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Manuale di sopravvivenza all'”aria da morire”

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Di inquinamento atmosferico ci si può ammalare e morire. Ce lo ricordano con dovizia di particolari e di scienza Pier Mannuccio Mannucci e Margherita Fronte nel bel libro Aria da morire (Dalai editore, collana Zenit, 2013). Il primo direttore scientifico del Policlinico di Milano, medico e ricercatore di razza, componente del Gruppo 2003 nonché autore di decine di studi su inquinamento e malattie cardiovascolari. La seconda giornalista scientifica in forze a Focus e veterana di libri di scienza e ambiente. 

A dispetto del titolo necessariamente ad effetto, si tratta di un libro equilibrato, che valuta in modo realistico i danni alla salute della contaminazione dell'aria riconducibile essenzialmente a mobilità, riscaldamento, produzione energetica e industriale. Che non concede nulla al sensazionalismo e fonda le propria affermazioni sul meglio della ricerca epidemiologica e tossicologica. Eppure, in un certo senso, il sensazionalismo talvolta sta proprio nei dati presentati. Chi vive in Pianura Padana, ad esempio, sa bene di essere nell'area più inquinata d'Europa, anche a causa di una meteorologia che non aiuta la circolazione dell'aria. Ma se può essere di (magra) consolazione, c'è chi sta peggio di noi. A Ulan Bator, per esempio, la concentrazione media di polveri è di 279 µg/m3. Ad Ashvaz, una città dell'Iran, addirittura 372 µg/m3. A Pechino pare che in certi giorni sfiori la cifra monstre di 800 µg/m3. Questi dati danno il destro ai due autori per ricordare le settimane terribili che Londra attraversò nell'inverno del 1952, quando lo smog raggiunse e superò questi livelli determinando una vera e epidemia di morti da smog. 

Data più o meno da allora la nascita dell'epidemiologia ambientale che si occupa di inquinamento, che negli ultimi decenni ci hanno chiarito come all'inquinamento dell'aria da polveri, ossidi di azoto e zolfo, ozono, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e metalli pesanti siano da attribuire rischi aumentati di morbilità e mortalità sia per cause respiratorie, sia per accidenti cardiovascolari, tumori, e con un importante coinvolgimento del sistema nervoso ed endocrino (leggi anche qui). Rischi di mortalità invero relativamente bassi a livello individuale, ma considerevoli in un'ottica di popolazione, visto che tutti – ma proprio tutti – siamo esposti a questi inquinanti (con il corollario noto in epidemiologia che l'esposizione universalmente diffusa tende a farci sottostimare il rischio).

Il libro dà anche utili consigli di comportamento individuale per proteggersi dall'inquinamento, e sfata alcuni miti duri a morire, purtroppo ripetuti spesso anche da medici. Per esempio che l'inquinamento porti a morte prematura solo le persone già minate nella salute (peraltro è significativo della barbarie culturale nella quale ci troviamo che questo argomento venga speso per ridimensionare l'allarme smog). In più non è vero: i dati mostrano infatti che esso può colpire anche persone relativamente giovani e in condizioni discrete di salute. Certamente lo smog non colpisce tutti allo stesso modo, ed è proprio la diversa suscettibilità genetica ad aprire un interessante capitolo della ricerca scientifica sul tema, come quello collegato delle mutazioni epigenetiche (spesso reversibili, per fortuna) che gli inquinanti sono in grado di determinare. Ne accenna nella sua Prefazione al libro anche Pier Alberto Bertazzi, fra i più importanti epidemiologi italiani per aver "scoperchiato" il caso Seveso, e autore di interessanti ricerche di taglio epigenetico.

Altro mito da sfatare è che rispetto ai pesanti inquinamenti del passato oggi la situazione sia notevolmente migliore. Certo è vero che negli ultimi decenni (ma non nell'ultimo) le concentrazioni di inquinanti (alla grossa) siano calate. Tuttavia, come notano gli autori, le polveri sottili di oggi rivelano caratteristiche chimiche talvolta più insidiose di quelle del passato. 

Se lo zolfo e il piombo – almeno alle nostre latitudini – ce li siamo almeno in parte lasciati alle spalle, nuovi protagonisti si affermano sulla scena. E' il caso delle polveri ultrasottili, o dello smog fotochimico da ozono troposferico, che paradossalmente è più presente nelle aree meno urbanizzate che tenderemmo a considerare più pulite. L'inquinamento fa male, provocando nei luoghi più inquinati di Europa un aumento di rischio di mortalità variabile dall'1 al 10 per cento. E costa: gli autori infatti non si dimenticano di riferire di studi come Aphekom che agli usuali dati epidemiologici associano i costi stratosferici dell'inquinamento per la collettività (2,5 miliardi di euro/anno nella sola città di Roma). (Leggi qui e qui)

Blindarsi in casa per sfuggire all'inquinamento non è una soluzione, come spiega bene il capitolo del libro dedicato all'inquinamento indoor: nelle case i gas tendono infatti a concentrarsi, e a quelli provenienti da fonti esterne (automobili, camion, ciminiere) si aggiungono idrocarburi policiclici aromatici (IPA), composti organici volatili (COV) e altri contaminanti presenti nei prodotti per la casa, nei ritardanti di fiamma, negli impregnanti del legno, nelle vernici... (Leggi anche qui). Un capitolo a parte – sempre sull'inquinamento indoor – viene giustamente riservato al radon, gas radioattivo che filtra negli ambienti chiusi soprattutto in certe zone d'Italia, e che è responsabile del 10% circa dei tumori al polmone. 

Parlando d'aria non si poteva inoltre ignorare l'amianto, che come ha chiarito la Conferenza nazionale tenutasi a Venezia nel novembre 2012 non è affatto un inquinante del passato e riservato solo alle esposizioni professionali (benché queste rappresentino la maggiornaza dei casi di mesotelioma, che portano a morte ancora oggi 2000 persone/anno). Grazie alle sue virtù ignifughe e isolanti, l'amianto è stato usato per un secolo un po' ovunque, e oggi ci ritroviamo a dover gestire la colossale bonifica di fabbriche, scuole, ospedali, uffici pubblici e abitazioni senza avere ancora un quadro certo delle localizzazioni.

Resta da rispondere alla domanda più difficile: è possibile se non eliminare quanto meno ridurre al minimo l'inquinamento? Diversi esempio statunitensi e nordeuropei mostrano che sì, è possibile, e i benefici in termini di mortalità evitata e mancate ospedalizzazioni si vedono da subito. Ma è un'impresa che prenderà almeno una generazione e che dovrà far camminare insieme informazione alla popolazione, innovazione tecnologica, shift verso fonti energetiche non fossili, un modo diverso di consumare, di costruire e di organizzare il lavoro e la mobilità sul territorio. Anche su questo il libro delinea con chiarezza le principali strategie di mitigazione fatte proprie da molte amministrazioni pubbliche dei paesi avanzati, ma ancora troppo timidamente prese in considerazione dalle nostre. Basta vedere il modo in cui sono state sistematicamente ignorate in quest'ultima campagna elettorale (leggi anche qui), e del modo in cui purtroppo si è voluto contrapporre salute e lavoro nel dramma sociale ed ecologico dell'ILVA di Taranto (leggi anche qui e qui).

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