Chi ama cullarsi nell’illusione che la chiesa di Roma abbia accettato, o possa accettare, l’evoluzionismo quale spiegazione della vita sulla terra è servito dal numero di marzo-aprile della rivista Kos.
Sulla copertina della rivista spicca il titolo “L’uomo è divino?”, e quel punto di domanda ci ha fatto sperare che l’articolo di apertura della stessa, di Luigi Maria Verzé (Presidente della Fondazione San Raffaele e Rettore dell’Università Vita-Salute San Raffaele), iniziasse con un no. E invece tutto il contrario. Prima di arrivare all’articolo di Verzé però vogliamo soffermarci sulla pagina 2, dove Armando Torno presenta il contenuto della rivista. Il titolo del pezzo di Torno è «Se la divinità ci arriva nella carne». E inizia: «In questo numero di Kos si cerca l’aspetto divino del genoma. Gli scienziati, dopo aver scoperto quest’ultima frontiera delle caratteristiche umane [ecc. ecc.]».
Assicuriamo tutti che non stiamo interpretando arbitrariamente. È scritto proprio così. E non pare una provocazione di buontemponi, almeno a giudicare da quello che viene dopo a firma di Verzé. Il suo articolo infatti ha per titolo: «Siamo geneticamente parenti di Dio». E si apre:
«In quanto umani, siamo tutti geneticamente parenti di Dio. Con quest’asserzione non intendo fare un sermone, ma proporre una deduzione scientifica. La mia tesi, infatti, è ormai scientificamente dimostrabile, il che significa che non apparteniamo a Dio solo perché Lui ci ha creati, insufflandoci a uno a uno l’anima spirituale del suo sé, né che Cristo, Dio figlio unigenito del Padre, incarnandosi ci ha semplicemente restituiti all’amicizia tra Dio e uomo qual’era quando il Creatore e Adamo passeggiavano, l’un l’altro parlandosi con un ardente pensiero, tra le soavità terrestri dell’Eden, poi divisi dal libero tradimento umano (p. 5)».
Non sarà un sermone ma la modesta predica di un membro dell’ambiente ecclesiastico, che ancora presenta il primo libro della Bibbia in modo letterale, sì. Non rientra nelle possibilità e nell’interesse della ricerca scientifica la dimostrazione o meno dell’esistenza di dio, ma tutto quello che i credenti hanno attribuito alla sua opera – all’intervento del dio creatore – è stato scientificamente dimostrato fallace. Per limitarci al campo di nostra competenza, la vita si è evoluta, non è stata creata; e l’umanità è il frutto esclusivo dell’evoluzione. L’uomo attuale in particolare, l’ultima specie dell’umanità e cioè della grande sottofamiglia zoologica degli ominidi, è nato in Africa circa 200.000 anni fa dall’Homo ergaster e si è quindi diffuso nel resto del Vecchio Mondo prima e nel Nuovo poi.
Non siamo stati creati. Ci siamo evoluti. E anche l’origine della morale è nell’evoluzione, a differenza di quanto hanno preteso e pretendono coloro che la legano a quell’anima che dio avrebbe dato all’uomo. E l’uomo a cui fa riferimento l’ambiente ecclesistico è l’uomo attuale, la specie Homo sapiens. Di tutte le altre, che si sono susseguite e hanno convissuto a partire da sei milioni di anni fa, non si cura. La radice della morale insomma è di natura evoluzionistica perché frutto dell’empatia: il tratto proprio degli animali sociali. Darwin lo aveva già sostenuto e oggi l’etologia ce ne fornisce la dimostrazione inconfutabile, come si può leggere nel libro di Frans de Waal “Primati e filosofi”. Adamo poi! Adamo non è mai esistito. Adamo era funzionale alla menzogna creazionista e l’evoluzionismo darwiniano lo ha escluso da ogni orizzonte. Non sarebbe tempo da parte dei credenti pretendere che dalla Bibbia sia espunto quel primo libro tanto menzognero?
