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Campi Flegrei, il vulcano sotto la città: tra segnali di vita e gestione dei rischi

Tra sollevamenti del suolo, sciami sismici e gas sotterranei, i Campi Flegrei pongono sfide cruciali per scienza e protezione civile in una delle aree vulcaniche più complesse al mondo.

Il Golfo di Pozzuoli visto dal satellite. Credit: NASA (CC0).

Tempo di lettura: 11 mins

La caldera dei Campi Flegrei, nel Sud Italia, è uno dei sistemi vulcanici più affascinanti e complessi al mondo. Situata nell’area metropolitana di Napoli, luogo naturalisticamente meraviglioso, è urbanizzata da millenni. Attualmente vi risiedono quasi mezzo milione di persone.

Lontana dall’essere un reperto dormiente, la caldera è viva e imprevedibile, mostrando una dinamica dei processi che include – tra l’altro – sollevamento del suolo, attività sismica ed emissioni di gas. Questi segnali riflettono processi sotterranei intricatissimi, e solo parzialmente noti. Il magma interagisce con un sistema idrotermale ricco di gas, generando variazioni di pressione in grado di rimodellare il paesaggio sovrastante e di porre sfide sia scientifiche sia sociali.

Breve storia geologica

I Campi Flegrei hanno una struttura a caldere annidate, formatesi in seguito a due grandi eruzioni esplosive: l’Ignimbrite Campana, avvenuta circa quarantamila anni fa, e il Tufo Giallo Napoletano circa quindicimila anni fa. Le enormi quantità di materiale vulcanico emesse durante queste eruzioni, formarono zone come la collina di Posillipo, e lasciarono una depressione – chiamata appunto caldera – i cui confini si estendono oggi fin sotto il Golfo di Napoli. Negli ultimi quindicimila anni si sono verificate oltre settanta eruzioni di minore intensità. Molte di esse, le più antiche, sono state localizzate lungo il limite strutturale della caldera del Tufo Giallo Napoletano, mentre quelle più recenti si sono concentrate soprattutto nel settore nord-orientale della porzione risorgente interna della caldera.

Quest’area, in particolare la parte centrale del territorio dell’attuale comune di Pozzuoli, è stata interessata da ripetuti episodi di sollevamento e abbassamento del suolo – fenomeno noto come bradisismo (la cui etimologia è proprio "lento terremoto") – con tassi che hanno raggiunto anche le decine di centimetri al mese. Le osservazioni moderne, basate su metodi geodetici, hanno mostrato come il sollevamento del terreno sia massimo nel centro di Pozzuoli e diminuisca allontanandosi da esso, fino a diventare trascurabile a circa cinque chilometri di distanza.

Negli ultimi 10.000 anni il vulcanismo successivo alle eruzioni dell’Ignimbrite Campana e del Tufo Giallo Napoletano ha prodotto non meno di 70 eruzioni di cui la più recente, nel 1538, ha originato il Monte Nuovo. Quest’ultima eruzione è avvenuta dopo un lungo periodo di riattivazione dei processi di risorgenza della caldera nel suo settore centrale causando forti terremoti e un sollevamento del suolo fino a 6 metri.

Il bradisismo negli ultimi decenni

Di manifestazioni del bradisismo si hanno notizie che datano nel passato di millenni. Nel corso degli ultimi settant’anni, i Campi Flegrei sono stati interessati da diversi cicli bradisismici. Nel biennio 1970–72 e poi 1982–84 si verificarono due episodi di sollevamento importanti, durante i quali vennero registrati oltre ventimila terremoti, che portarono a evacuare parte della popolazione del centro storico di Pozzuoli (il Rione Terra) visto lo stato apparente delle costruzioni. Dopo il 1985, la caldera si è abbassata per circa vent’anni, e contestualmente l’attività sismica è diminuita.

