Sovraffollamento, carenze di organico, personale oppresso dal lavoro che scappa dalla medicina di emergenza. Intervista a Daniele Coen, medico di Pronto Soccorso per quarant’anni, che nel suo ultimo saggio Corsia d’emergenza racconta e aiuta a capire i problemi connessi alla gestione di queste cruciali strutture sanitarie, strette tra i tagli ai posti letto ospedalieri e le carenze della medicina territoriale. Eppure capaci di ottenere risultati impensabili anche solo pochi anni fa. E offre qualche proposta (e sogno) su come si può migliorare la situazione.
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Se c’è una struttura sanitaria per eccellenza che il cittadino vede soprattutto dall’esterno, da tutti i punti di vista, questa è il Pronto Soccorso: con regole di accesso severe e a volte imperscrutabili; che si frequenta (o piuttosto si spera di non frequentare) solo in caso di emergenza, desiderando uscirne al più presto; per non parlare di quando si è costretti ad aspettare fuori i propri cari, anche per lunghe ore o giorni, scrutando l’interno attraverso gli oblò di porte automatiche (se gli oblò ci sono), tentando (spesso invano) di intercettare qualche figura di sanitario che passa frettoloso.
L’interesse dell’ultimo saggio di Daniele Coen, medico e scrittore, autore di diversi libri su temi inerenti alla medicina e alla salute e per quarant’anni medico di Pronto Soccorso, è proprio questo: che lo sguardo questa volta arriva dall’interno. Corsia d’emergenza – La mia vita di medico in Pronto Soccorso (Chiarelettere, 2024, 201 pp., 18,60 euro) è infatti un volume denso di riflessioni, ma anche il racconto vivace di un'esperienza, su questa struttura, considerata quella più in crisi della sanità italiana, spesso al centro dell’attenzione pubblica e raramente per buoni motivi. Un libro anche molto concreto, che offre tanti esempi, proposte e casi vissuti, perché strettamente basato sull’esperienza reale dell’autore, che tra le altre cose ha diretto per 15 anni il Pronto Soccorso dell’ospedale di Niguarda, a Milano, uno dei più grandi d’Italia.
Come spiega Coen: «La mia idea, nel concepire questo libro, è stata voler spiegare, a chi magari si chiede perché ha atteso cinque ore seduto in accettazione con una caviglia slogata, tutta la enorme complessità inerente al funzionamento di un Pronto Soccorso. Una complessità anche e soprattutto organizzativa, per una struttura sanitaria che oggi in Italia è in grave crisi, perché schiacciata tra due sistemi a loro volta in crisi: quello della medicina ospedaliera da una parte e quello della medicina territoriale dall’altra».
Da dove è nato l’affollamento dei Pronto Soccorso?
Per quanto possa parere strano, oggi, in cui l’immagine del Pronto Soccorso si lega inevitabilmente all’affollamento e a lunghi tempi d’attesa, Daniele Coen ci ricorda che non sempre la vita del medico di Pronto Soccorso è stata affannosa e stressante come lo è adesso.
Nel 1980, quando io cominciavo a lavorare… le attese di visita in Pronto Soccorso non erano mai troppo lunghe e c’era sempre un letto disponibile per chi doveva essere ricoverato. Nei primi dieci anni della mia vita professionale non ricordo di aver mai dovuto attendere per inviare un paziente in reparto, sia che avesse un problema medico o chirurgico, sia che richiedesse cure di bassa o di alta intensità. Dopo la mezzanotte i Pronto Soccorso erano vuoti ed era difficile che entro le sette di mattina si presentassero più di tre o quattro pazienti. […] Era normale che medici e infermieri facessero una spaghettata prima di andare a coricarsi, lasciando solo un infermiere di guardia per avvisare nel caso fosse arrivato qualcuno.
