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La vita in un Paese occupato

Condividiamo una traduzione sintetica della lettera ricevuta e pubblicata dalla scrittrice Anne Applebaum sulla sua newsletter Open Letters: una testimonianza della disperazione vissuta oggi da molte persone che lavorano nelle università e nelle istituzioni governative statunitensi.

Tempo di lettura: 5 mins

«Qualche giorno fa, ho ricevuto una lettera insolita da un lettore che aveva letto il mio articolo sull'Atlantic, "There's a Term for what Trump and Musk are Doing: How Regime Change Happens in America", e che lo aveva trovato sia inquietante che accurato», scrive Anne Applebaum sulla sua newsletter Open Letters. La scrittrice racconta che la lettera originale era firmata e conteneva informazioni e dettagli sul profilo del suo interlocutore che le hanno consentito di verificarne l’identità. Quando gli ha chiesto l’autorizzazione a condividere il testo, l’autore ha acconsentito, ma solo a condizione di essere protetto dall’anonimato. «Ovviamente ho accettato - scrive Applebaum - e la condivido perché, anche senza quei dettagli, che includono importanti titoli accademici e risultati scientifici impressionanti, cattura parte della disperazione che ho sentito da altre persone, nelle università e nelle istituzioni governative».

Pensiamo che a propria volta Scienza in rete possa pubblicarne una visione sintetica in italiano, perché aiuta a capire quello che sta succedendo e a renderci conto che quel “paese occupato” sono gli Stati Uniti.

Mi sono sentito in dovere di contattarti perché non riesco a togliermi dalla testa questa frase del tuo articolo: “L'unica cosa che queste politiche faranno sicuramente, e sono chiaramente progettate per fare, è alterare il comportamento e i valori del servizio pubblico. Improvvisamente, e non per caso, le persone che lavorano per il governo federale americano stanno vivendo la stessa esperienza di persone che si trovano a vivere sotto occupazione straniera”.

Io lo vivo ogni giorno. Scrivo sia come dipendente del governo federale, sia come membro di una grande università che riceve ingenti finanziamenti federali. Nel corso della mia decennale carriera, ho raggiunto i vertici in entrambi i settori. Molti miei colleghi ed ex compagni di classe rivestono ruoli simili sia nel settore pubblico che in quello privato.

Come molti, abbiamo ricevuto istruzioni non solo di rimuovere tutti i pronomi e la terminologia inclusiva dalle nostre firme e-mail e dai nostri siti web, ma anche di non pubblicare o mettere "mi piace" sui social media su nulla che riguardi il nostro lavoro, la nostra politica o le nostre linee guida.

Tuttavia, parte del mio lavoro è dare conto di quello che faccio, e io ci credo.

Ho assistito a licenziamenti di massa e congedi forzati con breve preavviso. Immagino che tutti quelli che conosco professionalmente perderanno il lavoro. Sono a un anno e mezzo dalla possibilità di pensionamento anticipato, ma ora immagino che non ce la farò, nonostante abbia sempre pianificato di rimanere un dipendente federale fino all'età pensionabile.

In base a dove vivo e al tipo di lavoro che svolgo, mi sento costantemente come se avessi più di un bersaglio sulla schiena; per questo motivo, condivido qui solo i dettagli più generici. Penso che presto mi troverò di fronte alla scelta se accettare di essere licenziato, dimettermi o essere considerato complice del regime attuale.

Non ho risposto alle e-mail, né ho compilato i cinque punti sui compiti che ho portato a termine. Credo che se manterrò o meno la mia posizione non dipenderà dalla mia risposta. Immagino che lo scopriremo presto. Ma nel giro di poche settimane ho visto i colleghi delle mie istituzioni e di quelle simili obbedire. Obbediscono e rispondono per paura.

Anch'io mi preoccupo del mutuo e del pagamento delle tasse universitarie per i miei figli e di cosa può succedere quando il mercato è inondato di disoccupati con titoli di studio di alto livello e il mercato azionario crolla. Anche io nascondo la mia identità mentre critico gli altri, cosa per cui provo un profondo senso di vergogna. Mi comporto in questo modo, almeno in parte, perché sono il principale responsabile del reddito della mia famiglia e non voglio metterla a rischio.

A volte mi sento come se stessi urlando, mentre amici e parenti pensano chiaramente che stia esagerando. Che quello che sta succedendo non ci toccherà davvero. Che i tribunali ci salveranno. Che non può essere così brutto come appare. Leggere libri come il tuo sull’autocrazia (Ann Applebaum, Autocrazie, Mondadori 2024, ndr) o sulla fine della democrazia (Steven Levitsky, Daniel Ziblatt, Come muoiono le democrazie, Laterza 2020, ndr) mi fa sentire deprimente, paranoico, marginale, nichilista. C’è chi dice che "dobbiamo solo farcela" alle prossime elezioni, ma non sono affatto sicuro che ci saranno di nuovo elezioni libere e giuste nel corso della nostra vita. Come se ogni giorno non sembrasse una vita.

Mio figlio adolescente mi ha chiesto se ho pianto dopo le elezioni, come nel 2016. Certo che sì. Lo avevano previsto tutti coloro che conoscevano il Progetto 2025 (elaborato dalla fondazione Heritage, un think tank conservatore, il progetto mira a portare l'intero ramo esecutivo dello stato federale sotto il diretto controllo del presidente, ndr).

Hanno scritto un manuale e ora lo stanno mettendo in pratica.

Quando ero bambino ho sentito parlare di altri bambini sotto regimi oppressivi in tutto il mondo. Ricordo di essermi sentito molto triste per quelli della mia stessa età. Ora i nostri bambini negli Stati Uniti cresceranno sotto questo incubo mentre il mondo guarda con orrore, disgusto e pietà.

Non voglio sentirmi traumatizzato nel mio lavoro ogni giorno. Come se vivessi sotto un'occupazione straniera. [… ] Sono felice di avere l'opportunità di condividere parte di quello che sta succedendo e, cosa più importante, di ringraziarvi profondamente per aver fatto sentire me e altri come me visti e ascoltati.

Potremmo essere canarini in una miniera di carbone, ma nessuno negli USA, e forse nel mondo, uscirà indenne da questo periodo. Alcuni semplicemente non se ne rendono ancora conto. Altri sì.

 


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