Dal 2005 è in corso una nuova fase di sollevamento del suolo. In certi periodi recenti, la velocità di questo sollevamento ha raggiunto quasi tre centimetri al mese, e sono stati registrati più di diecimila terremoti. La maggioranza si è concentrata negli ultimi due anni e mezzo con epicentri localizzati in un’area ristretta nella zona della Solfatara a Pozzuoli, e in misura minore nell’area marina antistante il comune Bacoli.Sebbene la maggior parte dei terremoti abbia bassa magnitudo (circa 1 o inferiore), da settembre 2023 si sono verificati diversi eventi di magnitudo durata superiore a 4 (la misura esatta varia a seconda della scala di magnitudo utilizzata). Tali magnitudo non sono in generale considerate pericolose dall’ingegneria sismica, ma la popolazione le ha avvertite distintamente, anche a causa della ridotta profondità degli ipocentri, che raramente ha superato i tre chilometri.

Nelle aree prossime agli epicentri, si sono osservati danni lievi, che per lo più hanno interessato elementi non strutturali. Nulla o quasi hanno avvertito i residenti dei quartieri di Napoli, anche quelli più vicini alla caldera, poiché lo scuotimento sismico nell’area tende a diminuire sensibilmente in ampiezza già a pochi chilometri di distanza.

Tuttavia, la comunità scientifica e le autorità rimangono in stato di allerta (o di attenzione) dal 2013. Anche terremoti di moderata entità possono infatti determinare un rischio in un contesto urbano denso di popolazione. Inoltre, non è nota a priori la magnitudo massima – e quindi l’energia massima che il terremoto può rilasciare – durante le evoluzioni future della dinamica del vulcano. In altre parole, si teme che possano avvenire terremoti forti, con magnitudo momento da cinque in su, potenzialmente capaci di causare danni estesi.

Perché il suolo si muove: magma o fluidi idrotermali?

Il dibattito scientifico sui Campi Flegrei si è concentrato sulla causa della dinamica attuale del vulcano. Alcuni ricercatori sostengono che è la risalita di magma verso la superficie terrestre a causare la deformazione degli strati geologici superficiali e quindi a generare i terremoti. Altri, invece, attribuiscono il fenomeno principalmente a fluidi idrotermali, cioè ricchi di acqua e gas, che si pressurizzano per l’immissione di gas dalle camere magmatiche più profonde e innescano la riattivazione di fratture (i.e., faglie) superficiali.

Studi di esplorazione sismica e tomografia tridimensionale non hanno evidenziato volumi di sostanziale accumulo di magma alle profondità in cui si registra la maggior parte dei fenomeni di instabilità, generalmente sotto i tre chilometri. Al contrario, queste indagini hanno rivelato zone con elevato contenuto di gas o altri indicatori di intensa attività idrotermale. Questo non esclude la possibilità che piccole sacche di magma possano esistere a bassa profondità, ma mette in luce come lo spostamento dei fluidi - e le variazioni di pressione a esso associate - giochi un ruolo centrale nei fenomeni di instabilità della caldera.

Localizzare i terremoti, identificare le faglie e valutare il pericolo sismico

Per comprendere meglio la struttura e il comportamento dei Campi Flegrei, i ricercatori hanno utilizzato tecniche di localizzazione ad alta precisione dei terremoti, che consentono di definire con maggior accuratezza la posizione degli ipocentri riducendo le incertezze nei dati sismici. Questo è particolarmente importante per valutare il rischio sismico nell’area. Infatti, è possibile individuare con precisione le faglie attive mobilitate durante i recenti episodi di sollevamento ai Campi Flegrei. Studi recenti basati su tale localizzazione ad alta precisione hanno confermato che la sismicità ha una distribuzione spaziale simile a un’ellisse, che delinea il bordo dell’area risorgente della caldera. I terremoti più superficiali si concentrano infatti nell’area Solfatara-Pisciarelli e nella zona a Nord di Pozzuoli, e diminuisce allontanandosi da essi. In mare, verso il Golfo di Pozzuoli, la profondità dei terremoti tende invece a aumentare, pur rimanendo entro i tre-quattro chilometri.