Nel capitolo Il sistema scricchiola la storia di Emma, giovane medica di Pronto Soccorso, personaggio immaginario ma ricalcato sulla realtà, mostra tutti i motivi per cui la situazione oggi è totalmente diversa, al punto che i medici abbandonano la medicina di emergenza e la relativa scuola di specializzazione resta semivuota (nell’ultimo anno le richieste hanno coperto solo il 25% dei posti): nei Pronto Soccorso l’organico quasi ovunque incompleto porta ormai a una pressione lavorativa insostenibile sui medici, con turni di servizio di 12 ore consecutive, notti in ospedale sempre più frequenti, week end lavorativi previsti più volte al mese, integrazione del personale mancante attraverso cooperative esterne che inviano medici inesperti e senza alcuna specializzazione. Nel caos che ne consegue, anche la probabilità di commettere errori aumenta, con possibili conseguenze non solo per i pazienti, ma anche per gli stessi medici, per i quali aver commesso un errore – come Coen spiega bene nel capitolo Le due vittime dell’errore – può avere ripercussioni molto gravi sulla vita professionale e personale.
Quando è iniziato tutto questo? Una prima botta al sistema sono stati i tagli al numero di posti letto ospedalieri, come afferma Coen nel capitolo Un luogo affollato.
Tagliare letti in ospedale negli anni Novanta diventò il sistema preferito per mettere un freno alle spese sanitarie in continua crescita […] Nel 2000, secondo i dati di Eurostat, in Italia c’erano 268mila posti letto negli ospedali. Nel 2020 ne erano rimasti solo 190mila, con una perdita netta di quasi un terzo dei posti letto di tutto il territorio nazionale.
Il risultato è che i Pronto Soccorso si ritrovano per giorni con le barelle piene di pazienti che dovrebbero essere già in un altro reparto, ma non trovano posto. E hanno bisogno di assistenza e di cure. Ma questo è solo uno dei fattori che contribuiscono alla crisi, anche se probabilmente il più grave.
Nella prima parte del volume, dedicata a metodo e organizzazione, Daniele Coen spiega infatti tutta la complessità organizzativa inerente alla gestione di un Pronto Soccorso e ne mostra difficoltà e ostacoli, tappa per tappa: a partire dal triage, per la selezione dei malati in base alla gravità, passando per le difficoltà e le inevitabili incertezze di una diagnosi d’urgenza, alla necessità di avere piani per affrontare i veri e propri disastri (di cui il Covid è stato un esempio); senza dimenticare la crescente burocrazia, che nel corso degli ultimi quindici anni ha reso più difficile qualsiasi cosa.
Come spiega Coen, una migliore organizzazione del lavoro è cruciale per reggere: «All’inizio del mio lavoro a Niguarda ricoveravamo il 24% degli accessi al Pronto Soccorso; quando sono andato in pensione ne ricoveravamo il 13%, quasi la metà: un trend che più o meno si è verificato dappertutto. Dimezzare i ricoveri è una scelta legata non solo al fatto che mancano i posti letto in reparto, ma anche al fatto che si era capito che essere ricoverati per molti pazienti non comporta vantaggi, ma il contrario. Per non ricoverare, tuttavia, bisogna sobbarcarsi il lavoro che un tempo di faceva in reparto prima di dimettere il paziente: esami, cure, osservazione… Questa drastica riduzione dei ricoveri è stata sicuramente una buona cosa, ma per i medici di Pronto Soccorso ha comportato un carico di lavoro ulteriore. E inoltre, comunque, non basta: i posti per ricoverare quel 13% residuo dei pazienti ancora non ci sono. Credo parli chiaro questo dato: il 23 dicembre del 2023 in un grande Pronto Soccorso dell’Italia centrale c’erano 72 persone in attesa di ricovero. E sono persone che hanno veramente bisogno di cure, se no verrebbero mandate a casa. In alcuni casi, l’attesa di un letto in reparto può durare diversi giorni e questo manda in tilt la struttura».
