Se
ancora non è possibile interpretarla in dettaglio, la coscienza e i fattori che
ne determinano l'attivazione può ora essere monitorata, soprattutto in pazienti
affetti da patologie gravi, come le lesioni cerebrali. Questo grazie a uno
studio di un gruppo di ricercatori dell'Università di Milano appena pubblicato
su Science Translational Medicine,
che descrive una tecnica finora inedita, in grado di superare i test utilizzati classicamente in medicina
clinica per stimare il livello di coscienza ("stringi il pugno",
"apri gli occhi").
Molti pazienti, tuttavia, sono incapaci di rispondere anche a questi comandi
elementari. Non è detto, però, che non siano in grado di conservare un livello,
seppur minimo, di coscienza.
Il team coordinato da Marcello Massimini è andato allora più a fondo:
"Siamo
partiti da un'ipotesi, che fa riferimento a indicazioni teoriche mai però
dimostrate (la teoria dell'informazione integrata di Giulio Tononi), secondo
cui il livello di coscienza dipende dalla complessità d’informazioni immagazzinate.
Ci possono essere singole informazioni o aggregazioni. Il loro bilancio è quello
che abbiamo voluto misurare ".
La tecnica utilizzata dai ricercatori è originale e inedita, dal momento che
sfrutta un metodo già consolidato, la stimolazione
cerebrale transcranica, per poi misurare il tipo di aggregazione immagazzinando
i dati ottenuti come dei bit, con gli algoritmi usati in informatica.
"Quello che si fa è stimolare il
cervello in una zona specifica per qualche frazione di secondo con un forte
impulso magnetico per osservare la sua reazione. I brevi impulsi elettrici producono
una sorta di eco, tracciabile con l'elettroencefalografia, che può essere più o
meno complessa a seconda della loro aggregazione".
Per
capire di cosa si tratta, si potrebbe pensare, per esempio, a un diapason che vibra
quando è sottoposto a una stimolazione meccanica: "La perturbazione di
tipo fisico è una metafora efficace - il primo autore dello studio, del resto,
è un fisico quantistico. Nel caso del cervello incosciente, questo può
risuonare o come un diapason, o come un enorme tamburo; un cervello cosciente,
viceversa, risuona come un'orchestra, formata da strumenti diversissimi tra
loro. Lo spartito di quest'orchestra è complicato da comprimere, mentre noi
abbiamo tradotto gli stimoli elettrici in codice binario, per poi
impacchettarli come uno zip, simile a quelli con cui si inviano immagini
digitali via mail."
Risultato? I
ricercatori hanno definito una scala di misura testata e affidabile che
definisce lo spettro di tutte le fasi, dall'incoscienza alla coscienza. Questa
fornisce un riferimento analogo ad altri organi (la frazione di eiezione per il
cuore, o la capacità di filtraggio per i reni, ad esempio), che fa ben sperare
di poter vedere la coscienza in
pazienti incapaci di comunicare. I test sono stati eseguiti, infatti, su
condizioni molto diverse tra loro: sonno, veglia, presenza di anestetici e vari
livelli di lesione cerebrale (dal coma, allo stato semi-vegetativo).
"Per i pazienti che non comunicano è difficile valutare la bontà di una terapia. Trovare un bilancio, anche se in misura per il momento grossolana, tra singolarità e complessità, sarà di grande aiuto teorico a esplorare il cervello, speciale proprio per questo motivo, con un approccio più sperimentale, come quelli attesi dai grandi progetti europeo e americano appena lanciati".