Queste nuove localizzazioni dei terremoti aiutano anche a valutare il potenziale di eventi di maggiore magnitudo cui si è già accennato. Sulla base della geometria delle faglie, dei dati di letteratura scientifica, e altre considerazioni geologiche, geofisiche e di ingegneria sismica, abbiamo stimato che potrebbero verificarsi rotture - confinate nella zona in deformazione - in grado di produrre eventi con magnitudo momento comprese tra 4,4 e 5,1 (un approfondimento su questo studio è disponibile qui). Non si possono escludere magnitudo superiori nel caso si attivino faglie non note o con fratture multiple che si estendano anche al di fuori della zona interessata dal bradisismo, ma ciò dovrebbe coinvolgere una superficie di frattura molto estesa. Resta il fatto che terremoti di magnitudo momento cinque in un contesto densamente popolato, con un costruito esistente per lo più progettato con norme sismiche obsolete o in totale assenza di esse, rappresenta un rischio rilevante da considerare per le comunità locali, i tecnici e più in generale il governo e le autorità di protezione civile nazionali.

Una prospettiva multi-rischio

Nei Campi Flegrei, il rischio sismico, cioè quello legato al rapido scuotimento del suolo per effetto della crosta terrestre che si rompe improvvisamente, coesiste ovviamente con il rischio vulcanico, cioè legato alla possibilità di un nuovo fenomeno eruttivo. Fonti storiche, in particolare quelle relative all’ultima eruzione del 1538 al Monte Nuovo (in cui furono espulsi solo 0,03 chilometri cubi di materiale), indicano che un forte sollevamento del suolo e una sismicità persistente precedettero l’evento eruttivo.

Per questo motivo, il sistema idrotermale riattivato dei Campi Flegrei e la storia di eruzioni di moderata entità in epoca recente richiedono una valutazione più ampia dei pericoli vulcanici.

In primo luogo, ai Campi Flegrei non è possibile prevedere con certezza quale via prenderebbe il magma perché non esiste un unico edificio vulcanico, come invece avviene per il vicino Vesuvio. In secondo luogo, anche un’eruzione di piccola scala potrebbe espellere blocchi balistici, generare flussi piroclastici letali e depositare cenere sulla vasta città metropolitana di Napoli, con un impatto distruttivo grave anche per le costruzioni.

Occorre poi considerare le eruzioni freatiche o idrotermali, innescate quando fluidi ad alta pressione incontrano acqua sotterranea più fredda o una barriera impermeabile. Queste sono considerate probabili ai Campi Flegrei e sarebbero in grado di provocare danni.

È importante, tuttavia, sottolineare che non tutti gli episodi di bradisismo sfociano in un’eruzione. Anzi, le fasi di sollevamento degli ultimi cinquant’anni si sono concluse senza che il magma raggiungesse la superficie.

La sorveglianza e la modellazione della caldera

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e il Dipartimento della Protezione Civile (DPC) Nazionale gestiscono un esteso sistema di osservazione ai Campi Flegrei. Gli strumenti registrano i terremoti e i loro effetti sull’edificato, la deformazione del suolo, le variazioni di gravità, le emissioni di gas, le lore temperature, e i cambiamenti chimici di fumarole e acque sotterranee. I dati vengono inviati in tempo reale, consentendo ai ricercatori di rilevare rapidamente eventuali anomalie e di allertare l’organo di valutazione del rischio vulcanico, la Commissione Grandi Rischi, che fornisce la consulenza tecnico-scientifica al DPC.

Per poter conoscere meglio questo complesso sistema naturale e quindi gestirne i rischi derivanti, i ricercatori usano i dati per alimentare, aggiornare o costruire ex-novo modelli in grado di descriverne le dinamiche. Per esempio, utilizzando anche serie storiche di bradisismo, sciami sismici ed eruzioni, si valuta la probabilità che si verifichino nuovi episodi eruttivi sulla base dello stato corrente. Si tratta di modelli probabilistici, poiché i fenomeni che descrivono avvengono in profondità e si osservano solo indirettamente. Per valutare le conseguenze che gli eventi, vulcanici o sismici ritenuti possibili nell’area dei Campi Flegrei, avrebbero su infrastrutture e comunità si ricorre a modellazioni analitiche e numeriche. I risultati di questi modelli sono inclusi in analisi costi-benefici che contemplano strategie di mitigazione del rischio, come riduzione della vulnerabilità dell’ambiente costruito o riduzione dell’esposizione attraverso eventuali ordini di evacuazione della popolazione esposta.