L’altro fronte carente, denuncia Coen, è quello della sanità territoriale: «Per quello che riguarda i medici di medicina generale abbiamo oggi una medicina territoriale vetusta, come impostazione, composta in gran parte da professionisti che lavorano da soli, incapace di dare risposte alle urgenze minori e con zero capacità di diagnostica strumentale; non possono quindi che rimandare a una tecnologia che non hanno; mentre un’ecografia o un elettrocardiogramma potrebbero e dovrebbero essere fatti in ambulatorio. Problemi come una febbre molta alta o un forte mal di testa oggi non vengono affrontati con l’urgenza necessaria dal medico di medicina generale, e il risultato è che il paziente va in Pronto Soccorso».
La soluzione è proposta da Coen nel capitolo Le strade da percorrere, in una forma che riecheggia il celebre I have a dream.
Sogno che i medici di famiglia abbiano l’obbligo di lavorare in gruppi di almeno tre componenti (ma cinque sarebbe il numero ideale) e che il loro ambulatorio sia aperto dodici ore al giorno. Sogno che uno di loro si dedichi sempre agli accessi urgenti, garantendo una visita in giornata secondo criteri prestabiliti e noti agli assistiti. Sogno che ogni studio abbia una dotazione adeguata di personale infermieristico e amministrativo, i cui costi siano in buona parte sostenuti dalle Regioni (a onor del vero, questo succede già, anche se in misura ancora insufficiente). Sogno che tutti i medici di medicina generale siano in grado di eseguire e leggere un elettrocardiogramma, di fare un’ecografia di base e posseggano l’attrezzatura per i più semplici esami di laboratorio.
Come commenta Coen: «Qualcosa che le cosiddette Case della salute hanno tentato di fare, senza riuscirci, perché è mancato soprattutto l’aspetto del lavoro integrato tra professionisti. L’importante, infatti, sarebbe creare interazioni tra medici con competenze diverse, anche sul territorio, formarli a lavorare insieme, in squadra, in modo da offrire ai pazienti non il singolo medico, ma una rete. In Italia purtroppo non è quasi mai così».
L’altra grande carenza del territorio è l’assistenza alle persone fragili, ai malati cronici, a chi ha bisogno di riabilitazione o dovrebbe andare in RSA, ma non trova posto. «Si calcola che più o meno un terzo dei pazienti che oggi occupano medici di medicina generale negli ospedali sono anziani soli, che non avrebbero più bisogno di essere ricoverati, ma non possono stare a casa da soli e non hanno dove andare», spiega Coen.
Il Pronto Soccorso ultimo baluardo della sanità pubblica
Ma il messaggio di Coen non è solo negativo: nella seconda parte del volume, La lotta contro il tempo, si racconta anche degli enormi miglioramenti, spesso legati alla tempestività e alla migliore organizzazione e gestione dei casi, che anche grazie ai nuovi protocolli la medicina di emergenza ha fatto negli ultimi anni, per esempio nel campo degli infarti o degli ictus: «Benché ci sia più caos di un tempo, nei Pronto Soccorso si sono fatti enormi passi avanti, legati sia alla clinica sia alla organizzazione: per mantenere questi progressi è cruciale mantenere valide strutture, un’ informatica adeguata e personale sufficiente, o faremo passi indietro», avverte Coen.
Tra i temi trattati non poteva mancare quello della violenza nei Pronto Soccorso, che ha visto recentemente le cronache occuparsi di alcuni episodi molto gravi. Se ne parla nella terza parte, Nel tunnel del malessere, che è quella più ricca di racconti tratti dall’esperienza reale dei medici.
Spiega ancora Coen: «Al di là delle forme di assalti di massa che, per quanto facciano scalpore, sono più vicine alla criminalità e rappresentano episodi isolati, la violenza nei Pronto Soccorso c’è sempre stata: è un problema a cui bisogna dare delle risposte preordinate, ovvero formare medici e infermieri a trattare le persone che iniziano a mostrare comportamenti non controllati, predisporre dei locali adeguati dove gestire i casi di pazienti che perdono la calma, prevedere la presenza di pulsanti d’allarme, anche di guardie giurate, non sempre disponibili, perché magari sono poche e girano per tutto l’ospedale. Io ho insistito perché ogni persona responsabile di un danneggiamento ad arredi o attrezzature fosse denunciata e obbligata a risarcire i danni. Certo, far funzionare meglio le cose è anche un modo per prevenire la violenza, che a volte nasce dall’esasperazione o dal senso di essere trascurati e dallo stress emotivo».
