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Ricostruire le storie umane attraverso gli isotopi stabili: le mummie dei bambini sacrificati nei rituali inca

una mummia di Llullaillaco

L'analisi degli isotopi stabili offre uno strumento prezioso per ricostruire aspetti dell'alimentazione, delle migrazioni e delle condizioni climatiche delle antiche società, integrando i dati biologici con quelli archeologici e storici. Un esempio significativo è lo studio sulle mummie di bambini Inca sacrificati nel rito Capacocha, che ha rivelato informazioni dettagliate sul loro status sociale, le abitudini alimentari e l'ultimo viaggio prima del sacrificio, evidenziando l'accurata organizzazione imperiale e le credenze religiose.

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La storia dell’umanità è un susseguirsi di adattamenti e di mutue interazioni tra umano e ambiente, che è possibile rintracciare attraverso lo studio dei resti biologici e della cultura materiale, delle fonti scritte e iconografiche. In particolare, i resti umani e animali provenienti dai contesti archeologici costituiscono un archivio biologico di informazioni che rappresentano una fonte essenziale per ricostruire le dinamiche preistoriche e storiche. Negli ultimi decenni, le prospettive di studio su questi reperti si sono notevolmente ampliate e ci permettono di ricostruire l’alimentazione, gli spostamenti e le oscillazioni climatiche grazie a particolari analisi chimiche.

L’alimentazione e il luogo in cui viviamo sono elementi fortemente identitari da un punto di vista biologico e culturale, in grado di raccontare esperienze individuali e fenomeni collettivi partendo dalla persona che li ha vissuti per arrivare alla società che li ha prodotti.

«L’uomo è ciò che mangia»: questa celebre affermazione del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach può essere perfettamente applicata anche in bioarcheologia, perché ciò che mangiamo lascia un segnale chimico nel nostro corpo, consentendoci di risalire all’alimentazione nelle diverse fasi della vita. I grandi protagonisti di questa metodologia adottata sui resti umani e animali antichi sono gli isotopi stabili.

Storia delle scoperte

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si è scoperto che gli elementi in natura possono esistere in forme diverse, soprattutto grazie agli studi pionieristici sugli isotopi radioattivi condotti da Henri Becquerel. Nel 1913 il chimico britannico Frederick Sobby coniò il termine isotopo, dal greco ἴσος (ísos), che significa "uguale" e τόπος (tópos), che significa "luogo". Sobby faceva riferimento alla caratteristica degli isotopi di occupare lo “stesso luogo” nella tavola periodica, per cui hanno le stesse proprietà chimiche, ma differiscono per la composizione nucleare (cioè nel numero di neutroni). Pochi anni dopo si accertò dal punto di vista chimico-fisico anche la presenza degli isotopi stabili che, a differenza di quelli instabili (o radioattivi), non decadono. Ciò fu possibile grazie alla scoperta, nel 1918, dello spettrometro di massa, uno strumento in grado di misurare con grande precisione le masse degli isotopi. Fu un’invenzione rivoluzionaria che valse al fisico e chimico britannico Francis William Aston il Premio Nobel per la Chimica nel 1922.

Cesare Emiliani, invece, fu il pioniere degli studi paleoclimatici attraverso gli isotopi e nel 1955, analizzando gli isotopi dell’ossigeno, scoprì che le glaciazioni erano un fenomeno ciclico che si alternava a periodi interglaciali.

A partire dagli anni Settanta le analisi isotopiche del carbonio e dell’azoto furono utilizzate per indagare le abitudini alimentari, le economie locali, le interazioni tra umano e ambiente. Più tardi questa metodologia fu ampliata anche agli isotopi stabili dell'ossigeno e dello stronzio per gli studi sulla geolocalizzazione per via della loro capacità di riflettere alcune caratteristiche ambientali e geologiche che variano da zona a zona.

