fbpx Ratti al volante: la neuroplasticità in azione | Scienza in rete

I ratti al volante e l'importanza dell'attesa

i ratti che "guidano"

Un esperimento condotto dall'Università di Richmond ha dimostrato che i ratti, inseriti in ambienti stimolanti, sono in grado d’imparare a “guidare” non solo per ottenere una ricompensa, ma anche per il piacere dell'attività stessa. Mentre un progetto successivo ha mostrato come l'anticipazione di eventi positivi, come guidare o esplorare, abbia effetti significativi sul miglioramento dell'umore e sulle capacità cognitive.

Crediti immagine: Kelly Lambert/The Conversation. Licenza: CC BY-ND 4.0

Tempo di lettura: 4 mins

Quando si prende in mano il guinzaglio, e a volte basta anche solo levarsi le ciabatte e mettersi le scarpe, il cane di casa comincia ad agitarsi, scodinzolare, saltellare ed esibire tutto il repertorio che indica che sa che si sta per uscire e andare in passeggiata. Gioia, eccitazione, aspettativa: è la norma. Ma se la stessa cosa la fanno dei ratti quando si apre la porta del laboratorio, sorge spontanea qualche domanda .

Di certo se le è poste Kelly Lambert, una docente di neuroscienze comportamentali all’università di Richmond, che ha avviato un progetto di ricerca dal nome eloquente: Wait for it

Tutto era cominciato con un progetto sulla neuroplasticità cerebrale per verificare quanto un ambiente stimolante migliori in partenza le funzioni "cognitive, motorie, visuo-spaziali e temporali" e le eventuali conseguenze a livello neurologico. Serviva un test che impiegasse tutte queste funzioni.

I ratti sono stati divisi in due gruppi: uno stabulato nel modo standard in cui si alloggiano gli animali da laboratorio (lettiera di segatura) e l'altro in un ambiente molto arricchito (con scale, corde, oggetti sconosciuti) e nel quale gli arricchimenti variavano ogni paio di settimane. Dopo quattro mesi (anni su scala umana), è iniziato il training. I ratti sono stati abituati a un barattolo di plastica dal quale era stata ricavata un’ “automobile”, posto negli spazi dove alloggiavano; poi sono stati indotti a toccare una leva che fungeva da "volante" posizionando dei bocconcini, ai quali non hanno mai avuto accesso da fuori le macchinine, in modo che per arrivarci dovessero toccarla (qui un video).

All’avanzare dell’esperimento, le cose sono state gradualmente complicate: distanze maggiori, veicoli ruotati in modo che dovessero "sterzare", percorsi non rettilinei, retromarce eccetera.

Il risultato era, in verità, abbastanza previsto: in effetti, lo studio è stato condotto per avere conferma di quanto si sapeva già, ma con un livello di complicazione maggiore. Si è visto, cioè, anche che svolgere attività "impegnative" dai punti di vista elencati qui sopra migliora l'umore: i ratti sono meno paurosi e diffidenti e presentano le stesse reazioni endocrine associate al piacere che abbiamo noi, con rilascio di endorfine. Gli animali sono più attivi, meno soggetti a stress (maggiore resilienza), e continuano a guidare anche finito il periodo di test. Hanno quindi imparato a divertirsi a farlo, non è più un compito che svolgono per il premio.

Ma l’esperimento ha superato le aspettative anche in senso opposto: nessuno degli animali stabulati nel modo classico è riuscito a imparare a “guidare”; soprattutto, il gruppo di ricerca non si aspettava la completa mancanza di interesse per le macchine.

I ratti eccitati e pieni di aspettativa con i quali è iniziato questo articolo, che non vedevano l’ora di guidare, hanno dato il via al progetto Wait for it, che puntava a stabilire come gli eventi positivi e l’aspettativa nei confronti degli stessi modifichino le funzioni neurali. Anche stavolta i ratti sono stati divisi in due gruppi: a uno veniva posto un mattoncino lego nella gabbia e solo dopo 15 minuti ricevevano un dolce e venivano fatti entrare nell’”area gioco” dove ricevevano stimoli vari (semi di girasole da sbucciare e simili). Il gruppo di controllo aveva il lego e la ricompensa in simultanea.

I primi risultati sono stati chiari: miglioramento dell’umore e aumentate capacità cognitive; addirittura gli animali pieni di aspettativa portavano la coda alta e arcuata, fenomeno conosciuto in caso di somministrazione di oppioidi, connesso con la presenza di dopamina, l’ormone del benessere. Se invece di premere un pulsante per ottenere una ricompensa immediata, si deve attendere per averla, sapendo che arriverà, l’aspettativa attiva il cervello e migliora l’umore, mantenendo la mente sana e migliorando in ultima analisi la qualità della vita. Anche quella umana, e se ci si pensa non è poi così stupefacente: se in gennaio, per esempio, so già che in giugno partirò per un mese per fare un viaggio bellissimo, il freddo, i contrattempi grandi e piccoli di ogni giorno, la noia e la stanchezza, scivoleranno via più facilmente, aspettando quel viaggio.

Infine, una considerazione d’obbligo: quanto influiscono le condizioni di vita standard degli animali da laboratorio, in presenza di “welfare” (un concetto descritto ormai sessant’anni fa ma del quale sono ormai noti i limiti) ma in assenza di ogni tipo di stimolo, sulla loro resilienza e quindi sui risultati?

 


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