fbpx Guarda che Lune! | Science in the net

Guarda che Lune!

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

20 luglio 1969. Anzi 21, quasi mattina in Italia. Ero in un "campo scientifico" in montagna, nel Lazio, insieme ad un sacco di altri ragazzi e ragazze, liceali come me. Ricordo che avevo un gran sonno ma non era certo possibile andare a dormirci su, si trattava dopotutto di essere spettatori del primo sbarco sulla Luna, della prima pedata al nostro satellite da parte di un essere umano. Ricordo delle immagini confuse su un piccolo televisore in bianco e nero. Un po' per il sonno un po' per la cattiva ricezione facevo fatica a distinguere tra le macchie bianche e quelle nere e non sono riuscito ad assaporare l'esitazione dell'ultimo passo di Armstrong, quello dalla scaletta del modulo LEM alla superficie della Luna. Ora penso che fosse una esitazione programmata a beneficio della telecamera, per creare suspense, ma forse gli serviva per ripassare la famosa frase "Questo è un piccolo passo per un uomo ma è un grande passo per l'Umanità". Ed è stato veramente un grande passo anche se più simbolico ed emotivo che di sostanza, più politico e mediatico che scientifico. Si riparla ora di tornarci sulla Luna. Le difficoltà sono economiche più che tecnologiche, le motivazioni scientifiche sono deboli e le possibilità di sfruttarne le risorse locali (quali?) remote. Manca insomma una ragione robusta a fronte di costi che rimangono enormi e reali. La scienza si fa meglio dallo spazio e siamo ormai bravissimi a mandare sonde robotiche ad esplorare i luoghi più inospitali del Sistema Solare. Tranne che per i giornalisti, l'uomo nello spazio è più un impiccio (un costo e un rischio) che una necessità.

La Luna era stata già protagonista di un altro grande passo per l'Umanità, quando si mostrò con i suoi crateri e i suoi monti irregolari all'occhio, non più nudo ma aiutato da un cannocchiale, di Galileo. Non 40 ma 400 anni fa. E le osservazioni delle sue imperfezioni, valli, crateri e montagne, seguite poi da quelle delle fasi di Venere, dell'esistenza di satelliti in orbita intorno a Giove per non dire delle macchie solari, posero fine alla concezione Aristotelica della perfezione celeste e aprirono la strada al sistema Copernicano e all'astronomia moderna. Quelle immagini della Luna acquarellate da Galileo nel Sidereus Nuncius sono per me altrettanto emozionanti delle foto della stessa faccia della Luna ottenute con i telescopi moderni o dalle sonde che le hanno scattate a distanza ravvicinata, o di quelle più rare della sua faccia sempre nascosta. Ho avuto il privilegio di tenere tra le mani e sfogliare il Sidereus Nuncius, ne abbiamo una copia della prima edizione alla Biblioteca Storica dell'Osservatorio Astronomico di Brera, uno dei centri di ricerca dell'Istituto Nazionale di Astrofisica. Lo abbiamo appena portato in mostra, con altri nostri volumi antichi, presso la Biblioteca di Alessandria (d'Egitto) ma ritornerà presto a Milano.

E c'è sempre la Luna, protagonista, dietro allo sviluppo di una intera branca della moderna astrofisica: l'astronomia a raggi X, astronomia che mi è particolarmente cara avendo conquistato i miei interessi giovanili e forgiato la mia carriera scientifica.

Erano i primi anni '60 del secolo scorso e qualcuno negli Stati Uniti si era messo in testa che la Luna potesse essere una sorgente di radiazione X, se non altro riflettendo e diffondendo la radiazione X solare che la colpiva e che era stata da poco scoperta. Era appena iniziato quel programma Apollo che avrebbe poi portato Armstrong e Aldrin a passeggiarci sopra e al Cambridge Research Laboratory dell'aviazione militare statunitense si studiava il nostro satellite e vi era interesse a raccogliere informazioni sulla composizione chimica della sua superficie. Furono cosí trovati i finanziamenti necessari per un esperimento volto a studiare l'eventuale emissione X dalla Luna. Dopo un paio di tentativi non andati a buon fine, nel giugno del 1962 un esperimento su razzo portò per una manciata di minuti dei rivelatori di raggi X al di sopra della nostra atmosfera. La Luna questa volta si negò(*) ma in compenso furono rivelate due sorgenti inaspettate di radiazione X: SCO-X1, la più brillante sorgente che esista in cielo e il fondo di radiazione diffusa. Nasceva una nuova astronomia che in pochi anni sarebbe diventata rapidamente e prepotentemente protagonista dell'astrofisica. Nel 2002, quarant'anni dopo quell'esperimento da lui coordinato, Riccardo Giacconi riceveva il premio Nobel per la Fisica proprio per quella nuova astronomia che aveva contribuito a far nascere e successivamente ad affermarsi, cercando -  senza trovarla -  la Luna, ma scoprendo invece un volto inaspettato dell'Universo.

A quarant'anni dalla passeggiata di Armstrong, a quattrocento dalla sua prima osservazione con un telescopio, la Luna, solinga, eterna peregrina,  rimane sempre una preziosa fonte di ispirazione e una presenza rassicurante e amica nei nostri cieli. Silenziosa, "... sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti; indi ti posi."

(*) Vale la pena ricordare che una immagine della Luna ai raggi X verrà poi ottenuta nel 1990 grazie a strumentazione ben più sensibile di quella utilizzata originariamente. La sua analisi ha dimostrato che l'idea iniziale del gruppo di ricerca guidato da Giacconi era corretta.

Seguite la missione spaziale in diretta su http://wechoosethemoon.org/

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Discovered a New Carbon-Carbon Chemical Bond

A group of researchers from Hokkaido University has provided the first experimental evidence of the existence of a new type of chemical bond: the single-electron covalent bond, theorized by Linus Pauling in 1931 but never verified until now. Using derivatives of hexaarylethane (HPE), the scientists were able to stabilize this unusual bond between two carbon atoms and study it with spectroscopic techniques and X-ray diffraction. This discovery opens new perspectives in understanding bond chemistry and could lead to the development of new materials with innovative applications.

In the cover image: study of the sigma bond with X-ray diffraction. Credits: Yusuke Ishigaki

After nearly a year of review, on September 25, a study was published in Nature that has sparked a lot of discussion, especially among chemists. A group of researchers from Hokkaido University synthesized a molecule that experimentally demonstrated the existence of a new type of chemical bond, something that does not happen very often.