Il pensiero di Verzé è certamente originale – anche eccessivamente originale – ma l’antievoluzionismo non è affatto anomalo nell’ambiente ecclesistico. Due esempi abbastanza recenti. Nel 1996 il papa Giovanni Paolo II ha indirizzato una lettera alla Pontificia Accademia delle Scienze, ritenuta quasi all’unanimità l’accettazione dell’evoluzionismo da parte del Vaticano, in cui al punto 6 recitava (L’Osservatore Romano, 24 ottobre 1996, p. 7): «Con l’uomo ci troviamo dunque dinanzi a una differenza di ordine ontologico, dinanzi a un salto ontologico, […]». La sostanza dell’intervento papale era che l’evoluzione poteva essere accettata per tutti gli organismi viventi tranne che per noi, che saremmo composti di due essenze: una materiale governata dall’evoluzione e una spirituale governata da dio. Proprio il contrario di quanto promulgato da Darwin. Nel 2003 poi un editoriale apparso su La Civiltà Cattolica (N. 3679, pp. 3-9) sosteneva che noi non saremmo degli animali e che quindi bisognerebbe parlare di noi e degli animali e non di noi e degli altri animali. Cioè quanto di più estraneo si possa immaginare all’evoluzionismo.
E anche in ambiente non ecclesiastico, l’antievoluzionismo è attivo e pretende di essere trattato alla stessa stregua dell’evoluzionismo, come se rappresentasse un’ipotesi alternativa ma scientificamente impostata invece di un’assoluta falsità: di un’idea mendace e non scientifica dell’origine della vita e quindi estranea al procedimento scientifico. Il campione attuale di tale sviamento è il vicepresidente del CNR Roberto De Mattei, che il 23 febbraio 2009 ha organizzato nella sede romana del CNR il convegno “Evoluzionismo: il tramonto di un’ipotesi”, i cui atti sono usciti nello stesso anno per i tipi Cantagalli.
Un altro pezzo ci sembra davvero degno di nota. Scrive infatti Verzé:
«Come per noi uomini il DNA porta scritte le caratteristiche sostanziali della nostra specie, raccogliendo in sé la modellazione esteriore ambientale che non incide sulla unicità e irripetibilità dell’individuo – corpo sì, ma insieme intelligenza e spirito – eppure sempre insieme ai fattori ambientali ce lo trasmettiamo da una generazione all’altra, così l’Entità Cristo uomo-Dio per epigenesi inietta in ognuno di noi, in uno con la generazione umana, il suo flusso genetico divino. Ancora: così come ogni uomo, a prescindere che ne abbia coscienza e senza alterare la sostanzialità interindividuale, inietta il corredo ambientale nei suoi simili, così Cristo Gesù ci inietta il corredo ambientale di Dio che tutti ci sublima di fatto e ci divinizza. Qui occorre procedere con ordine oculato, perché si tratta di coordinamento scientifico-teologico nel fattore antropologico (p. 7)».
Comprendiamo che nel momento in cui si doveva discutere la legge sul testamento biologico i sostenitori del movimento per la vita sentissero il bisogno di pretendere la nostra divinizzazione, proprio per poterci piegare al crudele potere vaticano. Ma perché mai la nostra vita e la nostra morte dovrebbero essere decise dai preti invece che da ogni singolo individuo, libero di scegliere secondo le sue proprie convinzioni?
L’evoluzione che ci ha dato la vita non contempla alcuna divinizzazione. Un termine quest’ultimo privo di senso in ambito evoluzionistico.
Qualche riga sopra abbiamo affermato di essere atei e a pagina 8 di Kos leggiamo cosa pensa di noi Verzé:
«Quelli che predicano l’ateismo, quasi feticcio pseudointellettuale, alla fin fine sono negatori di avere un padre e una madre che li ha generati, educati e mantenuti. È un assurdo libertinismo, una montatura intellettuale, come se io dicessi che non sono figlio di mio padre Emilio e di mia madre Lucilla, che io amo come pelle della mia pelle e ossa delle mie ossa. Negarlo è una perversione profondamente intellettuale, anzi è mancanza di intelletto, abbandono della ragione».
Ci ha sistemati! Siamo pervertiti, privi di intelletto e contrari alla ragione. Eppure anche noi abbiamo amato e amiamo i nostri genitori. Almeno così ci era sembrato sino a oggi.
Siamo arrivati a pagina 8, ma l’articolo di Verzé arriva a pagina 16. Noi non ce la facciamo ad arrivare alla fine. E ci fermiamo qui.
Come per gran parte di ciò che sta avvenendo nel nostro paese, anche questa cosa è grave ma non è seria (avrebbe detto Ennio Flaiano se non ricordiamo male).