Nel 2008, dopo soli tre anni dalla sua
approvazione, il BiDil, il primo farmaco anti-ipertensivo la cui
efficacia è stata dimostrata solo all'interno della popolazione
afroamericana, è stato dichiarato fuori commercio dalla Nitromed, la
casa farmaceutica che l'aveva prodotto. Quando nel 2005 la Food and Drug
Administration (l'ente statunitense che si occupa della
regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici) aveva
approvato il BiDil, la comunità scientifica si era divisa tra
scettici ed entusiasti. Non c'è niente che faccia storcere il naso a
scienziati e non come il concetto di razza nella nostra specie. Non
c'è da stupirsi, quindi, se l'arrivo sul mercato del primo farmaco
definito "etnico-selettivo" abbia sollevato perplessità
scientifiche e socioculturali. La cartina tornasole è stata il basso
indice di vendita del BiDil che alla fine ha costretto la Nitromed a
sospenderne il commercio. Oggi la Nitromed è stata acquisita dalla
Deerfield e la vendita del BiDil è ripresa, seppure con bassi
guadagni. Un farmaco sul cui bugiardino compaia
la parola razza provoca necessariamente qualche resistenza e il
BiDil, infatti, non è stato visto di buon occhio né dai medici né
dai pazienti. Il contraccolpo si è fatto sentire
anche nel copione di un noto serial americano. Il medico più cinico
di tutti i tempi, Dr. House, si è trovato infatti a fare i conti con
un paziente afroamericano cardiopatico che ha rifiutato di prendere
il farmaco più adatto a lui definendolo "un farmaco razzista".
Eppure, secondo il report stilato nel
2007 dalla Pharmaceutical Research and Manufacturers Association of
America, oggi sono fase di sviluppo più di 700 farmaci destinati
solo alla popolazione afroamericana. Ma allora la medicina etnica
esiste? La variabilità genetica esistente
all'interno della nostra specie dimostra che le razze, biologicamente
parlando, non esistono. Passando dalla teoria scientifica alla
pratica clinica c'è qualcosa che cambia? Proviamo a trovare una
risposta. Prima di tutto c'è da dire che tutti gli afroamericani
inclusi nei trial clinici dei così detti farmaci etnici sono dei
"self-identified blacks". Stiamo parlando quindi di individui che
autonomamente si definiscono neri. Questa classificazione non si basa
su un'analisi scientifica, ma, di fatto, rispecchia considerazioni
socioculturali. Cosa vuol dire essere un afroamericano? Sappiamo che
Obama, ad esempio, è figlio di una donna del Kansas e di un uomo
kenyota. Il presidente americano può essere definito un nero o un
bianco? Dal punto di vista genetico è esattamente a metà, eppure
nessuno esiterebbe a definirlo un nero, ma questa è una
classificazione di tipo sociale, non biologico.
La storia del BiDil
Il BiDil è un farmaco anti-ipertensivo
nato dalla combinazione di due composti farmaceutici normalmente
impiegati in casi di attacco cardiaco in quanto hanno un effetto
vasodilatatore su arterie e vene. Il farmaco, testato in 3 trial
clinici eseguiti su un campione di individui composto sia da bianchi
sia da afroamericani, ha mostrato una riduzione del 43% della
mortalità dei neri americani e nessun effetto nei soggetti bianchi
presenti nello studio. Sulla base di questi risultati il BiDil è
stato approvato dalla FDA nel 2005. Il BiDil è il primo farmaco
considerato efficace solo all'interno della popolazione afroamericana
nonostante non si conosca quale sia il meccanismo di azione
responsabile dell'effetto benefico.
Un lavoro svolto da Shimizu e
pubblicato su Drug Metabolism Pharmacokinetics nel 2003 ha mostrato,
inoltre, che non c'è alcuna differenza tra la capacità di
metabolizzare un farmaco di un gruppo cinese e di uno svedese. In
particolare, in entrambe le popolazioni vengono ritrovati soggetti
con rapida, normale o lenta attività metabolica. Risultati come
questo sembrano suggerire che non esistano razze o etnie che
metabolizzano meglio o peggio un farmaco, ma piuttosto individui per
i quali può essere più adatta una cura invece che un'altra.