Le mummie dei bambini sacrificati nei rituali Inca

In uno studio pubblicato nel 2007, Andrew Wilson e colleghi hanno utilizzato un approccio combinato di diversi isotopi (carbonio, azoto, ossigeno, idrogeno, zolfo) prelevati da quattro mummie di bambini Inca sacrificati nel rito Capacocha. L'obiettivo è stato quello di ricostruire la preparazione e il loro ultimo viaggio prima del sacrificio, culminato su due delle vette più alte delle Ande centromeridionali: una mummia è stata ritrovata in Argentina, a 25 metri dalla cima del vulcano Llullaillaco (6.739 metri), attualmente il sito archeologico a più alta quota al mondo, mentre le altre tre mummie provengono dalla cima del vulcano Sara Sara (5.500 metri), in Perù. Si tratta di due ragazzine di 15 anni, un bambino di 7 anni e una bambina di 6 anni, i cui corpi si sono conservati nel tempo per via delle basse temperature. Nei luoghi del sacrificio erano stati allestiti dei santuari, parte di una rete di luoghi sacri che gli Inca associavano a divinità (come il dio del tempo atmosferico, Illapa) e guardavano con timore reverenziale soprattutto se si trattava di vulcani attivi o se si verificavano frequentemente fenomeni atmosferici particolari quali i fulmini, come dimostra il corpo della bambina di sei anni, che era stato colpito proprio da un fulmine.

La datazione ottenuta con il radiocarbonio su uno degli individui indica che la morte è avvenuta in un periodo compreso tra il 1430 e il 1520, durante il periodo di massima espansione dell’impero Inca. I sacrifici avevano lo scopo di ingraziarsi le divinità e giustificare l’espansionismo imperiale e rappresentavano senz’altro un momento cruciale nella società, considerato che la realizzazione di santuari ad alta quota doveva richiedere un notevole sforzo logistico supportato dal potere centrale.

Per completare il quadro delineato dagli studi storici e archeologici, sono stati analizzati gli isotopi stabili presenti nei capelli ancora attaccati al cuoio capelluto dei bambini e in quelli ritrovati nelle borsette, tagliati alcuni mesi prima ed elaboratamente intrecciati. Il taglio dei capelli rappresentava un momento di rottura, era parte di un complesso rituale pianificato molto tempo prima e che prevedeva per i bambini prescelti un percorso di innalzamento di status. I valori degli isotopi indicano una provenienza di tutti e quattro gli individui da zone dell’altopiano, dove risiedevano comunità di bassa estrazione sociale. I valori di azoto in una bambina segnalano un aumento significativo di proteine animali nell’ultimo anno, confermando il cambio di status non solo a livello simbolico ma anche nell’alimentazione che prevedeva un maggiore consumo di carne.

Il viaggio aveva preso avvio probabilmente dalla capitale Inca, Cuzco, che distava circa 1.420 chilometri da Llullaillaco e circa 300 chilometri da Sara Sara. Considerando i tempi dettati dal pellegrinaggio, è stato calcolato un tempo di percorrenza minimo rispettivamente di circa due mesi e mezzo e di poco più di due settimane. Nell’arco di tempo del viaggio i valori isotopici del carbonio suggeriscono un aumento del consumo di mais, all’epoca il cibo dell’élite, che si presume venisse offerto nelle stazioni di posta lungo il tragitto.

La causa di morte non è stata, però, ancora chiarita: una bambina presenta un trauma cranico dovuto a un colpo alla testa, per gli altri si possono avanzare delle ipotesi basate sulle testimonianze storiche che narrano di persone sacrificate per strangolamento o soffocamento con foglie di coca. Queste ultime, in effetti, sono state ritrovate nella guancia destra di una bambina, ma il loro utilizzo poteva anche servire solo per intorpidire i sensi. Altre droghe sono state rilevate nel bambino di 7 anni che risultava avvolto da un tessuto in una stretta tale da causargli il dislocamento del bacino e lo schiacciamento delle costole. Sono state anche ritrovate tracce di vomito e diarrea sui suoi vestiti, indicativi di uno stato di terrore che doveva averlo accompagnato prima della morte.

Grazie all’utilizzo combinato degli isotopi è stato possibile ricostruire l’ultimo viaggio di questi bambini fino al compimento del rituale Capacocha, arricchendo il quadro socio-culturale gravitante attorno a questi sacrifici in cui la scelta di individui di bassa estrazione sociale permetteva di risparmiare la prole dell’élite attraverso una fase di innalzamento di status che, nella società Inca, era fortemente correlata al consumo di determinate risorse alimentari, quali la carne e il mais. La complessità di questo rituale culminante in sacrifici messi in atto sulle più alte vette delle Ande richiedeva un grande sforzo organizzativo che l’impero aveva finemente strutturato per legare la propria egemonia al solido sistema di credenze religiose riconosciute dal popolo.

Dall’analisi degli isotopi otteniamo un incredibile squarcio sul mondo antico che altrimenti sarebbe inaccessibile, permettendoci di integrare i dati storici e archeologici per indagare le dinamiche legate all’alimentazione e agli spostamenti geografici risalendo, come in questo caso, anche allo status sociale e tracciando i legami tra i fattori biologici e ambientali che caratterizzavano le società del passato.

 


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