Gestione del rischio e resilienza

L’ingegneria sismica contemporanea, su cui si basano le più avanzate norme tecniche per le costruzioni, tra cui quelle italiane, tende a valutare il rischio sismico di grandi terremoti perché attesi su scale spazio-temporali relativamente ampie. Tuttavia, pur avendo magnitudo moderate, anche le sequenze sismiche causate dal bradisismo ai Campi Flegrei, intense e fortemente localizzate, possono determinare conseguenze indesiderate non trascurabili. In uno studio recente abbiamo mostrato che se le costruzioni esistenti, progettate senza criteri antisismici o con criteri obsoleti, venissero adeguate agli standard normativi attuali (cosa che però non è sempre possibile sia per vincoli economici che tecnologici), si ridurrebbe il rischio per gli abitanti dell’area flegrea potenzialmente derivante dall’attività sismica in corso.

In ottica di resilienza, cioè l’assorbimento e il recupero delle comunità da impatti calamitosi, le strategie di mitigazione del rischio devono inoltre considerare, nel medio lungo termine, la particolare interazione di molteplici pericoli: attività vulcanica, sismicità e deformazione lenta del suolo. Nella gestione dei rischi che contempla interventi a varie scale figurano:

  • nel continuo: la comunicazione dei rischi sulla base della dinamica osservata;
  • nel breve termine: sistemi di allerta precoce (early warning);
  • nel medio termine: piani di mitigazione del rischio attraverso la riduzione dell’esposizione e la preparazione all’emergenza;
  • nel lungo termine: la riduzione della vulnerabilità, per esempio attraverso l’adeguamento dell’ambiente costruito agli standard più recenti dell’ingegneria civile.

In tutto questo ragionamento, va considerato che le scale temporali su cui si manifestano i vari pericoli nell’area non sono necessariamente le stesse. Di solito, le eruzioni hanno precursori giudicati scientificamente credibili che si manifestano settimane se non mesi prima, mentre per quanto riguarda i terremoti, le scale dei tempi di allerta sono al più quelle dei secondi e non possono prescindere dall’osservazione dell’innesco della frattura sismica.

ll futuro della conoscenza

Gli sforzi scientifici in corso mirano a perfezionare la comprensione delle dinamiche interne della caldera dei Campi Flegrei. Integrando localizzazioni di terremoti ad alta precisione, dati satellitari di deformazione del suolo e analisi geochimiche avanzate, i ricercatori possono prevedere con minore incertezza i processi di accumulo e scarico della pressione in profondità, sia essa dovuta al magma o al gas. Queste conoscenze tendono a restringere lo spettro degli scenari in cui la sismicità o la deformazione del suolo possono evolvere in un’eruzione.

Una grande mole di lavoro scientifico di ottima qualità è correntemente in atto, anche se le visioni - come sempre in un sano dibattito scientifico - differiscono in merito a fenomeni di cui, in fondo, si conosce davvero poco, non potendoli osservare direttamente. D’altra parte, un approccio flessibile e fortemente interdisciplinare, per supportare ulteriormente questi progressi scientifici, deve integrare informazioni sulle eruzioni passate, il monitoraggio del sollevamento del suolo in atto, la valutazione della vulnerabilità delle infrastrutture locali, dell’esposizione delle comunità, e la sostenibilità delle alternative di gestione. In particolare, stime probabilistiche devono valutare la razionalità dei diversi scenari decisionali e di gestione delle emergenze - dalle esplosioni freatiche a eruzioni magmatiche di media entità - così da preparare risposte rapide che consentano di contenere i rischi per le comunità.

In definitiva, se è vero che la natura turbolenta dei Campi Flegrei non può essere domata, è anche vero che può essere compresa sempre meglio. Attraverso la ricerca continua, la sorveglianza avanzata e una pianificazione basata su valutazioni quantitative di rischio e analisi di tipo costi-benefici, il mezzo milione di persone che vive e lavora in questa straordinaria terra vulcanica può guardare al futuro con maggiore serenità, consapevoli di dovere convivere con i rischi, ma sapendo che scienza e preparazione sono pronte a sostenerle nell’affrontare il prossimo capitolo della storia dei Campi Flegrei.

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