Quali sono quindi le ragioni alla base
del successo della medicina etnica?Di certo i farmaci etnico-selettivi
costituiscono un interessante business per le industrie farmaceutiche
che possono conquistare una nuova fetta di mercato e tagliare i costi
dei trial clinici. I due componenti del BiDil, ad esempio, erano già
in commercio come farmaci generici ed erano venduti a costi molto
inferiori.
E' stata inoltre la stessa FDA, sin dal
1980, a incoraggiare la raccolta di dati e lo sviluppo di trial
clinici mirati a diversi sottogruppi della popolazione e questo per
permettere una più rapida identificazione delle differenze di
risposta ai farmaci esistenti tra i gruppi. Come sostiene il noto
scienziato-imprenditore Craig Venter in un editoriale pubblicato nel
2003 su Science, se da
una parte è giusto sviluppare trial clinici che mirino a individuare
e a non sottostimare le diversità, dall'altra utilizzare marcatori
come razza ed etnia può portare a confusione e a trarre conclusioni
che dal punto di vista biologico sono prive di significato.
Parlare di medicina etnica, inoltre,
può essere anche pericoloso, sia perché puntando i riflettori sui
fattori genetici si rischiano di mettere in ombra le disparità
socioeconomiche, sia perché l'abuso di queste terminologie può far
sospettare che si stia cercando una giustificazione biologica alle
discriminazioni razziali.
La genetica ha cancellato le razze
mettendo al centro del suo campo di indagine l'individuo. È questa
la strada che anche la medicina moderna dovrebbe seguire.
Il parere di Guido Barbujani "Non esistono razze o etnie che metabolizzano meglio o peggio un farmaco - sostiene Guido Barbujani, professore di genetica del dipartimento di biologia ed evoluzione dell'Università di Ferrara - esistono individui per i quali può essere più adatta una cura piuttosto che un'altra. Parlare di medicina etnica vuol dire fare cattiva scienza e tornare indietro alle conoscenze genetiche del diciannovesimo secolo. Il caso del BiDil - aggiunge Barbujani - è interessante perché mette in luce due aspetti. Il primo è biologico ed è legato alla variabilità genetica della popolazione afroamericana che è la più complessa e variegata tra tutte quelle esistenti. Raggruppare tutti i neri americani sotto un unico grande ombrello è quindi solo una convezione sociale. È interessante notare che, nonostante oggi la maggior parte delle persone sia il frutto di un mosaico di geni derivati da antenati diversi, di fatto vige ancora la "one drop rule". Questa legge, nata in America durante il periodo della schiavitù, stabiliva che chiunque nella propria storia familiare mostrasse di avere anche una sola goccia di sangue nero veniva automaticamente classificata come nera. Oggi sembra ripetersi la stessa cosa. Una persona sente di appartenere alla classe sociale più debole indipendentemente da quale sia la sua natura genetica. Il secondo problema è invece di natura socioeconomica. Gli afroamericani sono una popolazione per la maggior parte economicamente svantaggiata e il successo del BiDil potrebbe essere giustificato dall'aver dato una possibilità di cura a soggetti che fino a quel momento non l'avevano. Del tutto differente è invece la situazione per i bianchi per i quali il BiDil ha mostrato di non avere effetto. Si tratta di persone che, in genere, hanno già a disposizione delle terapie valide e per le quali quindi è più difficile trovare un nuovo farmaco che risulti davvero efficace. Se un gruppo di persone mostra una maggiore predisposizione verso certe malattie per via di fattori culturali, come la dieta o le convenzioni religiose, è assolutamente giusto tenerne conto - aggiunge Barbujani. - Non ha importanza se questo gruppo sia stato classificato in base a parametri sociali, geografici o linguistici. Se questa vogliamo chiamarla medicina etnica va bene, l'importante è che non si pensi che nella nostra specie esistano le razze, ossia gruppi geneticamente omogenei al loro interno e diversi dagli altri. Sono 50 anni che sappiamo che non è vero".
Il parere di Antonio Torroni "Personalmente ritengo che l'uso di parole quali razza ed etnia in contesto biomedico sia completamente fuorviante, e quello del termine race medicine sbagliato, pericoloso e inutile, oltre che irritante per un genetista umano. - sostiene Antonio Torroni, professore di genetica del dipartimento di genetica e microbiologia dell'Università di Pavia. - Il vero obiettivo della medicina del prossimo futuro è la terapia personalizzata non la "terapia di gruppo", gruppo che comunque sia definito o costruito è fatto di individui estremamente diversi, anche dal punto di vista genetico".