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Sul clima sono un ottimista catastrofico

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Esistono persone che si dichiarano refrattarie alle logiche della matematica ma sentenziano sull’ambiente. Già nel 1623 Il Saggiatore ha provato a spiegare che il libro della natura

«è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto»

Dopo Galilei i tentativi di incanalare i dibattiti popolari nel solco di linguaggi formali si sono succeduti inutilmente ed ora che troppe pagine di giornali propongono opinioni come «verità scientifiche», sento il desiderio d’intervenire sui vituperati «cambiamenti climatici» proponendo alcune osservazioni essenziali per capire, ma spesso sopraffatte dalla complessità del problema.

E' facile comprendere come i meccanismi che determinano l’attuale riscaldamento globale della Terra non si possano leggere nei proxy della temperatura da matrici (ghiacci polari e terrestri, tronchi d’albero, sedimenti geologici, coralli, ecc.) di formazione troppo lenta ed antica rispetto ai processi in atto adesso. I contributi antropici sono, infatti, recenti (50-60 anni) e gli eventi che li manifestano sono molto veloci e localizzati, tali, cioè, da richiedere dati densamente distribuiti sulla superficie della Terra ed estesi a tutta una finestra temporale recente. Questi dati ci sono (si veda per esempio il sito del Goddard Institute for Space Studies/NASA). Si tratta di misure effettuate con termometri in stazioni fisse e mobili seguendo rigorosi protocolli di standardizzazione dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO). Le serie temporali termometriche iniziano intorno al 1880 e sono perfino ridondanti perché se si amplia troppo la finestra si finisce per considerare meccanismi non più presenti. E allo scopo di evitare interferenze serve un’analisi preliminare della nostra storia ambientale.

Rilevazioni satellitari della temperatura
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Figura 1 Rilevazioni satellitari
della temperatura (Wikimedia)


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Figura 2 Schema di modello climatico
(© IPCC)


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Figura 3 Evoluzione di modello climatico
(© IPCC)

La logica dei fenomeni si può capire ricordando che i guai ambientali cominciano a diventare evidenti solo nel dopoguerra, quando, intorno agli anni ’50 del secolo scorso, si sono avvertiti i primi disagi atmosferici a Londra (il «grande smog di Londra») e, successivamente negli USA, a Los Angeles (lo «smog fotochimico»). Poi crebbe il numero delle aree metropolitane inquinate d’estate per lo smog fotochimico e d’inverno per il particolato sottile. Vennero i guai dei fiumi, delle coste e degli oceani. Infine, i rifiuti solidi urbani e quelli tossici o nocivi dell’industria. Ci si accorse delle capacità dell’uomo di interferire a distanze continentali (trasporto transfrontaliero degli inquinanti atmosferici: acidificazione dei laghi scandinavi) e planetarie (buco dell’ozono stratosferico) e, finalmente, prendono corpo i sospetti (è del 1975 il primo articolo scientifico con le parole «global warming») che alle alterazioni naturali del clima si sovrappongano contributi antropici in drammatico aumento. Ora questi contributi hanno conferme scientifiche (cioè valide fino a prova contraria, come richiede il metodo scientifico) perché tutti i modelli matematici disponibili (NASA, CCSM, Educational GCM, NOAA e MIT) mostrano che non solo sul Globo, ma anche sui singoli continenti e sugli oceani le misure di temperatura (effettuate direttamente in oltre 10 mila stazioni e sostanzialmente confermate da rilevazioni satellitari, figura 1 #LLL#) si spiegano solo considerando il contributo dell’uomo. E nessuno, finora, è riuscito a sconfessare questo risultato (grafico Uomini e clima).

I modelli in uso ― se ne veda lo schema attuale (figura 2 #LLL#) e il percorso evolutivo (figura 3 #LLL#) ― non sono frutto di fantasie, ma si basano sulle leggi fondamentali della meccanica e della termodinamica (i bilanci nei vari comparti della massa, dell’energia, della quantità di moto, delle specie chimiche, le leggi di scambio alle interfacce, le cinetiche di trasformazione e le equazioni di stato). Queste relazioni governano la fisica e la chimica del sistema pur con alcune semplificazioni concettuali (l’aria e l’acqua trattate come perfetti e le particelle fluide come omogenee) e tecniche (parametri, forzanti e condizioni ai limiti). Le equazioni differenziali che ne derivano definiscono in ogni punto la circolazione e l’evoluzione chimica dell’atmosfera e dei mari, ma non sono risolvibili analiticamente, cosicché si devono semplificare e trattare numericamente. Questo fatto riflette da una parte la complessità del sistema e l’impossibilità di ottenere risultati privi di indeterminazioni. I dati climatologici di temperatura dell’aria che risultano dai calcoli vengono confrontati con i dati sperimentali raccolti nelle varie stazioni di misura. L’accordo tra i modelli e le misure è stabilito considerando come falsificatore un criterio di confronto quantitativo (la somma dei quadrati degli scarti con confidenza al 90%). Il procedimento è quindi scientifico e può essere falsificato solo con nuovi modelli e/o nuove misure. Si possono avere opinioni che differiscono dalle conoscenze scientifiche raggiunte, ma deve essere chiaro che esse sono e rimangono opinioni anche quando vengono sostenute da persone autorevoli (il «principio di autorità» non appartiene alla scienza nemmeno in termini di «consenso» perché nessuna assemblea può trasformare in scienza un’opinione). A questo proposito vale anche la pena di ricordare che uno scienziato è tale nella sua disciplina e non in tutte e che la scienza è «pensiero unico» incapace di produrre totalitarismi perché «vale fino a prova contraria». Inoltre, per quanto riguarda il riscaldamento globale attuale, la prova contraria da proporre riguarda il «contributo dell’uomo all’aumento della temperatura della Terra in atto ora», non l’esistenza delle glaciazioni o la ciclicità dell’attività solare o la coltivazione dell’uva in Inghilterra. E fornire la prova contraria vuol dire fornire interpretazioni dei dati (esistenti o raccolti ad hoc) coerenti con la fisica del Pianeta in grado spiegare le tendenze climatiche attuali senza dover introdurre gli effetti dell’influenza antropica.

E sulla questione IPCC c’è poco da dire. Un gruppo di persone estranee alla scienza del clima, nega il contributo dell’uomo all’attuale riscaldamento della Terra e manifesta a vario titolo scetticismo nei confronti dei dati che lo documentano. L’IPCC nei suoi «Rapporti» registra e sintetizza questi documenti e deve subire le rimostranze dei dissenzienti che, però, non contrappongono scienza, ma solo opinioni (e non sempre disinteressate), cioè, conoscenze non registrabili nei «Rapporti» IPCC. La disputa fra catastrofisti e scettici è però finita su un piano tristemente politico, tanto che vengono catalogati di sinistra i primi e di destra i secondi. Per dignità, non entro nel dibattito, ma, rimandando i curiosi ad un blog specializzato (http://www.climalteranti.it), da catastrofista, esprimo ottimismo in quanto l’uomo, se causa del suo mal, ha due vie d’uscita: piangere o rimboccarsi le maniche, mentre se vittima della Natura non gli resterebbe che piangere.

IPCC Fourth Assessment Report, Climate Change 2007 (AR4)

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