Nel libro si affronta anche un altro tema relativo alla violenza, e cioè la capacità da parte dei medici in Pronto Soccorso di riconoscere i casi di pazienti, soprattutto donne, ma anche bambini, che nascondono o non sanno comunicare di avere subito violenze: Coen racconta un caso in cui una donna è stata trattenuta in Pronto Soccorso per giorni, fino a che non è stato possibile inviarla in una residenza protetta.
In questa ultima parte del volume Coen lascia spazio alle occasioni in cui il Pronto Soccorso si dedica anche a quello che è definito, nel titolo di un capitolo, Il mondo degli ultimi: perché succede sempre che le sale d’aspetto si riempiano anche di clochard, di irregolari, di derelitti che non hanno idea di dove andare. E in qualche modo si fa fronte anche alle loro esigenze. In alcuni Pronto Soccorso si è provveduto addirittura a una stanza riservata, destinata alle persone che finiscono in Pronto Soccorso solo per morire. In queste pagine appaiono le figure dolenti che il medico del Pronto Soccorso si trova davanti: la madre a cui sono stati tolti due figli piccoli trent’anni prima, ricoverata in stato di catatonia dovuto all’esplodere della disperazione per quel ricordo a lungo soffocato; lo schizofrenico con gli stivali da cowboy che ha accoltellato suo fratello “Ma una volta sola!”; le donne con lividi o fratture che “sono cadute dalle scale” e che il partner non vuole lasciare sole nemmeno un secondo con il medico per paura che venga fuori la verità.
Nel capitolo finale, L’ultimo baluardo, Daniele Coen ricorda come la sanità pubblica e universalistica sia una delle più grandi conquiste della nostra democrazia e il Pronto Soccorso sia il suo ultimo baluardo. Di questo, i medici che ci lavorano dovrebbero sempre sentirsi fieri.
Una cosa che ho sempre pensato, e che ho ripetuto fin troppe volte ai medici e agli infermieri che lavoravano con me, è che il Pronto Soccorso ha due punti di riferimento importanti. È infatti indiscutibile che chi ci lavora faccia a pieno titolo parte del mondo della medicina e del sapere scientifico [… ] Esiste però un elemento che rende il Pronto Soccorso diverso da tutti gli altri reparti ospedalieri e che in qualche modo lo accomuna invece alle forze di polizia, ai vigili del fuoco, alla protezione civile. I medici e gli infermieri di Pronto Soccorso sono infatti quello che gli anglosassoni chiamerebbero civil servants, non nel senso di pubblici ufficiali (cosa che peraltro sono, durante l’espletamento del loro servizio), ma nel vero senso di servitori della cittadinanza. […] Potranno esserci disguidi o lentezze che è giusto rilevare e criticare, ma nessuno troverà mai la porta chiusa. Questo fatto mi rende orgoglioso come medico e mi rassicura come cittadino, perché so che, in un sistema sanitario al quale è sempre più difficile accedere, c’è ancora un luogo a cui chiunque può rivolgersi nel momento del bisogno, indipendentemente dal suo livello sociale, dalla sua condizione economica e dal problema che causa il suo malessere, fisico o mentale che sia.
Come tutti i saggi di Coen molto documentato, approfondito e chiaro, Corsia d’emergenza affronta in ultima analisi, con uno sguardo che passa attraverso la visuale del Pronto Soccorso ma si apre a 360 gradi, molti problemi che affliggono non solo il nostro sistema sanitario, ma la nostra società nel suo insieme.