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EvolutionDay2013, due giorni di grandi lezioni

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La biologia dell’evoluzione si nutre di due fonti diverse: le osservazioni puntuali o comparate, e la formulazione di teorie e modelli generali atti a spiegarle. Nei due giorni dell’Evolution Day al Museo di Storia Naturale di Milano abbiamo avuto grandi lezioni di entrambi questi aspetti.

Il soggetto generale di quest’anno erano le isole, un soggetto, si sa, adattissimo agli studi evoluzionisti: dalle Hawaii alle Galapagos, dalle Canarie alle Antille, le isole sono forse il laboratorio naturale più frequentato e più fruttifero. L’Evoluzione Day era dedicato alla memoria di Ilaria Vinassa, l’inventrice e instancabile animatrice della manifestazione, e commemorava Alfred Russell Wallace, morto cento anni fa, che alle isole dedicò anni di studi. 

Le giornate sono state inaugurate da una lectio magistralis di Valerio Sbordoni (Roma II) sul contributo degli studi sulle isole alla biogeografia. Sbordoni ha illustrato l’importanza delle isole per le scoperte che in esse si fanno ogni giorno (l’uomo di Flores, l’iguana rosa delle Galapagos); ci ha spegato che le estinzioni sono molto più frequenti sulle isole, consentendoci così di studiarle meglio; ha introdotto la regola insulare, e cioè il fatto che le specie tendono a divenire o nane o giganti nelle isole; ha spiegato il modello più comune della biogeografia insulare, quello di MacArthur e Wilson, che spiega come il numero di specie presenti su un’isola è ricavabile dall’interazione fra immigrazione ed estinzione, e come il modello sia stato modificato in tempi più recenti, correggendolo per la superficie e il grado di isolamento; alcuni esempi hanno ricordato il peso enorme di alcuni studi di distribuzione, soprattutto di insetti, nelle isole, sulla formulazione delle teorie biogeografiche e della speciazione; fra i molti problemi sollevati dallo studio delle isole, abbiamo imparato che sull’isola di Sulawesi ci sono più specie di macachi che in tutto il resto del mondo; infine abbiamo appreso che A.R.Wallace aveva formulato una definizione di specie molto vicina a quella che oggi si chiama filogenetica.   

Federico Focher, un biologo molecolare di Pavia con la passione della storia, ci ha raccontato come in un romanzo la vita di Wallace, così diversa da quella di Darwin, con il quale condivise la scoperta della selezione naturale. Una vita dickensiana da un’infanzia povera alla notorietà come naturalistaì, fra l’Amazzonia e l’Indonesia fra scoperte e viaggi avventurosi. Ci ha raccontato pure le discrepanze fra lui e Darwin sul valore della selezione naturale onnipotente per Wallace ben più che per Darwin, e sull’uomo, che per Wallace si sottraeva in molte caratteristiche (voce, mano, linguaggio) alle spiegazioni solo biologiche. Una convinzione che contribuì a spingerlo verso lo spiritismo    

Vincent Savolainen dell’Imperial College di Londra ci ha raccontato una versione aggiornata del suo lavoro su Lord Howe Island, un luogo isolatissimo da ogni continente, nel quale con il suo gruppo di lavoro egli ha potuto dimostrare il prevalere di speciazioni simpatriche a carico delle specie di piante dell’isola. Ma ci ha pure illustrato il suo lavoro recente in Sud Africa che ha lo scopo di dimostrare come il lavoro comparativo e filogenetico può essere uno strumento principe sia per comprendere il carattere invasivo di certe specie di piante, sia per orientare le decisioni, che spettano ai  politici, sulle aree da tutelare.

Massimo Delfino, paleontologo dell’Università di Torino, ci ha fatto riflettere sul fatto che le isole non sono sempre state dove e come ora le vediamo, ma hanno una lunga storia geologica alle spalle. Allo stesso modo, zone oggi di terraferma furono in tempi nei quali il livello del mare era maggiore, delle isole. I fossili che si trovano, sia nelle “isole fossili” che in quelle attuali ci forniscono molti esempi di quel gigantismo e nanismo insulare predetto dalla regola insulare.

