti a breve e a lungo termine.
Oggi affrontare questi temi nella loro complessità richiede che i ricercatori, che in Italia ci sono e sono fortemente impegnati a livello internazionale, comunichino il loro lavoro e si confrontino costruttivamente. Non è la serietà che manca, vi è invece la mancanza di luoghi adeguati e di strutture comunicative di qualità che permettano di far conoscere questi contributi e li discutano. Questo è necessario per incidere nella propria realtà (anche linguistica) in modo trasparente e pubblico, cioè rendendo questa conoscenza disponibile ai tanti che vogliono essere informati. Riconosco il mio lapsus relativamente alla classificazione delle comorbidità (basate nel lavoro sulle SDO degli ultimi dieci anni). Vi sono tuttavia diverse considerazioni da fare sul sistema informativo italiano che si è confermato debole e con gravi limiti nella produzione del dato di mortalità totale e per causa e nella sua elaborazione descrittiva. In corso di pandemia vi sono stati miglioramenti da parte di ISTAT e altre agenzie come Agenas, ma l’esperienza di ONS-UK e in altri paesi Europei dimostra che è possibile e auspicabile uno sviluppo che speriamo si realizzi con il PNRR ma di cui per il momento non vi sono molti segnali.
PS Titolo e introduzione, come è noto, sono redazionali non dell’autore.