Tony Miller dei Royal Botanic Gardens di Edimburgo ci ha fatto sognare parlando della carismatica flora di Socotra, isola yemenita vicina alla Somalia con 835 specie di piante, moltissime delle quali endemiche, fra le quali l’unico cetriolo arboreo esistente. La percentuale di endemismi nelle isole è proporzionale alla loro distanza dal continente, e Socotra sembra avere una proporzione simile alle isole continentali, pur essendo abbastanza isolata. Ciò è dovuto al fatto che Socotra non ha un’origine vulcanica, ma un tempo era attaccata alla Penisola Arabica. Vere e proprie radiazioni adattative sono accadute a carico dei rettili (90% di specie endemiche) e di Boswellia, la pianta dell’incenso (otto specie endemiche)

Andrea Menegon del Museo di Storia Naturale di Trento ha parlato delle ricerche che la sua Istituzione sta compiendo da molti anni in Tanzania, in particolare in cerca di anfibi e rettili: in 15 anni di attività il loro gruppo ha trovato circa 80 specie nuove, e, come anche nel caso di Miller a Socotra, la scoperta continua a una velocità superiore alla capacità dei ricercatori di descriverle. Menegon ci ha spiegato come i diversi gruppi montuosi della Tanzania, separati da savana  o altri ambienti aridi, siano come arcipelaghi agli occhi degli anfibi, e addirittura che in alcuni casi specie geograficamente vicine siano più diverse fra loro che non specie distanti, a causa del fatto che i picchi sulle cui cime vive la fauna detta “afrotemperata” sono separati da zone inabitabili.

Marco Masseti, paleontologo dell’Università di Firenze, ha parlato delle isole mediterranee, me di come la loro fauna si sia modificata radicalmente con l’arrivo dell’uomo. Oggi solo 4 specie di mammiferi sono endemici di isole nel Mediterraneo, mentre moltissime delle specie endemiche un tempo presenti si sono estinte. Masseti ha anche passato in rassegna le cause probabili della regola insulare: isolamento genetico, riduzione delle risorse, competizione alterata, assenza di predatori carnivori terrestri, presenza di dense foreste fino al pleistocene. In compenso, molte specie di mammiferi importati dall’uomo hanno dato luogo all’origine di forme locali, che sarebbe interessante conservare.

Elisa Locatelli, paleontologa dell’Università di Ferrara ha confrontato i fossili delle faune di piccoli mammiferi in Sicilia (un’isola vicina al continente) con quella di Flores, meno soggetta all’arrivo di migranti perché ben più isolata. Il confronto fra le due isole ha messo in rilievo nulerose differenze: in Sicilia molti più arrivi che a Flores; in Sicilia una scarsa ricchezza di forme in tempi remoti Microtus (Terricola) and Crocidura è andata aumentando di recente, mentre a Flores vi è stata radiazione adattativa di un numero originariamente minore di forme; a Flores si sono avuti fenomeni di gigantismo di soli muridi, mentre in Sicilia no; l’impatto umano è stato importante a Flores dopo il Neolitico, ma scarso in Sicilia.        

Giorgio Manzi, antropologo dell’Università La Sapienza di Roma ha parlato del più famoso endemismo mammaliano di Flores: Homo floresiensis, estintosi 18.000 anni fa, prima della fine del pleistocene. Il taglio di Manzi è stato storico-poliziesco: ci ha spiegato come si sia passati da un entusiasmo iniziale, alle interpretazioni “negazioniste” (era un uomo pigmeo o un nano deforme), via via attraverso confronti scientifici con le forme note di fossili ominidi, fino all’idea che si tratti di una forma molto antica affine ai primi membri del genere Homo, appartenente alla prima ondata migratoria dall’Africa, insediatosi, appunto in un’isola oceanica come Flores, dove è andato incontro ad un’evoluzione indipendente.

L’intervento di Nicola Grandi, linguista dell’Università di Bologna, aveva lo scopo di verificare il peso dell’insularità sull’evoluzione delle lingue: la conclusione è stata che le diverse forme di isolamento linguistico (geografico=isolamento da altre lingue; genealogico=non è possibile stabilire connessioni con altre lingue; tipologico=dotata di tratti strutturali inconsueti) non hanno alcuna connessione causale con l’insularità.

Come un’enclave nei due giorni dell’Evolution Day abbiamo avuto un’interessantissima conferenza di sir David Baulcombe, Regius Professor of Botany dell’Università di Cambridge, premiato l’anno scorso con il prestigioso Premio Balzan. Bauclombe ha fatto una lezione generale sull’epigenetica, descrivendo numerosi casi di studio che dimostrano la possibilità di modificare l’espressione del DNA agendo sull’ambiente cellulare, e spiegando come alcune di queste modificazioni, soprattutto nelle piante, possano essere trasmesse alla progenie. I cambiamenti epigenetici, o epimutazioni, sono assai più frequenti della controparte genetica (le mutazioni), e quindi sono una potenziale fonte di variabilità offerta all’evoluzione. Tuttavia, a fronte di numerosi esempi “di laboratorio”, pochi sono i casi di modificazione epigenetica trasmissibile osservati in natura.


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